Attualità
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13/10/2008 18:51

L’asilo e le suore. Suor Concetta è morta. Quattro anni fa

di Redazione

Giovedì scorso è stata una giornata un po’ strana per me. La sera, a cena, raccontavo ai miei cugini dei fatti accaduti e, parlando di cose strane che sarebbero potute succedere, giusto per completare la giornata, dissi:
–         Non mi stupirei che mi chiamasse Suor Concetta!
 
Quando ero piccola, i miei decisero, per fortuna per un solo anno, di mandarmi all’asilo dalle suore. Scelta che non ho mai approvato. La mia disapprovazione di bambina si manifestava in crisi di pianto, isterismi degni di una prima donna da palcoscenico, mattinate passate a piangere sdraiata per terra all’asilo o a vomitare, febbri e dolori improvvisi pur di non frequentare quel luogo. Quel luogo è una triste costruzione del villaggio Jungi. Triste, proprio triste. Bassa e colorata come un ospedale (ovvero di grigio e bianco sporco e forse anche marroncino), con un giardino che non era un giardino. Adesso, hanno ridipinto la scuola elementare di fronte di diverse tonalità, blu, giallo, rosso, e probabilmente i bambini che ci vanno sono più felici. Io, lì dentro, non lo ero. E non è che non volessi socializzare con gli altri bambini, sono sempre stata una gran chiacchierona, figuriamoci. Avevo persino le mie cugine nella stessa classe, ma quello non poteva essere un luogo per bambini felici. Un pullmino marroncino passava al mattino a raccogliere i bambini davanti alle proprie case, poi appena entrati, alle 8, ci facevano sedere su panche di legno nella sala grande e ci facevano ascoltare canzoni tristissime sulla Vergine Maria e su gente morta bambina che poi diventava santa. Hai voglia di spiegare a una bambina di tre anni che quella quasi coetanea era felice perché era con Gesù ed era diventata santa, io l’unica cosa che riuscivo a capire è che quella bambina non sarebbe mai diventata grande, che era morta ancora piccola e che aveva dovuto scambiare una mamma e un papà tutti suoi con una mamma e un papà che dovevano badare all’intera umanità. In classe, poi, ognuno di noi doveva avere un simbolo, cucito sulle tovagliette e che identificasse l’armadietto: io avevo un cane. E non un labrador o un cane bello con dei grandi occhioni, no. Un cane secco secco, bianchiccio come i muri dell’asilo, ritratto di profilo. Una tristezza infinita. Avevamo anche dei grembiuli bianchi e si sa che il bianco ingrassa. E vogliamo parlare del pranzo? Se solo penso che mia cugina voleva la pasta col brodo bianco…Insomma, non ho nemmeno un ricordo felice in quella scuola, anche perché, diciamola tutta, le suore non avevano certo vinto la fascia di Miss Simpatia. Ma c’era una suora, che era tanto brava. Una suora che aveva un viso gentile e un modo di parlare garbato, che non ti rimproverava mai, ma che provava sempre a farti sorridere. Si chiamava Suor Concetta. Ecco, forse un ricordo felice ce l’ho. E’ il ricordo di questa suora minuta, chiusa in un abito malinconico, che sorrideva sempre e non urlava mai. Ecco perché Giovedì sera mi è venuta in mente lei.
 
–        Ma Suor Concetta non ti può chiamare – dice Guglielmo – Suor
Concetta è morta.
–         Come morta?
–         Morta??? – fa eco mia cugina.
–        Sì, quattro anni fa almeno, mi pare.
–        No, non può essere. Chiamo mia madre – dice Alessandra. E la chiama. E mia zia conferma che Suor Concetta è morta.
Ho pianto. E se ci penso piango ancora.
–         Perché piangi adesso – dice Guglielmo – è morta quattro anni fa!
–        Ma per me è morta adesso. Se tu non me lo avessi detto, per me sarebbe ancora viva! Mi spiace tanto, è stata una giornata difficile. Per questo piango.
E forse piango anche perché è morto l’unico ricordo felice di quel periodo all’asilo ed ho paura che rimangano vivi solo i ricordi bui.


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