Cultura
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18/04/2008 11:44

Mobilità sostenibile (2a parte): treno, trasporto pubblico e intermodalità

di Redazione

 

 

Compresenza, tram e treno sulla stessa sede

 

 

 

 

 

Tengo a ringraziare sentitamente  quanti hanno commentato il precedente scritto sulla mobilità sostenibile. Precisamente:  per l’appassionata interpretazione Walt Whitman;  per  la saggezza dei consigli Ulisse; per la competenza Schillaci.

 

Prima di entrare nel vivo del tema di questa seconda parte dell’intervento, volevo provare a precisare il concetto di mobilità sostenibile. Erroneamente, già dal precedente scritto, ne  ho dato per scontato il significato, ma  forse è bene tracciarne brevemente il concetto.

Sostenibilità – Il concetto di sostenibilità, sussidiarietà, valutazione di impatto ambientale, fanno parte ormai del linguaggio comune e sembrano diventati familiari. Questi termini provengono da una cultura ambientalista che si sta lentamente, ma saldamente, affermando in tutto il mondo, in particolare negli ambienti internazionali e nella Comunità Europea. Sostenibile è lo sviluppo che fornisce elementi ecologici, sociali e opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità, senza generare una minaccia alla vitalità dei sistemi naturali, urbano e sociale che da questa opportunità dipendono.

Per mobilità sostenibile – Si intende un sistema di mobilità urbana in grado di conciliare il diritto alla mobilità con l’esigenza di ridurre l’inquinamento e le esternalità negative, quali: le emissioni di gas serra, lo smog, l’inquinamento acustico, la congestione del traffico urbano e l’incidentalità.

Queste esternalità, hanno un costo sociale che grava su tutti. Possono essere rimosse soltanto con una adeguata regolamentazione mediante intervento pubblico. In Italia la mobilità sostenibile è stata introdotta con il Decreto Interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane del 27/03/1998. La normativa non ha però raggiunto i risultati sperati. I problemi relativi alla mobilità sono stati spesso demandati alle amministrazioni locali, senza un vero e proprio piano di intervento a livello nazionale e sovranazionale.

Durante una conferenza nel maggio del 2007, proiettai il grafico che allego e che chiarisce le relazioni tra le risorse e le opportunità.

 

Dalla conferenza – Quale futuro urbanistico per Castiglione della Pescaia – maggio ‘07

 

Permettetemi una nota personale

Tutti gli anni della frequenza dell’università – e anche oltre quella – ho viaggiato in treno, da Firenze a Siracusa e poi – e ancora oggi – fino a Sampieri. Mi muovevo per Natale e per l’estate, quando le folle erano in viaggio e assaltavano i treni.

I treni denominati “Freccia del sud” o “Brennero”, arrivavano a Firenze sempre stracolmi. Per sperare di trovare posto, con i miei compagni di studio sciclitano e modicani, andavo nel pomeriggio a Roma, dove il treno Roma/Vittoria si formava. Quel treno – denominato centoporte – aveva fitte finestre verticali, noi lo chiamavamo Far West, perché le vetture avevano un corridoio centrale, i sedili di legno con schienali contrapposti e nessuna partizione a definire gli scompartimenti. I sedili erano lucidi e scivolosi per la vernice del legno e per l’uso decennale. Il rumore era assordante e la “socialità” garantita.

Ora nei viaggi – sempre più diradati – con pochi bagagli vado in treno. Le direzioni del viaggio sono cambiate e anche i treni.

 

 

La linea Siracusa-Licata

La ricerca territoriale, atto indispensabile al mio intervento al convegno sulla Fornace Penna – del 16 marzo 1996, (come accennato nel precedente intervento) – non poteva trascurare di considerare il tracciato ferroviario che passa nei pressi. La sua nascita, il suo declino.

