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11/06/2025 11:07

Michael Douglas a Taormina: “Chiedo scusa per il presidente Trump”

Michael Douglas: «Chiedo scusa per il presidente Trump. Ho fatto l'attore come rivalsa e risentimento verso mio padre»

di Redazione

Taormina – Michael Douglas si presenta come il Re Leone, pieno di glamour, anche se un po’ provato fisicamente. D’altra parte, lui stesso ricorda di «aver superato un tumore al quarto stadio», e il film di Soderbergh di dodici anni fa sull’eccentrico pianista Liberace, «non vedevo l’ora di farlo perché pensavo che non avrei lavorato più. Ero così felice di essere vivo, dovettero aspettare un anno per farmi guadagnare peso. Douglas ha aperto la sfilata di star internazionali del Festival di Taormina che Tiziana Rocca riporta agli antichi fasti.

80 anni: bilanci. Il più grande colpo di fortuna e la più grande delusione? «La fortuna fu quando lessi su una rivista che a Catherine Zeta-Jones piacevano gli uomini più anziani. Ah, ok, mi sono detto. E poi l’esordio come produttore, per cui vinsi l’Oscar a 31 anni: Qualcuno volò sul nido del cuculo. Il progetto lo ereditai da mio padre, veniva da Spartacus, non riuscì a farlo. Io ero un attore tv, il Cuculo è il mio film che ebbe più successo, cambiò la mia vita. Se non mi fossi fidato del mio istinto non l’avrei fatto. Ricordo il calore quando lo presentai a Roma, c’erano Bertolucci, Antonioni, la Wertmuller…».

E la delusione? «L’ultima elezione in America». Così chiama in causa Trump: «Il presidente ha creato un dramma sugli immigrati, quelli illegali sono pericolosi ma non sono killer e stupratori. Ho amici in Messico, Canada, Europa, sono imbarazzato e mi scuso con tutti. Il mio paese ha grandi responsabilità sul caos che esiste. Trovo ridicolo fare le guerre e investire in spese militari». E i rimpianti? «Li ho, mi sono spesso messo nei guai, ma non voglio gettare il sale sulla mia ex moglie (Diandra Luker, ndr).

Racconta che aveva un progetto poi abortito su Reagan, «con Gorbaciov stava cercando di ridurre le armi nucleari, che sono un mio chiodo fisso. Saltò l’incontro tra i due e anche il film». Poi il grande attore parla dei genitori, «erano entrambi attori, io l’ho fatto come rivalsa e risentimento verso di loro, rivendicavo la mia identità». Suo padre era Kirk Douglas, il divo atletico della vecchia Hollywood. «Gli somigli, mi dicevano. Io volevo solo affermarmi a prescindere da lui».

Cosa le disse suo padre quando lei comunicò che voleva diventare attore? «Se avessi saputo che avresti avuto così successo, sarei stato più carino con te….Era bizzarro per me leggere le riviste che mi chiamavano l’happy baby, il bambino felice. E’ già difficile essere attore di seconda generazione, ora vogliono provarci i figli miei e di Catherine, Dylan e Carys, e sarà ancora più rischioso, li stiamo seguendo nei primi passi. Oggi è più difficile emergere, e per una donna è più difficile durare. Non bisogna farsi sedurre dall’idea dei riflettori, importante è capire un testo, non bisogna sprecare tempo su copioni mediocri».

Michael Douglas ricorda il suo secondo Oscar per Wall Street: «Gordon Gekko è un corruttore, un villain, oggi vivrebbe nella Silicon Valley. Tutti, a cominciare dai banchieri, mi davano la pacca sulla spalla, quel personaggio suscitava empatia, good job, hai fatto un buon lavoro, dicevano. Obiettavo che era cattivo, e quelli insistevano: ci piace proprio per questo. In effetti, Gordon è un seduttore, ed è lui che mi fatto uscire dall’ombra di mio padre. Finalmente mi sono sentito accettato». Fa capire che Kirk era una roccia, ma ricorda che lil padre l’Oscar «non lo vinse mai, solo nomination».

Capitolo Marvel, Ant-Man, il film dove non ti aspetti di trovarlo: «Mi davano indicazioni nel nulla, effetti visivi e basta, mi sentivo un idiota, non è tra i miei preferiti».

Capitolo Basic Istinct: gli chiediamo cosa ricorda della scena con le gambe accavallate di Sharon Stone? Lui capisce la scena in cui «facciamo l’amore. Beh, la provammo per una settimana, lei fu molto professionale, al tempo non c’era mica il coordinatore intimo. Fu una scena dura. Ho buoni ricordi. Alle audizioni, prima di prendere Sharon, il regista Paul Verhoeven visionò attrici un po’ calviniste. Aprì bocca e: Vi dico subito che ci sono nudità». Ero lì e gli soffiai sull’orecchio: Ehi Paul, easy, vacci piano».