Riceviamo e pubblichiamo
di Ester Mauro Scucces


Modica – Il quartiere della Sorda eÌ€ stato da sempre la mia Casa, sicuramente non la rappresentazione piuÌ€ romantica della bella CittaÌ€ del Barocco, del cioccolato (igp e non) e di Tommaso Campailla, ma una vasta area con un innegabile potenziale innovativo che avrebbe potuto provare ai visitatori furistieÌri, in arrivo dalla S.S 115, che i modicani, un occhio proiettato verso il futuro, lo hanno, lo hanno sempre avuto ed eÌ€ oltremodo vivo e lungimirante. Certo, allo sguardo innocente, trasognato delle nuove generazioni degli ultimi decenni, spettatrici fibrillanti innanzi alle nuove frontiere del progresso, fa da riflesso contrapposto quello malinconico di tutti quei nonni che questo stesso quartiere lo ricordavano quando ancora “qui era tutta campagna”.
Ma le attuali nuove generazioni, quelle dei giovani e giovanissimi che, per un motivo o per un altro, hanno sviluppato un diverso senso estetico e ambientalistico (a ognuno le sue lotte) rispetto a quello dei loro genitori, cosa pensano realmente?
Non eÌ€ un caso che da recenti studi di settore sia sorta con particolare evidenza la necessitaÌ€ dei nuovi italiani di ritornare alle campagne, al mare o a contesti residenziali dotati di spazi aperti come cortili e giardini (forse i reiterati inviti ad “andare a zappare” rivolti ai giovani d’oggi, hanno sortito gli effetti sperati o temuti, ancora non si sa, dalle generazioni precedenti). E da qui le notizie: la Coldiretti, che su un versante, registrava giaÌ€ nel 2020 l’enorme aumento di personalitaÌ€ giovani nella gestione di imprese agricole; la Repubblica che, tuonando, annunciava a ruota il ritorno dei giovani alla terra e alla natura; un buon numero di notiziari e giornali locali relativi a diverse regioni italiane, che hanno preso a narrare di ancor piuÌ€ frequenti “fughe” di ragazzi verso i borghi e i piccoli centri, dove sono sempre piuÌ€ numerosi coloro che prediligono il riammodernamento di vecchie case rimaste vuote negli ultimi decenni, all’acquisto di nuovi appartamenti nelle periferie. E non eÌ€ un caso che tali esigenze si siano pian piano acuite all’indomani di neonati movimenti mondiali della portata del “Friday for future” o a seguito della crisi da Covid-19, con il suo avvicendarsi di misure restrittive di lockdown totali, parziali, a targhe alterne, a colori, a pois e a intermittenza.
Una serie di eventi macro-storici, primo tra tutti quello della Pandemia appunto, che ha sortito tanti effetti paralleli, piuÌ€ o meno positivi, ma altrettanto interessanti sotto un profilo sociologico e antropologico, come il ritorno alle proprie terre di origine di una buona fetta di transfughi, che dalle universitaÌ€ e dalle aziende dislocate su tutto il territorio nazionale, complice l’uso finalmente davvero smart della tecnologia e degli strumenti del cosiddetto telelavoro, hanno potuto ritrovare il contatto con realtaÌ€ di paese ben diverse, piuÌ€ rilassate e assai piuÌ€ misurate rispetto al caotico e, a tratti, nevrotico vortice cittadino dei grandi agglomerati urbani.
Quello a cui assistiamo oggi eÌ€ l’inizio di un cambiamento radicale di rotta rispetto a come anche le ultime generazioni, dai vituperati millennial in giuÌ€, hanno sin qui condotto le loro esistenze. Io, ad esempio, ho sempre vissuto in cittaÌ€, anche nel mio periodo di formazione fuori sede, in quel di Firenze, questa eÌ€ sempre stata la mia quotidianitaÌ€. Potrei definirmi una nativa-condominiale, se solo non suonasse cosiÌ€ sinistro, eppure ammetto che il richiamo a una vita piuÌ€ semplice e tranquilla, non mi spaventa neÌ inorridisce e cosiÌ€ come me, moltissimi altri che oggi si ritrovano a storcere il naso di fronte all’alienazione che consumismo e urbanizzazione a tutti i costi comportano.