La linea Siracusa – Modica – Ragusa, nata a fine ‘800 come un’ardita opera di ingegneria, attraversa paesaggi tra i più suggestivi dell’Isola, costeggiando lo Ionio e il Mediterraneo e svelando le caratteristiche cave, gli uliveti, gli alberi di carrubo, i mandorli in fiore e i muri a secco.

I 112 km di linea ferroviaria si snodano in un territorio ricco di ostacoli naturali e di scorci panoramici emozionanti. Una lunga galleria in salita, subito dopo Modica, immette nella valle del Fiume Irmino. Il treno si arrampica lentamente, attraverso una serie di tornanti e gallerie, fino ai 502 metri di altezza dell’antica Hybla. La soluzione ardita che venne in mente ai progettisti per superare il dislivello, fu quella di un tracciato elicoidale con buona parte in galleria che, con un giro in permanenza costante di 25% e un raggio costante di 300 metri, consentì il balzo alla quota risolutiva. Si dice che i progettisti si siano riferiti alla linea del S. Gottardo, particolarmente ai tornanti di Wassen.

 

Soluzione del tragitto a spirale per raggiungere la quota di Hybla

 

Brevi  riferimenti storici

Nel 1861 il consiglio provinciale di Siracusa fece studiare all’ing Arnaldi il tracciato di una linea per Licata. Nel 1865, con la legge 2279 del 14 maggio, le ferrovie italiane vennero ripartite in quattro reti: la quarta, denominata SFCS, si riferiva alle Strade Ferrate Calbro-Sicule[1]. Nel 1869 il consiglio provinciale di Siracusa stanziò due milioni di lire per la costruzione della linea per Licata. Sorse a Siracusa addirittura un giornale: “ Ferrovia Siracusa-Licata”.

 

Qualche data

 Il 5 aprile del 1886 fu inaugurata la tratta Siracusa-Noto e il 18 giugno del 1893 completata quella tra Modica e Comiso. Il 23 dicembre del 1891, fu attivato il tratto di congiunzione tra le due tra Noto-Modica km 59,5. “L’entusiasmo della popolazione fu ovunque eccezionale e in ogni luogo si acclamava al treno come ad un sicuro apportatore di progresso”, Piero Muscolino. Per brevità non riporto – dallo stesso Muscolino – la suggestiva descrizione relativa al territorio sciclitano dell’interessante viaggio da Siracusa a Gela.

Attualmente la tratta Siracusa Licata è sotto-utilizzata e come personale in stato di abbandono.

 

Stazione di Scicli negli anni Sessanta – ph. ing. Roberto Montelucci

 

Nuove infrastrutture e recupero delle esistenti

In considerazione dei notevoli costi di progettazione e di realizzazione di nuove infrastrutture viarie  – come la Siracusa Gela -, delle difficoltà nell’individuare le sedi appropriate, delle modifiche sempre peggiorative dell’ambiente e dei tempi necessari per realizzare tali opere, a livello europeo si è da tempo posta particolare attenzione alla possibilità di ottenere il massimo rendimento da infrastrutture – sia tranviarie, sia ferroviarie – già esistenti anche se sottoutilizzate.

Nel mondo dei trasporti una prospettiva recente, che potrebbe rivoluzionare il trasporto urbano è quella del “tram-treno”. Nato nel sud della Germania – più precisamente nella città di Karlsruhe – questo innovativo sistema punta ad un uso combinato della rete tranviaria urbana e della ferrovia. Il fine principale è infatti quello di eliminare il trasbordo dei pendolari dal treno al tram, con le conseguenti perdite di tempo, rendendo più comodo e pratico il trasporto pubblico a vantaggio di quello privato.

Quindi, riassumendo, con il termine “tram-treno” si definisce una famiglia di rotabili atti a circolare indifferentemente su infrastrutture di tipo tranviario in ambito urbano e su infrastrutture con caratteristiche prettamente ferroviarie. Si tratta di veicoli che, in ambito periferico ed extraurbano, effettuano servizio su tratte ferroviarie, ma che sono in grado – grazie ad opportuni e non complessi raccordi – di impegnare i normali binari tranviari, mescolandosi al traffico automobilistico e fornendo un capillare servizio di collegamento all’interno dei centri cittadini.

