Benessere
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29/05/2025 09:25

La nuova piramide della dieta mediterranea

Legumi da privilegiare, carni da ridurre, anche quelle bianche. Pollice su per i formaggi freschi, patate contingentate e una pioggia di verdure e frutta. Il nuovo modello della Società di nutrizione umana

di Redazione

Sale, zucchero e vino catturano l’occhio, così come il consiglio: meno è meglio. La nuova piramide della dieta mediterranea sterza decisamente verso un’alimentazione che privilegia le proteine vegetali dei legumi rispetto a quelle delle carni, mettendole sullo stesso piano di pesce e formaggi freschi, mentre relega carni rosse e lavorate in cima alla piramide, dove il consumo è solo occasionale, insieme a quello di dolci e dolciumi, e blocca le carni bianche al penultimo livello, quello di un consumo di non più di due volte a settimana. Come le patate: non sono vegetali, non possono essere servite come contorno al posto delle verdure e quindi restano in alto, consumate una volta a settimana. Ma allora che resta da mangiare, direte? Una valanga di frutta e verdura, da mangiare ogni giorno con i cereali, ovvero pane, pasta e riso ma integrali, e olio, ma solo quello extravergine d’oliva e non un generico olio d’oliva o di semi.

La nuova piramide alimentare mediterranea, che raccoglie le più recenti evidenze scientifiche e tiene conto delle abitudini alimentari cambiate, tenta di dare una sterzata al crollo di aderenza, soprattutto nei più giovani, rifacendosi sia alle Linee guida per una sana alimentazione del Crea che ai Larn della stessa Sinu, la Società italiana di nutrizione umana, che è la società scientifica che l’ha appena presentata. Se ci riuscirà è tutto da vedere visto che soprattutto i più giovani si sono molto allontanati dal modello alimentare mediterraneo per sposarne uno con troppe proteine animali e pochi vegetali, considerato che il 47% di bambini e adolescenti italiani dichiara di mangiare carne tre volte a settimana.

Cambiare la vecchia piramide del resto era inevitabile. “Le piramidi devono adeguarsi alle evidenze scientifiche – precisa Francesco Sofi, membro del comitato scientifico Sinu e docente di Scienza dell’Alimentazione all’università di Firenze – e su alcuni alimenti i dati sono inequivocabili, come nel caso delle carni rosse e di quelle lavorate dei salumi, il cui consumo deve essere limitato e occasionale, soprattutto quello degli insaccati. E risulta che invece i consumi siano importanti tra carni lavorate e insaccati, di 3, anche 4 volte a settimana tra panini, antipasti e farciture”.

Diminuire drasticamente la carne rossa, sostituendola con quella bianca è stato un consiglio ripetuto con convinzione negli ultimi anni. In questa piramide – però – le proteine di pollo e tacchino non sono sullo stesso livello di pesce, formaggi magri e legumi. “Sono sempre proteine animali – continua Sofi – e abbiamo meno dati su queste carni, rispetto alle rosse. In ogni caso hanno grassi anche le carni bianche e anche contaminanti, quindi non suggeriamo di consumarle più di 1-2 volte a settimana”.

 

Nella vecchia piramide i formaggi erano tutti insieme. Oggi ci sono i formaggi freschi più magri – ricotta, mozzarella, caprini e molti altri – nella parte bassa del consumo settimanale e quelli stagionati più in alto.

Retrocesse le patate, consumate dai più giovani, spesso fritte, e servite al posto di contorni vegetali anche nei ristoranti. Ma le patate non sono verdure e non sono neppure assimilabili – come venivano considerate in passato – ai carboidrati al pari di pane e pasta perché hanno un indice glicemico più alto. “Tradizionalmente venivano posizionate con i cereali ma era un errore perché non è un prodotto da tutti i giorni, sia per le modalità di consumo, spesso fritte, sia perché non devono essere confuse con le verdure. E quindi bene che stiano in alto con uova, pollame e formaggi stagionati”.

Ma il capitolo più importante, che probabilmente provocherà non poche polemiche, è quello che riguarda il consumo di vino. Che in precedenza era sempre stato considerato parte della tradizione mediterranea a tavola e che adesso viene etichettato come “meno è meglio”. Un passo avanti importante che tiene conto anche delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, dello Iarc e di molte altre istituzioni. Perché le evidenze scientifiche sono chiare. “C’è stata una discussione molto vivace tra di noi – racconta Sofi – perché gli studi sono chiari, soprattutto in ambito oncologico l’alcol è un fattore di rischio, senza alcun limite di soglia. E poiché i consumi abituali e non contenuti sono in crescita tra i giovani ci sembrava corretto mandare un messaggio chiaro. Il vino resta una componente della nostra storia e della cultura tradizionale mediterranea, ma non è consigliato né raccomandato. Ovvio che un consumo moderato, occasionale e durante i pasti fa parte della nostra tradizione, però abbiamo il dovere di mettere in guardia”.