Cultura
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18/04/2017 09:58

La Pasqua sciclitana e quella degli altri

Affinità elettive

di Un Uomo Libero.

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Il Risorto di Tarquinia
Il Risorto di Tarquinia

Scicli – Tutto ciò che avevo da dire sulla Pasqua sciclitana l’ho scritto in parecchi saggi che ormai hanno fatto anche storia.
Ma un’ultima cosa vorrei proprio aggiungerla, oggi, lunedì dell’Angelo, giorno in cui la Pasqua è stata celebrata e si pensa alla Pasqua del prossimo anno.
Come sempre, lascio a menti più degne e più documentate il compito di disquisire sull’origine antica della festa a Scicli.
Non posso, tuttavia, smettere di porre l’accento sul valore “civile” della Pasqua sciclitana, facendomi forte delle poche ma credibili notizie tramandatemi da mio padre, uomo dell’Ottocento, al quale mio nonno già aveva raccontato per parte sua.
Ad alcuni amici di Tarquinia che più volte hanno insistito nell’accomunare la festa di Pasqua di Scicli alla loro, dico purtroppo, deludendoli, che le apparenze spesso ingannano.
Ho curiosato quest’anno in Internet, utilizzando il programma You Tube, per capire quanto di vero ci fosse nelle loro affermazioni. Sostanzialmente le due feste sembrano identiche.
Un Cristo Risorto mezzo denudato, molto simile al nostro “Uomo Vivo”, è caricato da portatori e, al suono di una marcetta, fa il giro del centro della città tra scoppiettii di bombe e spari di fucili a salve.
Tutto comunque molto composto.
Per la gente di Tarquinia e dintorni questa processione pasquale rappresenta, è vero, un modo originale anche se insolito di rapportarsi al sacro.
Tutto questo nulla ha a che vedere con l’Uomo Vivo di Scicli.
La Nostra festa di Pasqua esprime qualcosa d’insolito che non è solo originale giubilo cristiano.
Il Cristo sciclitano fu modellato da Francesco Pastore, uno scultore attivo a Catania alla fine del Settecento, sicuramente sull’altro marmoreo ben più celebre e importante del Gagini che presiede l’altare maggiore della Cattedrale di Palermo. La statua, arrivata in città alla fine del Settecento, acquistò, però, solo nella seconda metà dell’Ottocento un simbolismo speciale. Le masse operaie la scelsero, infatti, come icona laica di una lotta di classe che divampava proprio alla fine di quel secolo tra bracciantato e borghesia arricchita e si coagularono sotto la sua bandiera rossa, brandita con mano potente e braccio steso.
Molto saggiamente nell’ultimo restauro di alcuni anni fa è stato deciso di non riportare alla luce il colore originale rosa della sindone che in parte ricopre il corpo nudo del Cristo. Sindone che una mano sapiente ridipinse, in un tempo imprecisato, di un colore rosso (lo stesso colore della bandiera!), a voler stigmatizzare per sempre il ruolo sociale di capo polo che la statua assunse.
Il baccanale che si scatena tra i portatori del Cristo che lo innalzano al cielo forse per negarlo definitivamente alla morte ha qualcosa di dionisiaco che l’altra processione di Tarquinia non ha.
Senza dubbio, all’altra manca l’intemperanza mediterranea e sanguigna che non teme il sacrilegio e sfida per un giorno il mondo delle ombre, appropriandosi di una nuova vita che fu, in effetti, sua per sempre.
Come una divinità ctonia, il nostro “Uomo Vivo” ritorna, infatti, a visitare il popolo che lo ama, rinnovando il mito eterno della primavera. Appare a mezzogiorno come un lampo sulla porta della chiesa che per un intero anno è stata il suo inevitabile sepolcro. E dopo questa attesa teofania vivrà di vita propria per un giorno solo, uno solo, quanto basta per rimanere nel cuore della gente, vivo, come lo vuole e lo invoca, idolo del suo delirio.
Magari potessero i nostri cari venire per un giorno a visitarci!
Ma Lui non è un parente qualsiasi.
È stato il compagno di mille generazioni di sciclitani e lo sarà per molti anni ancora. Oltre le mie parole e il tempo limitato degli affetti.
Non per niente è il Signore della Nostra Storia.