Il mito di Ulisse e i migranti di questi giorni
di Redazione

Catania – «Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze». I suggerimenti e le suggestioni di Kavafis, poeta di nuova “grecità”, sono arrivate molto dopo l’Ulisse di Omero eppure quei versi riescono ad abbracciare tutti gli “Odissei” del mondo. Passati, presenti, futuri. Dentro e fuori di noi, con Itaca sempre in mente e mai davanti agli occhi.
Dal canto suo, Roberto Zappalà, ballerino e coreografo, è – a suo modo, in quanto filosofo del movimento e perciò viaggiatore perenne dentro e fuori dal corpo – un Odisseo da sempre, sicuramente da molto prima di dar vita a quest’altro Odisseo. Il naufragio dell’accoglienza, nuova tappa del suo progetto Re-mapping Sicily e in questa sede condiviso con il Teatro Stabile di Catania per la sezione Te.st, a Scenario Pubblico in prima nazionale da domani al 16 e poi di nuovo dal 20 al 23 gennaio.
Partitura danzata – e recitata (in campo anche la voce di Franco Battiato che legge Plutarco e Lucrezio) e cantata (la voce del soprano Marianna Cappellani) – per otto interpreti, Odisseo di Zappalà (su drammaturgia di Nello Calabrò) sciorina un sottotitolo che sembra quasi l’endiadi dei due “Pre-testi” che hanno già calcato le scene tra Catania e Paesi Bassi. In principio è statoNaufragio con spettatore, tremendo, poetico, violentissimo, atemporale “passo a due” al Convitto Cutelli, confortato dal bachiano Clavicembalo ben temperato del pianoforte di Luca Ballerini; subito dopo, il Pre-testo 2. Accoglienza, licenziato in Olanda e originariamente concepito come laboratorio e non come spettacolo con vita propria.
E tuttavia al centro dei “pre-testi” e del più corposo, proteiforme Odisseo (che promette un’ora e venti di performance contro i consueti 60/70 minuti) c’è il viaggio di carne e sangue. Non tanto e non solo per seguire «virtute e conoscenza» come accadeva al Laerziade consorte di Penelope ma i viaggi obbligati e spesso stracciati, oltraggiati, annullati dei migranti di tutte le storie e le geografie del mondo.
Mappa primaria (se non unica) del viaggio resta il corpo, oggi forse unico luogo “politico” in cui discutere l’esistenza, Zappalà.
«La sofferenza del corpo innanzi tutto. Pur non dimenticandone gli aspetti più giocosi, in realtà la sofferenza del corpo ne esprime il suo stato più attuale, il corpo diventa la ‘cartina’ sulla quale è possibile leggere i nostri schemi sociali, ritmi e passioni del vivere».
E’ stata questa la prima cellula di “Odisseo”?
«Sicuramente. Ma subito dopo, allargare la sfera al dialogo con il migrante è diventata un’urgenza mentale e poetica. Ci voleva un nome che, da solo, rievocasse un racconto planetario in cui intravedere gli itinerari ed i segni più diversi. Perciò Ulisse – migrante per eccellenza e d’elezione – Omero, l’epica, il mito non potevano che fare al caso nostro, senza per questo “illustrarne” la storia letteraria. Piuttosto appellarsi al costume, comune a tutti noi, di definire “odissea” ogni sorta di peripezia. Fisica e psicologica. Ognuno di noi può e deve essere Ulisse ma senza mai smettere di percorrere la sottile linea rossa tra il viaggio per conoscere e la migrazione obbligata e tragica. E chi più di noi siciliani – migranti per tradizione o per condanna – poteva raccontare meglio tutto questo?».
Dal momento che ricompone i primi due pre-testi (Naufragio/Accoglienza), “Odisseo” può considerarsi il culmine di una trilogia?
«No. Benché già da un po’ io ami i progetti in più episodi (Corpi incompiuti, Instrument), Odisseo è uno spettacolo autonomo. Naufragio, era la prima parte del viaggio, colma di disperazione che però, al momento dell’arrivo, sperava (e spera!) in una soluzione che sia incontro, accoglienza, abbraccio. E in quella sede, l’enorme spazio scenico a disposizione mi ha rievocato mari e oceani immensi che sarebbero apparsi più sterminati se ad attraversarli fossero stati solo due danzatori…».
Otto “migranti” per “Odisseo”, invece.
«E’ vero ma non c’è una logica strettamente drammaturgica: ognuno di loro è Ulisse e migrante a un tempo, tutti sono l’uno e l’altro e shakespearianamente nessuno ha ragione».
Le musiche (trattate in “decoupage” da Puccio Castrogiovanni) sono un autentico patchwork: dalla Gazza ladra rossiniana alla Gymnopédie n.1di Satie. E Smile, Gershwin, financo Dowland ma “a cappella” e per soprano solo.
Una melodia per ciascuna identità del migrante?
«Non è una circumnavigazione d’etnie, solo motivi che m’hanno evocato suggestioni diverse. E inaspettate. Perché Odissea è, da sempre, metafora e sinonimo di inatteso». Inatteso come l’abbraccio violento che un Odisseo francese, ballerino migrante a Catania, riceve in luogo dell’accoglienza». Così, d’emblée.
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