Ho consultato e chiesto parere tecnico e sostegno a due amici – anch’essi universitari – esperti in trasporti: l’arch. Saro Calandruccio (collaboratore al mio Corso di Progettazione Urbanistica) e l’ing Roberto Montelucci (quest’ultimo, molto anziano, è venuto a gennaio di quest’anno a Ragusa a tenere una conferenza sulle vecchie linee dimesse). Lo scartamento normale europeo è di m1.453 che si adatta ed è in uso sia nel trasporto tram-viario quanto in quello ferroviario. Se riflettiamo che il tram è considerevolmente più “snello” del treno – il tram è largo circa quanto lo scartamento – il suo ingombro urbano è minimo, meno di un autocarro. Nei nostri centri antichi potrebbe costituire una possibile alternativa al trasporto privato o inserirsi nella circolazione urbana come passaggio di percorrenze interprovinciali a lungo itinerario. Quindi, non più solo stazioni per la sosta e il transito esterne alla città, ma il transito nelle strade urbane (e anche del Centro) in convivenza con il traffico veicolare su gomma, ed essere l’unico veicolo nelle zone pedonali (per esempio via F. M. Penna).

L’utilizzo della ferrovia come sistema di trasporto urbano – come prima accennato –  non è una novità, ma fino a pochi anni fa era concepibile come una sorta di super-metropolitana adatta alle sole grandi aree europee e nordamericane (S-Bahn tedesche, RER di Parigi, detta anche “metropolitana regionale”, ecc).

Le innovazioni tecnologiche – ma soprattutto la volontà di superare i limiti gestionali storicamente attribuiti ai diversi sistemi (il treno per spostamenti a medio-lungo percorso con stazioni distanziate, il metrò per spostamenti urbani di massa con stazioni ravvicinate, il tram per spostamenti urbani brevi) – hanno però consentito negli ultimi anni lo sviluppo di soluzioni adatte anche ad aree di media dimensione.

 

Stazione di Sampieri , 1993 – ph. Pasquale Bellia

 

Tram-treno: fra gli esperti l’argomento tiene banco

Il tema del tram-treno e più in generale dei sistemi interoperabili è oggi all’attenzione degli Enti pianificatori e dei tecnici del settore. Certo a Scicli non è pratica facile, non per le difficoltà topografiche o morfologiche dell’edificato in qualche modo superabili, quanto per propensione culturale a questo genere di ragionamenti. Però … giusto quanto riporta l’attento Ulisse citando Eraclito, “Se non speri l’insperato, non lo troverai”. E io spero!

Il tema del tram-treno è stato trattato anche nel recente passato all’interno di una sessione del convegno Città Elettriche 2007 che si è tenuto a Bologna, nell’ambito del MobilityTech. In quell’occasione è stata anticipata un’azione volta a proporre una modifica della norma UNI 8379 per la definizione di un sistema che impieghi veicoli interopreabili di derivazione ferroviaria in sistemi di trasporto su ferro con caratteristiche miste tranviarie e ferroviarie: i veicoli, di tipo ferroviario, sono attrezzati ai sensi del Codice della Strada; il regime di esercizio risulta ferroviario sui tratti in sede propria, e di tipo tranviario (marcia a vista) sui tratti in sede stradale. Tale bozza di definizione recepisce le caratteristiche dei sistemi di tipo treno-tram, oggi non previsti dalle normative italiane, ma in passato comunque ben diffusi su tutto il territorio nazionale. Mentre per i sistemi tram-treno, pur in attesa di regolamenti di esercizio specifici su rete ferroviaria, appare sufficiente la norma attuale.

