Cultura
|
11/01/2011 09:56

Luoghi perspicui, nel parco-museo della pietra

La natura lapidea esumata dalla terra

di Pasquale Bellia

Tano Mormina al Museo della Pietra
Tano Mormina al Museo della Pietra

 Scicli – Cercare di conoscere l’ambiente del museo della pietra, significa opporre al concetto astratto dello spazio, quello animico del luogo.

Luogo vissuto. Oggi ri-vissuto.

Luogo dal quale, come in un’operazione di bradisismo, è stata disseppellita la sua natura nascosta, la più spirituale ed identitaria. Il luogo ha oggi ritrovato una sua magia, una nuova sacralità, che fa riferimento alla coscienza che in quel sito esiste un’energia ilomorfica, come unione degli aspetti materiali e spirituali. Sotto l’humus del soprassuolo, una natura nascosta racconta la sua storia geologica, come impronta arcaica di quel luogo specifico. La vera identità era messa via alla vita e sonnolente stava sotto la fertile terra rossa. Ora, esumata, mostra le sue nature articolate di antropomorfe fatture. In quei massi dalle forme indefinite, ognuno può cogliere figurazioni tratte dalla propria immaginazione.

 

La materia lapidea – liberata dall’eccesso di terra che la imprigionava da tempo immemorabile –  si mostra all’interpretazione personale. Massi ciclopici, affiorano o poggiano sulla fertile terra, lasciando la materia all’immaginazione di chi osserva. L’innesto di un’anima, di un vedere diverso, diventa ardimento personale. In quel procedere analitico, si scopre l’anima nascosta e nella nuova articolazione del luogo, il luogo parla. Parla con una voce senza fiato a chi è capace di avvertire le vibrazioni dell’anima che trasmette. Nell’antichità gli uomini recintavano i luoghi con delle pietre: per proteggere la loro interiorità. Nascevano così i templi, consacrati alle divinità: i sacerdoti, interpretando la volontà degli dei, ritualizzando il Genius loci, in quei luoghi sacralizzati fondavano le città.

 

Ho avuto un’interpretazione sacrale del luogo, visitando il museo della pietra. Ho sentito una natura ri-animata, risemantizzata dall’opera del suo artefice che ha aggiunto senso relazionale ad un ambiente, senza sovrapporre allo stesso che poca razionalità strumentale. Nel parco-museo il dualismo tra natura e cultura appare chiaro senza confliggere. Viene salvaguardata sia la natura che l’opera, perché quell’opera manipola la stessa materia della natura: la pietra. Appare in quella misurata commistione, il tentativo della ricerca di un vivere armonico che si è perso nello sviluppo della città di oggi, dove l’insignificanza dei luoghi negati, hanno manomesso equilibri tra l’essere e la natura.  Passeggiare tra le pietre del museo, significa ritrovare i segni della madre Terra e riscoprire una parte del “sé” ormai sopita e scivolata nell’oblio. Ci si sente in armonia in quella balza di terra dirozzata: natura tra natura. In quel luogo c’è un’anima che si è fatta materia, che si guarda con gli occhi, ma anche si tocca, si ascolta, si annusa.

 

L’invito che rivolgo ai lettori di RagusaNews, è quello di guardare oltre l’effimero del quotidiano perdersi, e dentro oltre ogni apparenza, fino all’essenza delle cose. La visita al museo della pietra – nel vortice delle sensazioni che alimenta – è l’istigazione a ritrovare se stessi attraverso il riconoscimento delle proprie origini materiali e l’identificazione con esse. Significa scappare dallo sperdimento,  dallo spazio solitamente anonimo, e ritrovarsi e ricongiungersi con ciò che vive già dentro di noi, sconosciuto, sulla soglia che aspetta di essere introdotto e accolto.

Tornerò tra le pietre di quel parco silente, ogni qualvolta il timore di perdermi tra le banalità artefatte mi inquieterà i giorni, al punto da impedirmi di riconoscere più i miei luoghi, quelli della mia anima. L’interiorità del luogo ho sentito parlare alla mia immaginazione, curare le amnesie di un consueto fare convulso alla rincorsa del tempo. Il tempo, al museo della pietra, è un tempo lento, quasi fermo. Vorrei diventassero quelle pietre un luogo dell’abitare e tra materia primordiale, poter svolgere atti quotidiani senza gli artifici dell’attuale essere. Perché il luogo – in questa nostra società delle perdite di memoria tra i fantasmi della civilizzazione – da solo parla di noi. Nelle sue cicatrici geologiche c’è la nostra memoria, gli spiriti della nostra natura fragile.

 

 

 

 Pasquale Bellia