Tra scomuniche e retta via
di Redazione


Madrid – Una settimana fa uomini di chiesa amici, incardinati in una diocesi siciliana, mi hanno chiamato per telefono allo scopo di saperne di più su un sacerdote ortodosso della mia città e altri di città vicine.
Caddi dalle nuvole.
In questi giorni mi collego a Ragusanews e scopro che proprio nella mia diocesi di Noto si è consumato un vero e proprio scisma.
Roba da matti. Sulle prime ho pensato a una burla, poi a un colpo di calore ma dovetti invece ricredermi perché lo scisma si era consumato davvero.
Non sto qui a commentare la posizione della Curia Diocesana o l’altra dei fedeli incorsi nella prevista scomunica “latae sententiae”, comminata dal Codice di Diritto Canonico della Chiesa Cattolica Romana.
Già dai primissimi albori della Chiesa Nascente la comunità dei credenti assistette perplessa ed esterrefatta a un curioso e strano battibecco tra Paolo, il peccatore pentito, e Pietro, l’apostolo prediletto cui il Maestro aveva affidato le sorti della sua predicazione.
Avvenne durante il primo Concilio di Gerusalemme nell’anno Cinquanta.
Paolo, in quell’occasione, non si “oppose” a Pietro per delle stupidaggini bensì si confrontò con lui per affermare la libertà della predicazione evangelica rivolta anche a persone che nulla avessero a che fare con l’ebraismo e la sinagoga.
Una questione di un’importanza universale, dunque, che fu risolta sulla parola della fede.
Altri dissapori ci narrano gli Atti degli Apostoli. Ma sono liti che sorgono tra i primi cristiani per motivi seri, di grande interesse.
In seguito la Chiesa dovette fare i conti con una miriade di sette, di uomini e donne invasati, di maghi e di ciarlatani.
La parola di Dio non può però essere piegata al nostro capriccio. Infatti, di solito, ogni tentativo è finito, nell’arco dei millenni, in una più o meno gigantesca bolla di sapone.
E questo lo intuì perfettamente Francesco d’Assisi che mai si lasciò tentare dall’idea di allontanarsi dalla Cattedra di Pietro per fondare un nuovo ordine che sarebbe tranquillamente potuto diventare una nuova “chiesa” come ce ne sono tante oggi in questi tempi moderni. E il papato dell’epoca non solo non era santo ma addirittura pare che fosse permeato di peccato e fortemente radicato nella dimensione temporale. Eppure Francesco resiste e, come Paolo, non solo non sbatte la porta in faccia a nessuno ma resta per testimoniare, a una comunità disorientata e persa, la sua incondizionata fiducia nel Risorto. Francesco vince. Ecco il segreto di Francesco: la forza della testimonianza che fa grande i santi nella Storia.
Ho letto la lettera di quel Nicolas (patriarca di quale Chiesa Ortodossa?) a Mons. Crisostomo, vescovo della Chiesa Ortodossa Autocefala d’Europa (immagino) il cui esarcato di Sicilia è nato proprio in questo maggio scorso e che non mi pare, alla data in cui scrivo, essere riconosciuta dal Consiglio delle Chiese Ortodosse. Lettera pubblicata in appendice alla notizia dello scisma che francamente mi delude.
Questo signore avrebbe potuto veramente dimostrare hic et nunc le ragioni della sua speranza, per dirla con San Pietro. Invece, l’unica cosa che nel suo messaggio ha saputo fare è stata affilare le parole per restituire anatemi e giudizi a chi, secondo il suo personale convincimento, aveva giudicato e condannato delle scelte di fede fatte da persone a lui molto vicine.
Avrei preferito a queste parole altre parole più sagge, di preghiera e di perdono, senz’altro più adatte a un vero uomo di Dio quale egli vorrebbe accreditarsi ed essere. Rispondere sfoderando le armi non è evangelico è settario e, per ciò, scandalizza le coscienze.
Un classico auto goal.
La fede, si sa, è un dono di Dio che nulla ha a che fare con il nostro ridicolo capriccio di piccoli uomini. E’ un dono talmente grande che trasforma le vite, le stravolge come stravolse quella di Paolo.
E le cose di Dio, pensavo, sono perle e non fango. Bisogna trattarle, dunque, con quel sacro timore e tremore che esse suscitano e richiedono. Mosè coprì il volto sul Sinai ed Elia si copriva col mantello quando sull’Oreb sentiva Dio passare come un venticello leggero.
Non possiamo ridicolizzare, allora, fosse pure per un semplice e passeggero capriccio, ciò che non ci appartiene.
La nostra pochezza non può e non deve sfidare, dunque, l’Eterno perché incorreremmo ancora nell’antico peccato di Lucifero.
Ho l’impressione, per ciò, o, meglio, il sospetto che in tutta questa vicenda la fede nel Risorto sia stata solo un futile e puerile pretesto. Una polemica sterile, questa dello scisma, a mio modesto parere alimentata ad hoc da chi, per vicissitudini personali molto travagliate e note, non può che suscitare seri dubbi circa l’autenticità della propria vocazione sacerdotale.
Un coup de théâtre architettato sicuramente ad arte da chi palesemente ignora o ha studiato con superficialità la Storia della Chiesa.
Non potrebbe essere diversamente, infatti, perché, ad esempio, il Consiglio delle Chiese Ortodosse (quello vero!) mai avrebbe accettato d’intitolare un tempio a San Francesco d’Assisi, santo non riconosciuto dall’Ortodossia, come, invece, è accaduto proprio a Licata.
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