Leonardo non amava il mare
di Antonio La Monica
Ragusa – Leonardo Sciascia non amava il mare. Eppure nella copertina dell’ultimo libro di Emanuele Macaluso, è ritratto proprio in riva al mare. Posizione ideale per descrivere, attraverso un’immagine, il senso di una fascinazione ancestrale e di un disagio. Sentimenti ossimori che legarono lo scrittore di Racalmuto ai comunisti nel corso della sua esistenza. Un rapporto costante ma caratterizzato da un dialogo accesso e da divergenze sostanziali.
A Macaluso, scrittore, giornalista, politico, anima storica del partito comunista, dirigente sindacale della Cgil, il compito di tratteggiare le relazioni tra Sciascia ed i comunisti. Si badi, non il partito, ma gli uomini che fecero grande, nel bene come nel male, uno dei partiti storici dell’Italia post bellica. La presentazione del libro avviene nell’auditorium della chiesetta di San Vincenzo ad Ibla, per la preziosa organizzazione del Centro studi “Feliciano Rossitto”.
“Ho scritto questo libro – ci racconta Macaluso – perché avevo nella mente e nel cuore un grande magone. Dovevo dialogare di nuovo con l’amico Leonardo per chiarire fino in fondo il nostro rapporto. Volevo ricordare ai lettori di oggi come le forze politiche reagissero all’uscita dei suoi libri. Dimostrare quanto in quegli anni si sentisse forte l’esigenza di un rapporto stretto tra la politica e la cultura”. Il ciarpame odierno, certo, non deve rasserenare troppo il senatore Macaluso. “Per il partito comunista di un tempo – conferma – e per tante altre formazioni politiche, la cultura rappresentava qualcosa di importante. Ovvio che oggi non sia più così. In questo senso la pubblicazione del mio libro nasconde, neanche troppo velatamente, un intento polemico nei confronti di quel che ci circonda. A destra abbiamo un partito azienda in mano ad una persona, a sinistra manca una visione di quel che possa essere il rapporto con gli intellettuali”. Macaluso, ad esempio, ripercorre nel suo libro il dibattito che seguì alla pubblicazione de “Il contesto”, dove Sciascia parte da un racconto poliziesco per raccontare il malessere di uno Stato malato al suo interno da un cancro sempre più esteso. Dirà lo scrittore: “Ho cominciato a scriverlo per divertimento e l’ho finito che non mi divertivo più”.
“Oggi non c’è alcun dialogo – riprende Macaluso – non perchè non ci siano in giro intellettuali come Pasolini o Sciascia, ma perché non ci sono politici disposti ad ascoltarli”. Allora, chiediamo, cosa significa oggi essere o esser stati comunisti? “Non mi sono mai pentito – risponde l’autore – e rivendico anni di lotta sindacale. Identifico il partito, sia pur nella sua doppiezza, con il ruolo che ha svolto in Italia per le sue lotte sociali, riformiste e culturali. Oggi quel che deve rimanere è il ruolo portato avanti per la società, ad esempio, nella lotta al terrorismo. Credo si debba guardare con occhio critico al nucleo vitale del partito ed ai suoi errori”. Il testo, edito da Feltrinelli, mantiene viva questa coscienza critica. “Questo libro – piega il professore Giuseppe Traina, docente di letteratura dell’università di Catania ed uno tra i massimi esperti in Italia dell’opera di Sciascia – ha il merito di non cedere mai alla tentazione di chiedersi cosa lo scrittore di Racalmuto penserebbe se fosse ancore vivo. Né, tanto meno, propone i lati personali di una amicizia lunga ed importante. Macaluso, piuttosto, propone con ampio senso critico una ricostruzione di quegli anni fornendo una importante documentazione che ci permette di recuperare passaggi importanti della nostra storia”. Impossibile sciogliere in modo definitivo il nodo sull’appartenenza o meno di Sciascia al partito comunista.
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