di Socrathe

Un giornaletto comunista che non se lo legge nessuno e che campa con le storielle delle fimminazze di Bari, ma anche con la malalingua e la mancanza u’ cchi ‘ffari(1), oggi, sentite un po’, se la prende con il nostro amatissimo compare Raffiele, Lombardo solo di cognome, precisiamolo, catanese di razza fina e bedda come la lumìa(2) di Grammichele. Perché? perché il nostro Presidente ha questo disgraziatissimo vizio di farsi tastare(3) tutto da Maria.
«Maria fammi u cafè». E Maria fa ‘u cafè e nello stramentri(4) lo tasta. «Maria vogghiu a pasta che saddi», e Maria fa a pasta che saddi(5) e la tasta. Pirchì mio compare Raffiele, non vi offendete se lo chiamo compare, ma qui in Sicilia semu tutti compari, pi’ ‘na cosa o per altra, non si fida di nessuno e il mangiare se lo fa ‘mpiattare(6) solo da Mariuccia, una bedda fimmina tutta casa e chiesa che da quindici anni ci prepara da mangiari, ci piglia gli appuntamenti, e ci leggi macari ‘u giurnali a Raffieluzzu nostru. E che c’è di male! Mariuccia femmina devotissima è. E quello scomunicato di giornalista la chiama semplicemente segretaria. A togliere pietre vive dai campi lo manderei, a spietrare dovrebbe andare, altro che a scrivere sui giornali. E poi che c’era motivo di cuntarlo a tutti?
Non la dovete prendere a male, ma io il Presidente lo conosco benissimo, e se Raffiele si fa tastare il caffè e il mangiare da Mariuccia, è che non si fida di nessuno, di nenti e di nuddu(7), specialmente con questo lustro di luna(8), chè ha mandato a casa so’ cumpari Totucciu e i figghi so’, e non ne vuole sentire di farli acchianare(9) di nuovo al governo. Non ne vuole sentire proprio. Fa lu spertu(10) Raffiele, però si scanta(11). Ma non tanto di Totucciu, beddu comu a Sant’Alfio, quantu de’ figghi so’, quelli dell’uddiccì, li chiamano accussì -è che non sono pratico assai di politica, scusatemi- piriculusi e tradimentusi. Chè un giorno un onorevole figghiastru di Totucciu si lassò scappari na frasi: “Raffieli, tuttu chiddu ca ti mangi t’ha ‘ffari vilenu!(12) E Raffieli, che non si scanta manco del diavolo e che però teme le stime e la jattura(13) peggio dell’uomo nivuru pi’ ‘npicciriddu(14), ha consumato per le feste la povera Maria, costretta a tastare il mangiare e tuttu chiddu che ci portano sul tavolo, solo perché ha paura di cadere nella stima che gli ha mandato quell’amico suo. Voi direte, macari u’ cafè deve tastare Maria? Macari u’ cafè! Biniditta e santa fimmina. Beatu cu l’avi e cu’ si la ritrova ‘ntra la casa.(15) Questo doveva scrivere il giornalista, no che se ne esce con le fissazioni del Presidente Lombardo, che ci ha fatto scantare tutti con quel titolo. Disgraziato e mangia pane a tradimento.
Raffiele, alle jatture ci crede. Tanto che si è accattato 2 macchine tedesche di quelle grandi tutte abblindate, che ci sono costate quanto tutta la Germania e più assai di organizzare la festa di Sant’Agatuzza bedda per il municipio di Catania(16). «Raffieli vedi che le machine così abblindate costano assai». Ma non c’è stato verso di fargli cangiari pensiero. Anche perché so’ compari Totuccio quando era a Palermo ne aveva solo una machina abblindata. E Raffiele il carico ce lo doveva mettere per forza: Mio compare Totò una? Io, due! E accussì fu. E che c’era motivo di fare tutta ‘sta propaganda sul giornale per queste cose?
Ci mancava solamente che quel filibustiere di giornalista raccontava a tutti che Raffiele, quando Berlusconi ci voleva fare le scarpe(17) con la legge della continuità di governo anche in caso di morte del Presidente, si chiuse a chiave d’intra la so’ casa di Palermo, blindatissima per carità, manco la porta d’ingresso si vede da fuori, sulu u’ Signuruzzu beddu sapi comi fari per entrare, per sette giorni e sette notti. Chè si scantò così assai di quella jattura legislativa di Berlusconi che manco vero ci parse quando capì che era ‘na pigghiata pi fissa, ‘na carta di scrusciu e cubbaita nenti(18). Raffieli è fatto così. Si scanta. E ora che a suo compare Totucciu ci ha levato pure l’incomodo della Sanità, si scanta ancora chiù assai. Stiamoci zitti. Che se ci sente quel fitusu di un giornalista ce lo racconta a tutta l’Italia.
Socrathe
Note:
(1) mancanza ‘u chi ‘ffari: Lett. Non avere nulla da fare, perdere tempo in cose inutili e di poco conto.
(2) Lumìa: limone
(3) Tastare: Lett. assaggiare
(4) Stramentri: Lett. nel frattempo, allo stesso tempo; si usa nelle frasi temporali. Non regge il congiuntivo.
(5) Saddi: le sarde
(6) ‘mpiattare: Lett. portare a tavola, servire.
(7) Nuddu: Lett. nessuno; solo riferito a persone.
(8) “con questo lustro di luna”: Lett. “di questi tempi”
(9) acchianare: Lett. Salire, in questo caso riportarli al governo
(10) spertu: Lett. Intelligente, uomo forte che non teme nessuno, intrepido, eroico
(11) scanta: Lett. “aver paura”
(12) “Raffieli, tuttu chiddu ca ti mangi t’ha ‘ffari vilenu!”: metalogismo siciliano, correlativo oggettivo fortemente allegorico, ovvero, sostituzione di un oggetto con un altro, in questo caso il cibo che si trasforma in veleno.
(13) temere le stime e la jattura: Lett. “aver paura del malocchio”
(14) “dell’uomo nivuru pi’ ‘npicciriddu”: l’uomo nero, la creatura fantastica che secondo la leggenda si nasconde nell’oscurità e spaventa i bambini di tutto il mondo.
(15) “Biniditta e santa fimmina. Beatu cu l’avi e cu’ si la ritrova ‘ntra la casa”: è un’ anagogia, Lett. “benedetta sia quella santa donna, e beata sia la casa che l’accoglie” (Socrathe, ndr)
(16) “che ci sono costate quanto tutta la Germania e più assai di organizzare la festa di Sant’Agatuzza bedda per il municipio di Catania”: la frase, costare quanto la Germania: è un chiaro riferimento al secondo conflitto mondiale, l’Italia che entra in guerra al fianco dei tedeschi, il prezzo che hanno pagato gli italiani e la storia per la stolta scelta del Duce. La festa di Sant’Agata a Catania è tra le nazional-popolari la più costosa e dispendiosa di risorse pubbliche. Da sempre!
(17) “ci voleva fare le scarpe”: Lett. ‘fottere, fregare, ingannare, anche qui un metalogismo siciliano dal forte sapore allegorico
(18) ‘na pigghiata pi fissa, ‘na carta di scrusciu e cubbaita nenti: Lett. “una presa per i fondelli, proprio come il voluminoso, rumoroso, forviante –per gli occhi e il palato- involucro di carta con cui si conservano i dolci tipici del natale siciliano, la cubbaita in questo caso.
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già noto alle cronache col nome d’arte Socrathe
L’articolo da cui nasce il racconto è qui: La Repubblica
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