Cultura
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05/08/2018 13:01

L’americano

Una struggente vicenda ai tempi dello sbarco alleato.

di Un Uomo Libero.

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Sampieri e la luna
Sampieri e la luna

Sampieri – Il telefono squillò a lungo prima che Carmela rispondesse.
Era una di quelle sere di fine luglio. Il dondolo, che cullava il suo corpo, appena si muoveva in un movimento leggero, consolatorio. Davanti, il mare di Pisciotto con le sue grandi chiazze di colore che nel tramonto diventano di argento e d’oro. Lontano, sulla spiaggia affollata di gente, un brusio indistinto di voci saliva al cielo come una preghiera.
Carmela chiuse il ventaglio e lo posò su una sedia vicina, si alzò e andò verso il telefono che continuava a squillare.
-Pronto! – Disse annoiata e infastidita.
– Hallo, pronto! – Rispose una voce sconosciuta con un forte accento straniero. La voce continuò. – Sei Carmela?-
La donna fu molto sorpresa.
– Ssssi. – Balbettò confusa. – Scusi, lei chi è?-
Dall’altro capo del telefono a questa domanda seguì una lunga pausa.
– Scusi, con chi parlo? – Insistette lei.
– Sono George. – Rispose lo sconosciuto con una grande commozione nel pronunciare quelle parole.
– George? – Domandò Carmela stupita e incredula.
– Sì, sono io, George, l’americano. -Ribattè l’uomo sempre con una voce strozzata dall’emozione.
Altra lunga pausa. Riprese.
– Sono al Mediterranean Resort, qui, a Sampieri, ospite del villaggio turistico al centro della baia. –
Carmela cominciò a sudare non per il caldo ma per l’improvvisa ressa dei ricordi.
– Ti ho cercata a lungo, sai? – Ammise l’americano.
– Ricordavo perfettamente la casa e così, descrivendola, qualcuno mi aiutò a rintracciarti.-
– Quanto tempo! – Esclamò lei.
-Sì. Ma per me il tempo non è mai passato e riascoltando la tua voce mi sembra appena ieri. – L’americano parlava ora nervosamente e in fretta in un italiano intriso di dialetto.
Una lacrima calda e irresistibile scese sulle guance invecchiate della donna.
Altra lunga pausa.
– Posso vederti? – Chiese l’uomo con un’esitazione inattesa nella voce.
– Non so… – Balbettò lei. – Sì, ma dovrei prima spiegare a mio marito…così all’improvviso… –
– Ok! – Rispose lui, rassicurato e comprensivo. – It’s correct! – Domani ti richiamo e mi dirai. Bye. –
Carmela abbassò la cornetta del telefono visibilmente commossa. Il marito riposava sulla sdraio vicina al suo dondolo.
– Che ti succede? Chi era quel tipo al telefono? – Domandò, vedendola tanto turbata.
Lei sedette, aprì tutto il ventaglio e con esso cercò di nascondere l’evidente imbarazzo. Non rispose.
– Non sarà un molestatore, spero. – Concluse, incuriosito dalla sua emozione.
– È una vecchia storia – disse finalmente lei, tirando un sospiro di sollievo per una forza che le veniva dal cuore.
– Quando era imminente lo sbarco alleato e lo aspettavamo da tutte le parti, mio padre riunì la famiglia e, per metterci in salvo, volle che ci trasferissimo in una casa di campagna non distante dal mare. Era qui sulle colline vicine. Una vecchia casa signorile malridotta che lui aveva acquistato dagli antichi proprietari e che aveva aggiustato per noi. Partimmo a primavera dal paese su mezzi di fortuna© portando solo il necessario per non morire di fame e sopravvivere. Eravamo spensierati e allegri tuttavia. Io, mia sorella e i due fratellini ci adattammo senza grossi problemi.
Una notte di maggio sentimmo il rumore insistente e sinistro dei caccia in perlustrazione sul cielo di Sampieri.
Mio padre ci riunì nel salone più grande della villa e volle che rimanessimo insieme stretti gli uni agli altri.
Subentrò un silenzio di tomba che nessuno osava disturbare. I fratellini si addormentarono fra le braccia di mia madre e di mia sorella maggiore.
All’alba, qualcuno bussò al portone. Prima dei timidi colpi poi sempre più decisi e forti.
Mio padre imbracciò il suo fucile da caccia e senza fare rumore scese le scale e si avvicinò al portone cercando di scrutare da alcune piccole fessure chi era fuori nel baglio a bussare.
Vide un uomo coperto di stracci bianchi e gli sembrò più che una mummia un vero fantasma.
-Altolà! – Intimò da dentro. -Che volete?-
Lo sconosciuto balbettava parole strane in un idioma incomprensibile. Pronunciò però un nome che non era sconosciuto a mio padre. Era un nome delle nostre parti, che lui conosceva bene perché apparteneva al cognato di una cugina di sua madre emigrato in America dopo la Prima Guerra Mondiale. Spalancò fiducioso il portone sempre imbracciando il fucile, ma subito lo abbassò perchè quell’uomo che era davanti a lui era sporco, ferito e tremante, tutto avvolto ancora nei brandelli del suo paracadute.
Papà lo fece entrare, lo portò su, da noi, diede ordine a mia madre di accendere il fuoco e mettere sopra un paiolo con l’acqua per lavarlo e disinfettare poi le sue ferite. Ci stringemmo nelle nostre camerette e gli facemmo posto riservando una delle nostre per lui.
Era un giovane bellissimo. Un lontano cugino americano scoperto per una fortunata e strana coincidenza, uno dei tanti soldati paracadutati nella notte che i nostri Caccia cercavano.
