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15/11/2008 00:11

L’ex presidente: Ecco le magagne della Fondazione Federico II

di Redazione

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È stato zitto tre giorni. Ha letto sui giornali le accuse di coloro che, fino a qualche giorno fa, riteneva amici; “amici veri e non soltanto di appartenenza politica”. Poi ha detto basta: “basta a questo massacro, basta a questo stillicidio di accuse che fanno male a me e alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli in particolare”. È un fiume in piena Alberto Acierno. Un fiume in piena che, come tale, rischia di travolgere e trascinare via con sé chiunque vi si accosti.

L’ex direttore generale della Fondazione Federico II, al centro di una bufera che è scoppiata nei giorni scorsi, accusato dal collegio dei revisori dei conti dell’Assemblea regionale siciliana di aver sottratto circa 110 mila euro alle casse della Fondazione per concedersi lussuosi viaggi alle Maldive, shopping sfrenati a Madrid e gite in barca a Panarea, ha deciso di raccontarci in esclusiva la sua verità e contestare, punto per punto, le accuse mosse contro di lui dai vertici dell’Ars. Ce n’è davvero per tutti.

Facciamo un passo indietro: quali furono le reali ragioni delle sue dimissioni da direttore della  Fondazione Federico II?
”Io mi sono dimesso da direttore della Fondazione per un solo motivo. La mattina del 30 novembre 2007 ero nel mio ufficio, quando venni convocato a casa sua dall’allora presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè.  Qui incontrai Nino Minardo, oggi deputato nazionale di Forza Italia, e suo padre Saro. Miccichè mi disse che Nino Minardo, all’epoca presidente del Consorzio autostrade siciliane, aveva un problema: il bilancio del consorzio aveva delle grosse perdite e Minardo non se la sentiva di portare il bilancio in Consiglio. Miccichè, di cui Minardo era un gran sostenitore nelle campagne elettorali, mi chiese dunque di dimettermi dalla direzione generale della Fondazione, in modo tale da poter nominare Nino Minardo al mio posto e inviare un segnale politico forte a Ragusa”.

Lei come si comportò?
“Risposi a Miccichè che capivo il suo problema, e che mi sarei dimesso nonostante fossi titolare di un contratto che mi legava alla Fondazione fino al 2011 per 220 mila euro lordi annui, cifra che ho rifiutato in virtù del fatto che la mia nomina era dipesa dal rapporto politico che mi legava all’allora presidente dell’Ars”.

Lei viene accusato di diverse irregolarità amministrative, in particolare di ammanchi nella gestione della biglietteria di palazzo dei Normanni
”La prima cosa che ho fatto al momento del mio insediamento è stato mettere ordine nella gestione dei soldi della Fondazione. Sono stato l’unico che ha avuto il coraggio di rompere un meccanismo che, utilizzando la biglietteria di Palazzo dei Normanni, faceva mettere soldi in tasca ad una serie di personaggi senza che nessuno potesse accorgersene. I fatti sono questi. Era stato comprato nel 2005 un software di biglietteria elettronica da una azienda torinese. Invece di stampare il biglietto, la macchina stampava su un tagliando prestampato inserito dall’operatore che, nel frattempo, aveva digitato l’importo. Furono acquistati un milione di tagliandi prestampati a quattro colori ad un costo allucinante. Il software, quando si lanciava la stampa, numerava il biglietto e il gioco era fatto”.

In che senso?
“Quando arrivava un gruppo ad esempio di cinquanta persone, questo poteva godere di una tariffa ridotta, dai 6 euro del prezzo intero, scendeva a 4 del ridotto. Invece di fare 50 biglietti da 4 euro, con l’indicazione ‘biglietto cumulativo’, si faceva un solo biglietto da 200 euro per 50 persone. Il meccanismo consisteva nell’emettere un solo tagliando di importo variabile, da gratuito a 6 euro,e  appena veniva lanciata la stampa si spegneva la macchina dall’interruttore.  Il software in questo modo contabilizzava la stampa emessa, ma di fatto l’addetto alla biglietteria prendeva un altro tagliando non numerato e su di esso scriveva a mano ‘gruppo da 50’, senza importo  ma solo con un timbro della Fondazione”.

