Lettere in redazione Quale Sicilia?

Io, studentessa fuorisede: la Sicilia non è sangue, ma arancio e gelsomino

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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Penso a casa e a quel profumo d’arancio e di gelsomino, che mi ha inebriata nelle belle stagioni della mia vita, con lo scirocco che ti viene addosso, ti abbraccia e ti scompiglia. 
Qui, prima di me, prima di noi, Omero raccontava dei greggi del Sole che pascolavano in questa terra, la Trinacria, scaldata dalla luce prima ancora che questa ne illuminasse i crimini.
Non si può intraprendere una disanima sulla Sicilia e i Siciliani senza conoscerne le vicissitudini e lo spirito.
La nostra storia inizia molto prima degli attentati, della diaspora e di quel ponte sullo stretto mai realizzato.
La Sicilia non è colorata del sangue che l’ha impregnata, e neanche di bianco e nero come a molti piace raccontarla.

La mia terra bruciata dagli sbagli, dai tiranni, non è cenere.
Una dicotomia dell’animo ci caratterizza, con una rigida protezione di noi stessi e del nostro, e una parallela gentilezza e spontanea accoglienza per l’altro.
C’è un cuore che batte all’unisono per tutti noi, con lo stesso ardore che ha spinto Medea alla vendetta e che ha portato una fanciulla sicula a mozzare la testa di quel moro che l’aveva tradita, ferita e disonorata.
Un orgoglio smisurato, il nostro, viscerale e imperituro. 

Rigirando la medaglia,  altrettanto radicata è l’inclinazione alla mediazione, per la pacifica convivenza, ne fu esempio Nevada, principessa araba, che ai tempi della conquista comprese come il rispetto reciproco di culture differenti potesse portare ad una coesa glorificazione, e così insistette con il padre e Re affinchè le genti si mischiassero senza che nessuno rinunciasse alla propria identità, e l’isola visse in pace. 

Scorre ancora in noi un’amorevolezza profonda, come Colapesce che tuffandosi nella profondità del Mar di Sicilia vide che una delle tre colonne sulle quali posava l’isola era piena di crepe e così ad essa si sostituì. E ancora Cocalo, principe dei Sicani, che aiutò Dedalo a nascondersi da Minosse.  

Questo cuore, rovente, fa si che i siciliani non siano solipsisti, ma piuttosto tenaci, passionali e audaci.
La Sicilia non è i suoi morti o i suoi traditori, non è Cosa Nostra; La Sicilia, quella vera, da sempre è nostra, della brava gente.

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Roberta Distefano


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