Attualità
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02/12/2013 11:28

La Cosmetica di San Matteo

Intervento pubblicato su Il Giornale di Scicli

di Marco Favacchio

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La chiesa di San Matteo bianca
La chiesa di San Matteo bianca

Scicli – Ferrara,  XX salone dell’arte del restauro  e della conservazione dei beni culturali: girando tra i vari stand attira la mia attenzione una pubblicazione sul restauro delle facciate storiche dal titolo  “Restauro del Colore in Architettura. Dal Piano al Progetto” dell’Arch. Giuseppe Centauro. L’architetto  fa una attenta riflessione sui  colori dell’architettura  e di come svolgano un ruolo fondamentale nei processi identificativi e culturali dei diversi insediamenti umani. Acquistato il libro mi accorgo  che una delle immagini interne è di Scicli, si distingue chiaramente San Matteo e tutto l’agglomerato urbano sottostante. L’autore descrive la città come centro urbano italiano che conserva ancora i “colori del tempo”.

Tuttavia se avesse visto oggi San Matteo, con la sua evanescente facciata ripulita dalle croste  e con il  biancore dei nuovi intonaci, sicuramente non avrebbe potuto né voluto inserire la foto nel suo libro.

Il restauro di una veneranda fabbrica quale quella di San Matteo, avrebbe dovuto significare  ridare dignità ad un monumento rappresentativo della nostra comunità, ma  sembra si sia esagerato con il maquillage. Quello che è antico deve continuare ad essere percepito come tale, non deve di certo essere camuffato dando  al monumento una finitezza che la chiesa potrebbe non avere mai conosciuto, considerando che questa non è mai stata completata.  “La bellezza dell’imperfezione è un modo per sottrarsi al peccato di superbia che porta a cercare la perfezione, come se questa fosse un pregio e non perseguirla svilirebbe il monumento”. La foto di Scicli compare nel libro proprio per questi vecchi e imperfetti colori che rendono Scicli non come un posto con qualche monumento ma  tutta un’unica, straordinaria opera d’arte ed Il colore quasi identico di tutte le architetture  contribuisce a rendere irripetibile questa unicità.

Il prospetto principale è stato sbiancato senza mezze misure e si percepisce solo un biancore fastidioso. Mentre prima le varie alterazioni cromatiche rendevano più evidenti le alternanze tra pieni e vuoti tipiche dell’architettura barocca, adesso si fa fatica a distinguere le volute dalle lesene. Tutto è stato appiattito drasticamente.  Si dovevano forse lasciare le alterazioni e  le croste nere in facciata? Ovviamente no. Le croste nere intaccano la pietra formando solfati  che la erodono disgregandola, sono fattori fortemente aggressivi di cui è necessaria la rimozione per arrestare la mutazione attiva della pietra. Ma il punto è che solo una parte della superficie della facciata della chiesa di San Matteo era  costituita da croste nere, le altre erano patine che avevano assunto nel tempo colore bruno scuro e che creavano un dettaglio di finitura della pietra che costituisce uno dei più nobili, diffusi e duraturi colori del tempo sulla pietra. Ma ha preso il sopravvento la volontà di omologare le parti in cui c’erano le croste nere  e quelle in cui c’erano innocue alterazioni cromatiche creando un  architettura priva di contrasti in cui si elimina il prezioso intreccio della natura e dell’uomo.

Nei prospetti laterali invece si è scelto un intonaco  evidente e poco storicizzato, si doveva forse evitare di metterlo? Assolutamente no, anzi ultimamente sta prendendo piega tutta una moda particolare nei restauri dei monumenti antichi che consiste nell’eliminare interamente l’intonaco e lasciare la pietra a vista, nulla di più sbagliato. L’intonaco è importantissimo, è lo strato di sacrificio del monumento che siamo disposti a perdere ed quindi è fondamentale perche protegge il nucleo strutturale dall’aggressione degli elementi esterni e completa in modo decorativo l’architettura. Roma, Pompei, i Templi Greci erano tutti intonacati per questa ragione. A San Matteo pero sì è voluto esagerare con una scelta cromatica che indubbiamente non ha alcuna intimità con il resto del contesto.

Ormai ci si è piegati ad un idea di restauro dei monumenti  in cui il linguaggio è uguale ovunque, a prescindere da dove sia applicato. “Nel restaurare si è persa completamente la sintonia tra monumento e luogo;  lacune trattate allo stesso modo, le ringhiere griffate, le luci maliziose, metodi schematici, facili, ripetibili, subito graditi a certe amministrazioni, a certe imprese o a certi progettisti molto più di una semplice conservazione che non potrebbe dare la possibilità di ostentare i  ben evidenti risultati del lavoro finale”. Una facciata sbiancata è molto più evidente di una semplice ripulitura  conservativa, fa capire meglio alla collettività quanti soldi sono stati spesi per rimetterla a nuovo, quindi forse più evidente è la cosmetica della chiesa  e più sarà contenta la collettività: del valore storico e figurale del monumento interessa poco o niente.

Le conseguenze di tutto ciò sono assai gravi, se infatti  anche le più importanti fabbriche del nostro passato vengono sottoposte a disinvolte ridipinture e correzioni cromatiche e riportate a nuovo senza tanti scrupoli  i privati, gli amministratori di condominio, le imprese e i direttori dei lavori di restauri minori, crederanno di far bene imitando gli autorevoli modelli posti sotto i loro occhi.

Cosi ci rendiamo tutti colpevoli di un riduzionismo che tende ad uniformare ciò che è nato difforme e che dalle vicende storiche è stato segnato in modo unico.

 

 

 

*Pubblicato su Il Giornale di Scicli