Cultura
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03/10/2025 11:52

Libri, I Diavoli dell’Averno di Antonio Castaldo

Un’indagine personale e sociale insieme, capace di intrecciare cronaca, mitologia, riflessione civile e memoria.

di Redazione

Una notizia in apparenza secondaria spinge un giornalista casertano trapiantato a Milano a recuperare dalla sua memoria personale, dagli archivi giudiziari e da un ampio numero di fonti una vicenda drammatica, una stagione di sangue culminata nel più feroce massacro di camorra degli ultimi 50 anni.

L’inchiesta si trasforma strada facendo in un viaggio a ritroso nel tempo, la rievocazione di storie germinate da un territorio di struggente bellezza, tra i Campi Flegrei e Castelvolturno, e un congedo sofferto e appassionato dal giornalismo, mestiere vissuto con carne e sangue. L’indagine che ne consegue ci riporta nel cuore di un Sud dove la cronaca si mescola con il mito e l’orrore con l’indifferenza.

È così che I diavoli dell’Averno è prima di tutto un canto d’amore al mestiere del cronista, a quel giornalismo militante e affamato di notizie che nasce in provincia, si nutre di rabbia e bellezza, e si consuma in redazioni precarie, notti insonni e verità cercate a ogni costo.

Il romanzo intreccia un’inchiesta civile e personale, i ricordi di gioventù da cronista e la discesa simbolica in un inferno moderno fatto di razzismo, vuoti istituzionali e impunità. Il lago — un tempo porta per l’Ade — diventa metafora dell’Italia dimenticata, in cui il sangue dei più deboli scivola via senza lasciare traccia. Ma il giornalista non dimentica, e torna a raccontare.

Mentre ricostruisce la vicenda dimenticata della strage, si interroga su ciò che ha reso possibile tanta violenza gratuita. Sulla natura del potere, figlio della violenza. Ma soprattutto, riscopre se stesso, il suo sguardo sul mondo, la sua identità di cronista: uno che annota, scrive, resiste, e non si arrende al silenzio. In un’Italia che cambia e dimentica, questo romanzo è un invito a non voltarsi dall’altra parte, ma a continuare a raccontare.

Con uno stile in bilico tra memoir, reportage e romanzo d’inchiesta, Castaldo racconta la discesa agli inferi di una terra reale e mitica, e il giornalismo, quello in cui lui si identifica, diventa l’unico strumento per dare giustizia, almeno narrativa, a chi ne è stato privato. Il suo racconto ha il passo delle storie vere che devono essere capite, non solo ricordate. Ha lo sguardo partecipe del testimone attivo che non si accontenta di ricostruire i fatti, ma cerca un senso umano nel caos: la strage di Castelvolturno è il punto di rottura di un equilibrio già compromesso e il lago d’Averno lo specchio oscuro che riflette ciò che l’Italia spesso rifiuta di guardare: la violenza sistemica, l’assenza di legge, l’abbandono.