Tre decenni di impegno
di Elisa Mandarà


Scicli – “Una basilica laica in riva al mare”. Così Sgarbi ha trasfigurato la Fornace Penna, maestoso esempio di archeologia industriale primonovecentesca, che connota icasticamente la costa iblea. L’identità di Punta Pisciotto è legata a questo stabilimento, e non solo per la sua storia, intrecciata alla cultura materiale del lavoro, ma pure per ragioni estetiche, profondamente radicate nell’immaginario della gente che a questi luoghi appartiene, come degli artisti che hanno stabilito la bottega della propria creatività nell’area suggestiva di questa porzione di Ibleide, carica delle suggestioni della pietra, della campagna, del mare.
Come noto, il Gruppo di Scicli ha condotto, lungo i tre decenni della sua storia, numerose iniziative, volte alla salvaguardia della Fornace, in sinergia col Movimento Culturale Brancati di Scicli, perfettamente coerenti al legame che i nostri prestigiosi artisti hanno coltivato col territorio in cui operano e da cui poi si diparte la loro attività larga espositiva.
Oggi percepiamo colori di delusione nelle loro dichiarazioni riguardo alla Fornace, al suo progressivo disfacimento, alle sorti dibattute e malsicure alle quali è votato il gigante di Pisciotto: “Annualmente qualcuno mi chiede cosa si è fatto e cosa possiamo fare per la Fornace”, spiega Franco Sarnari “e poi non succede niente. Negli anni ’80 si era pensato di porre dei contrafforti di mattoni, poi delle grandi pedane per potervi allestire serate di musica, di costruirci attorno un albergo a vetri. Sono cadute pietre, la gente intorno vi ha costruito le sue casette. Queste sono realtà dolorose. Io, ancora oggi, dico di realizzare dei contrafforti, per cercare di non farla crollare del tutto, come la ciminiera, che mi aspetto che cada da un momento all’altro”.
E Franco Polizzi: “Da pittore la assimilo all’Estaque di Cezanne, con cui condivide la misura del golfo, del sud, l’elemento costruttivo della ciminiera. Ma questo è un collegamento estetico. È stato fatto di tutto per la Fornace, convegni, dibattiti, mostre, provocazioni. Non c’è mai stata una risposta concreta. Ora sta cadendo. Si dovrebbe conservare l’esistente, come un rudere, come Pompei, perché questo è, riportarlo a com’era un decennio fa, quando era ancora visibile il timpano, quando si vedeva la forma dell’architettura. Ora è un dente cariato. Non si può fare altro che ripulire e poi focalizzare la destinazione”.
Toni nostalgici velano lo sguardo azzurro di Piero Guccione, che tanto si è speso civilmente sulla questione Fornace, “un immagine che posseggo fin da bambino, quindi che si accompagna alla mia vita. Naturalmente il tempo fa il suo lavoro, ma mi piacerebbe molto che rimanesse intatta, come l’ho sempre vista”. E dallo spazio edenico della memoria parte pure Carmelo Candiano: “La Fornace è un’immagine della mia infanzia. Lì avevamo una vigna e quel sito mi ha affascinato fin da piccolino. Mio nonno e mio papà mi raccontavano la sua storia. Negli anni ’80 la collego a una delle primissime uscite del Gruppo, la litografia realizzata da noi artisti, che ritrae il Pisciotto. Un’immagine molto bella, molto forte, che abbiamo reso simbolo della nostra campagna di sensibilizzazione per la salvaguardia del territorio”. Propositivo Giuseppe Colombo: “Quanto si rende urgente è un grande restauro conservativo. La Fornace si presta a mille usi, specie di ambiti culturali. Preferirei che restasse una struttura pubblica, piuttosto che un ristorante. È un posto che non puoi non riconoscere come patrimonio nostro, essendo una cattedrale laica, che fa parte del nostro immaginario artistico”.
La Sicilia
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