Dalla statua che piangeva sangue la donna e il marito avrebbero incassato 300 mila euro
di Redazione
Caltanissetta – Gisella Cardia, conosciuta come la “veggente di Trevignano” e residente a Caltanissetta, è stata rinviata a giudizio assieme al marito con l’accusa di truffa aggravata.
Cardia, il cui vero nome è Maria Giuseppa Scarpulla, dal 2016 sostiene di ricevere messaggi dalla Madonna. Intorno a lei e a una statua collocata sulle colline di Trevignano Romano, in provincia di Roma, si è sviluppato un culto che ha attirato centinaia di fedeli, convinti delle apparizioni e dei presunti miracoli. Tra questi, il pianto di sangue della statua, rivelatosi poi essere sangue umano riconducibile alla stessa Cardia, e le profezie di catastrofi imminenti dalle quali i seguaci avrebbero potuto salvarsi grazie alla fede.
Secondo l’accusa, dietro la devozione si sarebbe celato un inganno: circa 300mila euro raccolti dai fedeli sarebbero stati utilizzati non per scopi religiosi, ma per acquistare terreni, finanziare lavori di ristrutturazione nella casa della coppia e persino comprare un’auto dal valore di 37mila euro.
Il culto di Trevignano non ha mai ricevuto alcun riconoscimento ufficiale dalla Chiesa cattolica, che anzi ha giudicato la “veggente” inattendibile. Nonostante ciò, il fenomeno ha continuato a crescere, alimentato da raduni e testimonianze di chi credeva nelle apparizioni. Ora, però, la vicenda si sposta sul piano giudiziario, dove sarà la magistratura a stabilire se dietro la fede si nasconda una vera e propria truffa.
Il processo a Civitavecchia
La Procura di Civitavecchia ha disposto il rinvio a giudizio per Gisella Cardia, nota come la “veggente di Trevignano”, e per il marito Gianni Cardia, accusati di concorso in truffa. Secondo gli inquirenti, i due avrebbero inscenato “apparizioni e trasudazioni della Beata Vergine” e prefigurato “futuri cataclismi e sciagure, come terremoti” per indurre i fedeli a donare somme di denaro al culto della Madonna di Trevignano. Le indagini hanno ricostruito una raccolta complessiva di circa 365mila euro che, secondo l’accusa, “non risulta destinata alle opere benefiche previste nello statuto”. Il procedimento penale avrà inizio il 7 aprile 2026 e sarà celebrato davanti al Tribunale di Civitavecchia.
«Finti cataclismi e sciagure per ottenere denaro»
Ora arriva il decreto di rinvio a giudizio firmato dal pm Alberto Liguori, che traccia le contestazioni anche dal punto di vista economico. «Un disegno criminoso in concorso tra loro – si legge in riferimento alla condotta di Cardia e marito – al fine di trarre l’ingiusto profitto costituito sia dalla raccolta di denaro dai fedeli sia dall’acquisizione di una forte visibilità mediatica, con artifizi e raggiri».
Raggiri che vengono così spiegati: «Architettare ed inscenare apparizioni; trasudazioni da una statuetta della Madonna e da un quadro raffigurante il Cristo; comparsa di scritte in aramaico contenenti messaggi mariani; comunicazioni ricevute dalla Madonna nel corso delle apparizioni che venivano poi trascritte sul web; trasformare il loro domicilio e, successivamente, il terreno sito in Trevignano Romano, località “Campo le rose”, in luogo di culto, così favorendo l’afflusso e l’adesione di numerosi fedeli; paventare ai fedeli l’avverarsi di futuri cataclismi e sciagure (come terremoti e carestie) che avrebbero potuto evitare abbracciando il culto della Madonna di Trevignano, inducendo in errore questi ultimi, che si determinavano a effettuare offerte e donazioni per sostenere la Madonna di Trevignano».
«Con i fondi dei fedeli comprata una Mercedes»
In particolare, scrive ancora il pm, Cardia e marito «organizzavano una raccolta fondi per finanziare l’associazione “Madonna di Trevignano”, nel frattempo costituita e deputata alla gestione dell’opera pseudoreligiosa che, per come sopra ideata e realizzata, induceva in errore taluni che, confidando nella genuinità delle apparizioni, si determinavano a offrire somme di danaro in favore dell’associazione e, in una occasione, dello stesso Cardia».
Somme che venivano poi impiegate per «l’abbellimento e l’ingrandimento del terreno di culto», sulla collina di Trevignano appunto. Tra gli esempi citati «l’acquisto del terreno agricolo “Campo le rose” (50.000 euro), la recinzione del fondo (24.402 euro), box auto (11.200 euro), autovettura marca Mercedes (37.900 euro), terreno agricolo a Trevignano Romano 32.500,74 euro».
La lista di donatori
Sul decreto c’è anche la lista di donatori. Primo fra tutti Avella Luigi, il “pentito”, che per primo ha denunciato di essersi sentito truffato: «Temendo pericoli – scrive il pm – per la sua salute (3 episodi di trombosi) e di quella della moglie Francesca Pepe, rimasta gravemente ferita a seguito di un sinistro stradale, versava nel tempo 92 mila euro in favore dell’associazione Madonna di Trevignano». Poi «Pepe Francesca donava 30 mila euro a Cardia, somma che veniva accredita sul conto personale di quest’ultimo» e «Fournier Gabriella donava al!’associazione Madonna di Trevignano la somma complessiva di 40 mila euro, in parte spesi per l’acquisto di un pulmino e in parte per la costruzione di un parcheggio per il fedeli».
E’ stato calcolato che, tra il 2018 e il 2023, le somme confluite nelle casse dell’associazione «Madonna di Trevignano», a titolo di donazioni ed erogazioni liberali da parte dei fedeli, ammontano a più di 365 mila euro, somma che non risulta destinata alle opere benefiche previste nell’articolo 3 dello statuto della stessa associazione.
Il pm: «I fedeli si sentivano in pericolo»
«Detta associazione – si legge ancora nelle motivazioni che contestano la truffa aggravata – approfittavano di circostanze di tempo (la durata dei fenomeni paranormali), di luogo (terreno agricolo adibito a luogo di culto che, almeno in una fase iniziale, sembrava aver avuto la consacrazione dell’allora vescovo di Civita Castellana monsignor Rossi) e di persona (soggetti affetti da infermità fisiche e in condizioni di fragilità psichica), tali ostacolare la difesa privata (rendendo per i fedeli particolarmente arduo comprendere di essere raggirati, anche per l’avallo del fenomeno inizialmente concesso delle locali autorità ecclesiastiche) e ingeneravano nei fedeli il timore di un pericolo immaginario per indurli a effettuare le elargizioni».
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