di Redazione
Ragusa – «Mia figlia si chiama Sara, ha 25 anni. Mi verrebbe da dire che avrebbe 25 anni. Perché la vita è un’altra cosa. E non basta alimentare un corpo, accanirsi, vivisezionarlo, per dire che è una persona viva. Quella maledetta polpetta la mangiò proprio tre anni fa come oggi, il 7 febbraio del 2006. Una misera polpetta di carne che un macellaio disonesto, qui a Ragusa, infarcì con solfiti, vietati per legge, ai quali Sara era allergica. Uno shock anafilattico, l’arresto cardiocircolatorio, la mancanza di ossigeno al cervello e da allora vive in stato neurovegetativo, la corteccia è bruciata. La tac non lascia speranze. Proprio come Eluana. li macellaio ha preso 6 anni in primo grado, che poi l’indulto ha ridotto a 3, ora è in appello». «Lo invidio il signor Beppino, perché riesce a mantenere la calma, restare tranquillo di fronte a questi politici alla Berlusconi, alla Sacconi, alla Roccella, a quegli altri dogmatici della fede pronti a scagliare pietre, lo non sono così, io non ho la stessa tranquillità».
Luciano Di Natale è un uomo forte, provato ma non rassegnato. Insegnante di 60 anni, adesso in pensione, nella città siciliana vive insieme con la moglie da tre anni la sua tragedia che ricorda molto quella degli Englaro e da quella vicenda sperano scaturisca una soluzione anche per la loro. L’odissea dei ricoveri in mezza Italia nel primo anno. «Quando mi hanno tatto capire che non c’era niente da fare, l’abbiamo riportata a Ragusa».
«Sara è ormai un laboratorio chimico. Vita? Si chiama vivisezione. Prima l’asportazione di mezzo polmone dopo una crisi respiratoria, quindi una cannula alla gola “per respirare e un buco nella pancia per nutrirla. Ma è come mettere benzina in un’auto. Nient’altro. Mia moglie spera, io sono realista. Dipendesse da me, avrei seguito da tempo le strade di Beppino Englaro. Ma se lui riesce nella sua battaglia anche se dubito per come si sono messe le cose faremmo un consiglio di famiglia per decidere. Sara è con noi a casa da due anni, perché non ci sono strutture adeguate, l’Asl ci invia un infermiere perla riabilitazione. Per il resto, mia moglie è in aspettativa, io e lei non viviamo più. Solo assistenza, giorno e notte, dormiamo a rate, dobbiamo girarla di continuo per evitare le piaghe, somministriamo cibi attraverso i tubi e antiepilettici, attiviamo il respiratore. Siamo degli infermieri, pieni di amore, ma ai domiciliari da tre anni. All’estero ci avevano chiesto 15 mila euro al mese per fare riabilitazione. E viviamo con la spada di Damocle del richiamo al lavoro di mia moglie. Sa da quanto aspettiamo in Italia una legge per il prepensionamento dei familiari di persone in stato vegetativo? Da 14 anni. Per Berlusconi hanno fatto il “lodo” in tre giorni. La scorsa estate ho inviato una lettera a tutti i mille parlamentari per chiedere loro di “fare silenzio” e rispettare il dolore dei nostri casi. Mi ha risposto, mostrando sensibilità, solo il presidente della Camera Gianfranco Fini» «Che rabbia ora sentire dire dal presidente del Consiglio che Eluana potrebbe avere dei figli. Io che so, ho provato ribrezzo. Non si specula sulla pelle di chi vive una tragedia. Adesso faranno una legge d’urgenza per imporre l’alimentazione. Che assurdità, l’acqua, il cibo. Eluana e Sara non possono deglutire, inghiottire. Per loro quelli sono solo elementi chimici. Sappia, chi non lo sa o fa fìnta di non saperlo, che non e vita quella di chi ha il cervello devastato»
Carmelo Lopapa
La Repubblica
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