Mio padre non aveva mai manifestato grandi simpatie per la dittatura fascista e aspettava lo sbarco alleato più che gli ebrei il Messia.
Non ci furono né domande da parte nostra né giustificazioni da parte sua. Accettammo l’ospite in silenzio e ci adattammo a convivere con lui.
George, il suo vero nome, era un giovane promettente, tenente dell’esercito americano. Imparammo a nasconderlo quando un pericolo esterno poteva svelare la sua presenza tra noi. Per fortuna le sue ferite erano solo escoriazioni di poco conto e graffi causati dai rami degli alberi che avevano attutito l’impatto del suo paracadute contro il suolo. George apprese in fretta e bene il nostro dialetto e qualche parola di Italiano. Quando avvenne lo sbarco alleato, lui si presentò purtroppo al comando e da quel giorno le sue notizie si persero con il vertiginoso accavallarsi degli eventi.-
Il marito la guardava stupito.
-Non mi hai mai raccontato questa storia. – La rimproverò dolcemente.
Lei tacque a lungo.
– George fu il mio primo amore. Un amore adolescenziale. Non potevo. Non volli. – Rispose chiudendo gli occhi che bruciavano di pianto, davanti a un mare che rifletteva le prime tremule luci della sera.
-Anch’io m’innamorai di una ragazza prima di te. Una compagna di classe che non ricambiò mai i miei sentimenti, per questo amore adolescenziale non mi sento ora colpevole. Né potrei più essere geloso di te da vecchio. – La rassicurò saggiamente il marito.
-Vuole incontrarmi – lo informò Carmela – domani richiamerà per avere una risposta.-
– Se vuoi il mio permesso, sono disposto a dartelo. Ma io non sono il padrone della tua anima e il tuo corpo non è schiavo della mia parola. Devi deciderlo tu. Nessuno potrà aiutarti. Abbiamo trascorso tanti anni insieme e scopro tuttavia di non conoscerti appieno, di non averti interamente posseduta e per fortuna ch’è stato così! Ci sono zone d’ombra, momenti nella vita di un uomo o di una donna talmente intimi che sfuggono a ogni controllo della ragione ed esistono solo perché vogliono esistere, a dispetto anche dei principi che ci governano e delle decisioni che si adottano. In questi casi, bisogna solo affidarsi al cuore e se il cuore comanda nessuna forza al mondo potrà resistergli. –
Il giorno seguente alla stessa ora il telefono squillò. Carmela aveva atteso quella chiamata con timore e trepidazione insieme.
George era più rinfrancato nella voce.
Lei gli diede l’indirizzo e lo aspettò abbandonata sul suo dondolo, sulla terrazza prospiciente il mare. George non tardò molto a venire. Era tanto cambiato. Non era il giovane forte e biondiccio dei suoi sbiaditi ricordi. Ma gli occhi azzurri erano ancora vivi e fissi su di lei come quella notte in cui il padre lo aveva salvato.
Il marito aveva preferito allontanarsi per rendere meno imbarazzante l’incontro.
Lui sedette sul dondolo accanto a lei, senza staccare per un solo minuto lo sguardo dal viso di Carmela.
– I miei figli hanno voluto regalarmi questo viaggio per il settantesimo compleanno. – Le raccontò. – Sono vedovo da molti anni ma il ricordo del nostro amore giovanile ha marcato sempre ogni momento della mia vita e anche ogni attimo di quella della mia famiglia. Ci sono fatti e persone nella storia di un uomo che non si riescono a dimenticare o a rimuovere e tu sei stata sempre con me come un angelo buono che regalò per caso e senza nulla chiedere giorni di felicità a un ragazzo che era stato destinato alla vittoria o alla morte. –
Le prese la mano e gliela strinse forte. Lei chiuse gli occhi.
– Non ho potuto scrivere – si scusò – perché non era permesso durante l’avanzata. Ci cambiavano in continuazione di destinazione. Poi la distanza e gli incarichi militari fecero il resto. Se sono qui, però, è perché mai ti ho dimenticata.
Domani partirò. Questa volta, sarà un viaggio lungo che mi porterà lontano, in una terra dalla quale non sarà più possibile il ritorno. Là ti aspetterò e non ci saranno distanze a separarci.-
Lei aprì gli occhi e lo guardò sorpresa e incuriosita.
George abbassò gli occhi e annuì con la testa.
– Sì. – Aggiunse. – Hai capito bene e lo hanno capito bene anche i miei figli. I miei giorni sono contati per un Parkinson che mi è stato diagnosticato e non potevo morire senza rivederti per un’ultima volta. –
Carmela ebbe un fremito strano e un attacco di pianto la fece sussultare sul dondolo. Gli accarezzò il capo con la mano, abbracciandoglielo, come faceva sempre dopo averglielo fasciato nel letto della sua stanza nella villa. Sentì le lacrime di lui bagnarle le dita.
Non disse nulla perché le parole erano ormai inutili tra loro.
Rimasero ad aspettare che la luna tramontasse all’altro corno della baia persi così in un’estasi esistenziale che solo la forza dell’amore vero conosce e dà.
Il marito li trovò quasi appisolati sui loro vecchi ricordi.
Fu molto gentile con l’americano e questi con lui. Lo accompagnò con la sua macchina fino all’ingresso del centro vacanze.
-T’invidio. – Gli disse George, salutandolo. – Hai avuto la fortuna di vivere tanti anni con la donna che fu l’unico vero amore della mia vita.-

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