La verità nell'incompiutezza
di Pasquale Bellia


Firenze – C’è una dimensione futurista nell’architettura dei resti. I “non finiti” quello che dovevano dire lo hanno già detto. Ora appaiono come incompiuti. In effetti hanno percorso un ciclo di utilità e ora sono simbolo di una società, di una laboriosità, di un ardimento.
Quell’architettura oggi non la vorremmo finita, no! Non si può.
Le rovine del Mantegna sono il mondo antico che ritorna è il mondo di architettura romana nel “San Sebastiano”. Nell’”Adorazione dei Magi” di Leonardo nello sfondo è un edificio in costruzione, una proiezione in avanti nel tempo.
Positiva.
Come nella “Città che sale” di Boccioni, l’atto finale si deve ancora compiere, è un’architettura in divenire.
La Fornace – ho scritto più volte e come riporto ne libro “Fornace Penna di Pisciotto” – non è rovina antica, vediamola come un’architettura in cantiere, che sta per essere costruita ed è incompiuta. Ma in quella incompiutezza ha una sostanza profonda di verità. La trasposizione dall’artificio al sublime della naturalità. Trattasi di un’architettura in movimento. Invece di salire – come in Boccioni – ora scende. Nel suicidio del materiale che dopo il salto risolutore – toccato terra – torna alla grande madre, torna ad essere materia.
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