Ovviamente non penso che qualcuno abbia piuÌ€ ragione di qualcun altro, eÌ€ solo Storia, una ripetizione ciclica di eventi, movimenti, culture di massa che fanno sorgere in capo ai cittadini di determinate aree geografiche del mondo, in un preciso momento, un interesse piuÌ€ o meno confliggente con quello portato da chi li ha preceduti. CioÌ€ avverraÌ€ indubbiamente anche a noi con i nostri figli e i figli dei nostri figli. EÌ€ cosiÌ€ che va, da Socrate che si lagnava per la svogliatezza dei giovani dei suoi tempi, passando per i Persio e Giovenale che denunciavano la scarsa propensione delle “nuove” generazioni della Roma imperiale, alla saggezza e alla morigeratezza dei costumi, fino ad arrivare allo zio o zia tarpani (non mentiamoci, esistono in ogni famiglia) che, nel tessere le lodi dei propri tempi, non potevano esimersi dall’intraprendere l’immancabile invettiva nei confronti dei “picciotti i’ sti tiempi”, rei di essere semplicemente il risultato di un processo educativo mutato e rinnovato e dunque diversi dagli illustri predecessori, che a loro volta avevano rappresentato una cocente delusione per le generazioni precedenti
La guerra intergenerazionale certamente eÌ€ una colonna portante e irrinunciabile dell’UmanitaÌ€ stessa, sarebbe quasi una noia andare tutti d’amore e d’accordo su ogni argomento di conversazione, ma qui oggi mi preme rivolgere un quesito a tutti quelli che sul futuro basano le proprie imprese e i propri progetti professionali e personali.
Sulla via Sacro Cuore si staglia da sempre una piccola villetta su due piani, senza grandi pretese, ma con l’innegabile merito di fare da tramite tra i racconti dei nostri avi su quel quartiere, una volta rustico e campestre, e la nuova Modica, scintillante e ricca di prospettive a misura di uomini e donne del Terzo Millennio. Genuina testimonianza di una Modica che eÌ€ esistita, anche quando a proiettare ombra non erano i palazzi e le alte costruzioni, ma qualche secolare palma o pino dalle fitte fronde. EÌ€ notizia giaÌ€ di qualche anno, a quanto sembra, che al posto di questa antica villetta sorgeraÌ€ un nuovo palazzo (destino che seguiranno, pare, anche altre abitazioni simili nei dintorni). Una profonda e ulteriore alterazione dell’immagine della via principale del quartiere, insomma, che soffocheraÌ€ anche l’ultimo tentativo della natura di avere un suo spazio in questo lembo di terra.
Ecco, da rappresentante di quella generazione di cui ho parlato a inizio di questa lettera, posso dire di sentirmi un po’ come quella lampada che vedete in foto, pietosa e inconsapevole metafora di queste ultime determinazioni urbanistiche, probabilmente dimenticata liÌ€ nel trambusto dell’ultimo addio alla casa familiare che ha accolto cosiÌ€ tante generazioni con tutti le loro suppellettili, sogni e promesse. Abbandonata al suo triste destino, dopo l’abbattimento della vegetazione che prima governava ogni angolo del giardino, solo quella lampada, privata della sua energia e della sua originaria utilitaÌ€, rimane a fare la guardia a quello che presto saraÌ€ un monticello di calcinacci senza costrutto. La luce liÌ€ ormai eÌ€ spenta e tutto cioÌ€ che resteraÌ€ saraÌ€ l’ombra dell’ennesimo palazzo, accatastamento di case a opera di abili costruttori, ormai molto spesso privi di acquirenti. Il vecchio si svuota, il nuovo, fintamente attento alle esigenze ambientali, prende il suo posto. Bellissimi palazzi a impatto ridotto (basse emissioni di co2, ottime classi energetiche, sistemi di conversione a pannelli solari) per la cui edificazione si rende peroÌ€ necessario l’abbattimento di strutture “riciclabili” (leggasi ristrutturabili), noncheÌ la predisposizione di lunghi e invasivi lavori di edilizia e, quel che eÌ€ peggio, lo sradicamento di quegli ultimi sprazzi di verde che hanno strenuamente resistito, fino ad oggi, al tempo, alle intemperie e alla spinta innovatrice dell’uomo contemporaneo. Strutture nuove che corrispondono a metodi di gestione e sfruttamento del suolo cittadino a tratti vetusti e miopi.
Non eÌ€ colpa di nessuno, lungi da me mettere in croce chi agisce in questo modo, le utilitaÌ€ derivanti dalla costruzione e dall’edificazione ex novo di avveniristici condomiÌ€ni, sono tante e complesse e certamente piuÌ€ soddisfacenti e remunerative, per chi verraÌ€ impiegato nella loro realizzazione, delle semplici ristrutturazioni di preesistenti strutture oramai superate e demodeÌ.
Solo che quel genere di progresso potrebbe ben presto rischiare di non essere piuÌ€ in linea con il progresso che intendono le nuove generazioni, cioÌ€ implicando la possibilitaÌ€ che l’investimento affrontato oggi in termini economici e paesaggistici non porti a quei benefici che, sul lungo periodo, ci si sarebbe aspettati di cogliere. Nessuna condanna, ma solo uno spunto su cui riflettere, magari coinvolgendo in futuro tutte le parti sociali – vecchie e nuove- nel processo creativo.
Costruiamola insieme, la nuova Sorda, così che non resti anche Muta.
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