Lei come intervenne?
“Arrivato in Fondazione, nel luglio 2006, dal mese successivo feci acquistare una numeratrice a mano. Ogni visitatore, anche in gruppo, aveva così il suo biglietto con l’importo effettivamente pagato e oltre la biglietteria feci mettere un posto ulteriore di controllo con un impiegato che staccava le matrici dei biglietti. Ogni giorno mi veniva portato il sacchetto con le matrici. Quando realizzammo il conto per i tagliandi emessi nel periodo precedente la mia gestione, venne fuori che mancavano 13 mila biglietti. Un ammanco che, potenzialmente, può arrivare a valere 2 milioni e 600 mila euro”.

Un atteggiamento che lei ritiene le abbia provocato inimicizie?
 “Certamente. Ho pestato i piedi a chi rubava i soldi dalle casse della fondazione. Uno dei miei avversari è stato Lillo Speziale, presidente dell’Antimafia regionale”.

Cosa ci dice sulla vicenda della carta di credito smarrita?
“Una mattina mi chiamarono dal Credito Emiliano e mi informarono di movimenti anomali sulla carta di credito. Risultavano puntate su giochi online. Tagliai immediatamente la carta e la consegnai al direttore amministrativo della Fondazione perché la restituisse subito alla banca. Qualsiasi denuncia di smarrimento risulti agli atti è un falso”.

Sta lanciando accuse gravissime anche ai dirigenti della Fondazione
“Occupandomi della gestione dei contratti dei dipendenti della Fondazione, scoprii che nella busta paga di alcuni dipendenti, compreso il direttore amministrativo, c’era una voce aggiuntiva che non risultava dal contratto e che prevedeva il riconoscimento di un assegno ad personam. Convocai il consulente del lavoro chiedendogli spiegazioni. Dopo un primo tentennamento, il ragioniere mi scrisse una lettera in cui mi confessava che era stato autorizzato dallo stesso direttore amministrativo a compiere quell’azione, e anche a trasformare i contratti di 15 dipendenti della Fondazione, da tempo determinato a tempo indeterminato”.

In questo scenario, dunque, lei si pone come un moralizzatore. Eppure, c’è chi la accusa di essersi concesso viaggi alle Maldive e a Panarea con i soldi della Fondazione. Non è un comportamento strano per un moralizzatore?
“Ho un bonifico bancario della mia agenzia di viaggi alla quale ho pagato interamente il mio viaggio. Per il discorso di Panarea, invece, c’è il mio amico tour operator Antonio Brino che ha tutte le carte che testimoniano come pagai quel viaggio”.

Come concluse il suo rapporto economico con la fondazione Federico II?
“Dopo essermi dimesso, chiesi al direttore amministrativo di chiudere le mie partite contabili. Mi venne liquidata una somma vicina ai 12 mila e 500 euro in due tranche, una parte subito e una a metà dicembre. Adesso tirano fuori un credito nei miei confronti di 110 mila euro”.

Per quale motivo crede che l’abbiano con lei?
“Per screditarmi. Hanno paura che possa attaccarli sulla recente approvazione, da parte del Parlamento regionale, della legge sulla Fondazione Federico II. Quella legge non si può applicare per diverse ragioni. Ad esempio, perché la Fondazione viene citata come se fosse un soggetto di diritto pubblico, cosa che non corrisponde al vero essendo un soggetto di diritto privato”.

Sta preparando un dossier sulla Fondazione, ci anticipi qualche stralcio
“Racconto tante cose sul presidente dell´Ars che oggi fa tanto il moralizzatore. Perché non racconta di quando nel 2007, da capogruppo di Forza Italia, pretese di andare a Mosca con suo cognato e un’interprete a spese totali della Fondazione? E ancora, perché non rivela chi era il fornitore unico del book-shoop della Fondazione? E perché fa finta di non ricordare che ha avuto assunta la cugina per un anno in Fondazione?”.

Lei solleva addebiti pesantissimi che registriamo per dovere di cronaca. Un’ultima domanda: alla luce di quanto sostiene, presenterà una denuncia alla Procura?
“Ho già dato mandato ai miei legali di intervenire contro la Fondazione per violazione della privacy, per il reato di diffamazione, e stiamo procedendo per impugnare la legge regionale anche se siamo sicuri che lo farà il commissario dello Stato”.

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