Cultura
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12/07/2008 20:41

La terza puntata de La finestra sul cortile di Andrea Camilleri

di Redazione

Riassunto seconda puntata

Il questore svela al commissario il motivo della sua convocazione a Roma: un corso d’aggiornamento al Ministero. In commissariato, Montalbano chiama il coordinatore del corso, il dottor Trevisan, e viene a sapere che sarà tenuto da un collega belga, Antonin Verdez, e sarà frequentato da poliziotti di tutta Europa. Trevisan gli fa un’unica richiesta: “Porti con sé la felpa”, in previsione delle lunghe passeggiate mattutine alle quali lo coinvolgerà Verdez. Gianni, un suo vecchio amico, si rende disponibile a lasciargli le chiavi del suo appartamento in via Oslavia…

Terza puntata

Alla trattoria da Enzo arrivò con una facci da dù novembiro. Tanto che appena che lo vitti comparire, Enzo s’appagnò. “Che fu, dottore? Successe cosa?”.
Arrispunnì murmurianno:
“Rotture di cabasisi, Enzo”.
“Dottore, haiu ‘na pasta al nivuro di siccia che fa arrisbigliare i morti”.
“Portamela, vediamo se è capace di fari arrisbigliare macari a mia”.
“Ma vossia sino a prova contraria non è morto”.
“Picca ci manca” fici Montalbano pisanno a come si sarebbe sintuto doppo ‘na longa passiata mattutina agli ordini di Verdez.
Alla prima furchittata di pasta, capì che non sarebbe arrinisciuto a mangiarisilla. Si sintiva la vucca dello stomaco stringiuta da un pugno di ferro, non ci sarebe potuta passare ‘na spingula.
“Che fa, non le piace?” gli spiò Enzo a mità tra lo sdilluso e il minazzoso.
“Mi piace, ma non ho pititto”.
“Allura veramente morto è” fu il commento di Enzo.
Niscì dalla trattoria senza aviri mangiato nenti. Epperciò non c’era nicissità della solita passiata digestiva e meditativa fino alla punta del molo. Sinni tornò in ufficio. Catarella s’appreoccupò a vidirisillo davanti doppo manco mezzora che era nisciuto.
“Dottori, ma ci andò a mangiare?”.
“Certo”.
“E como fici a fari accussì di prescia?”.
“Mi sono fatto mettere tutto in un unico piatto, la pasta al nivuro di siccia, tre triglie fritte, un bicchiere di vino, uno d’acqua e il cafè”.
Catarella fici ‘na facci strammata e scuncirtata.
“Tutto insieme insiemato?”.
“Certo. Tanto nella panza tutto l’insieme non s’insiema?”.
Catarella lo taliò ammammaloccuto e non replicò.
Doppo manco cinco minuti ch’era assittato trasì Fazio.
“Un tentativo d’omicidio ci fu. Ora ora telefonarono. Hanno sparato a un avvocato che si chiama Fillicò Cesare. Mentri sinni stava tornando alla so casa. L’hanno pigliato a una spalla, è allo spitale di Montelusa. Viene?”.
“Dove?”.
“Io direi di cominciare interrogando l’avvocato”.
“Va bene, vacci”,
“E vossia?”.
“Io che c’entro?”.
“Come che c’entra? Vossia non è il dirigente di questo commissariato?”.
“Fazio, m’ha chiamato il questore per dirmi che sono stato prescelto”.
“A vossia?” spiò Fazio ammaravigliato.
Montalbano s’irritò. Pirchì tanta maraviglia? Che era un rottame? ‘Na pezza di pedi?
“Perchè, secondo tia non sono digno di esssere prescelto?”.
“Ma certo, dottore, vossia è degnissimo. Ma a fare cosa?”.
“A seguire un corso d’aggiornamento a Roma”.
Fu allora che Fazio accapì il motivo del malumore di Montalbano. Lassare la casa di Marinella, non farisi la solita natata quanno che gli spirciava, non mangiarisi le triglie di Enzo… Pejo di ‘na quaresima! Si susì.
“La facenna dell’avvocato la vado a dire al dottor Augello”.
“Bravo, se ne occupi lui”.
Passò il doppopranzo senza aviri né forza né gana di fari nenti.
A un certo momento non ce la fici cchiù, gli ammancava l’aria, niscì dal commissariato e sinni tornò a Marinella.
Arrivò che il sole principiava a tramontare. S’assittò sulla verandina. A ponente il cielo era tingiuto di un rosso-arancione che stingeva supra il mari. Si sintì tanticchia racconsolato, il nirbuso c’era sempre, ma era addiventato sopportabile. Annò in bagno, si spogliò, s’infilò il costume, dalla verandina scinnì supra la pilaja. La rina era ancora cavuda. Ma era ‘ngannevoli, pirchì l’acqua del mari era fridda. Doppo una decina di vrazzate, il malumore principiò a svaporare. Quanno tornò a riva, avvirtì che la natata gli aviva fatto smorcare il pititto. Raprì speranzoso il frigorifero e ci attrovò un piatto funnuto che traboccava di caponatina. Ringraziò mentalmente Adelina. Pani e caponata, il meglio mangiare. Doppo stetti a fumare assittato nella verandina. Non pinsava a nenti, taliava il colore del mari che cangiava mentre che la notti avanzava. Squillò il telefono. Si susì di malavoglia per annare a rispondere. Era Livia.
“Come stai?”.
“Bene, proprio bene” arrispunnì. “E’ una serata magnifica. Vorrei che tu fossi qua con me”.
“Salvo – fici Livia strammata dalle ultime inconsuete parole – ma ti senti veramente bene?”.
“Sì, il fatto è che stamattina mi ha chiamato il questore per dirmi che devo andare a Roma a seguire un corso d’aggiornamento e la cosa mi ha fatto diventare nervoso. Ma poi è passata”.
“Lo credo bene! Per te andare a Roma è come andare sulle alpi bavaresi!”.
“A proposito, dov’è che si vendono le felpe?”.
“Dovunque. Le trovi anche nei mercatini. Perché lo vuoi sapere?”.
“Ne devo comprare una”.
“Per chi?”.
“Come per chi? Per me”.
“Oddiooddiooddio!” fici Livia principianno a ridiri.
“Che ti piglia?”.
“Non ti ci vedo con una felpa. Oddiooddio! Saresti buffissimo!”.
Montalbano principiò ad arraggiarsi.
“Perchè, secondo te non ci ho il fisico?”.
“Ma via, Salvo, basta che ti guardi allo specchio!”.
Finì a sciarriatina sullenne.

Andrea Camilleri

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