Nel tratto della linea Siracusa Licata, la soluzione più eclatante alla mobilità potrebbe essere costituita dal “tram-treno”. Un tram in grado di percorrere sia le linee tranviarie tradizionali sia le ferrovie, a volte anche in promiscuità con la circolazione dei treni. Appaiono a prima vista insuperabili le questioni tecniche legate alla sagoma dei veicoli, all’armamento, alla trazione, alla sicurezza, alla competenza gestionale, ma in effetti l’alimentazione può avvenire da terra con accumulatori che si ricaricano nel transito (Montelucci), e gli altri intralci tecnici e burocratici sono risolvibili.

 

 A cosa serve un tram-treno?

Riutilizzare “corridoi” già presenti come la tratta in questione della Siracusa Litaca, ridurre le rotture di carico, ridurre i tempi di viaggio aumentando la velocità commerciale – senza perdere in capillarità – migliorare l’efficienza economica del sistema riducendo i costi di gestione e aumentando gli introiti grazie all’utenza conquistata.

Non sempre però è possibile ricorrere al tram-treno: occorre disporre di binari con riserva di capacità o di raccordi dismessi, occorre una conformazione urbana adeguata (possibilità di collegare la rete ferroviaria al centro urbano o a zone dense), è opportuno che già esista una rete tranviaria urbana o quantomeno il tram-treno deve giustificare la creazione di una rete tranviaria urbana ex-novo. Il solo binario nella nostra tratta, con gli scambi nelle stazioni sono dotazione sufficiente. Semmai andrebbero attrezzate le città di percorsi tranviari, per servire come servizio pubblico gli insediamenti.

Si illustrano alcuni tipici esempi di tram-treni realizzati o in corso di realizzazione in Europa.

Innanzitutto il caso di Karlsruhe, che nasce dall’interconnessione di una rete tranviaria preesistente con la rete ferroviaria nazionale e progressivamente esteso fino a raggiungere altre città, quali Baden Baden e Heilbronn, in cui il tram-treno esce dalla ferrovia e funziona localmente come tram urbano; soluzioni simili si sono realizzate a Kassel (con interessanti accorgimenti sull’armamento) e a Nordhausen (con tram diesel-elettrici in grado di percorrere ferrovie non elettrificate), e si sta ora costruendo un’ampia rete di interconnessione fra L’Aja e Rotterdam (Randstadrail).

Il caso di Manchester è stato il primo in cui si è introdotto il tram-treno senza rete tranviaria preesistente, realizzando un’interconnessione denominata Metrolink. Mentre a Manchester sulle tratte ferroviarie interessate i tram hanno sostituito i treni, a Saarbrucken si è mantenuta la promiscuità con i treni e una soluzione simile è ora in costruzione a Mulhouse. Del tutto singolare è poi il caso di Zwickau, dove si è realizzato un “treno-tram” prolungando il servizio ferroviario sui binari tranviari urbani utilizzando moderne automotrici diesel-elettriche adattate al Codice della Strada. Riporto quest’ultimo esempio perché potrebbe essere il modello per il tram-treno da utilizzare nel percorso territoriale Siracusa Licata spandendolo agli insediamenti toccati. Con buona immaginazione potremmo pensare il transito da Jungi a piazza Italia e la riammissione nel tragitto ferroviario per Modica o per Pozzallo.

 

Entrando nel merito tecnico

Si illustrano le soluzioni adottate per quanto concerne l’alimentazione, lo scartamento, i segnali e i regolamenti, evidenziando come i problemi si possono risolvere.

Dalle brevi analisi di seguito riportate si desume come il tram possa considerarsi un mezzo di trasporto anfibio, con un grado di compatibilità che va dalla ferrovia classica, all’area pedonale. È interessante mostrare alcuni precursori” svizzeri del tram-treno, quali la Coira-Arosa (un treno che pensa di essere un tram) e le tranvie extraurbane di Zurigo (un tram che si comporta da treno) classificate come linee S-Bahn, la ForchBahn, (S18) e la Dietikon-Wohlen (S17) con orario cadenzato e integrato nel nodo di Zurigo.

Altra valutazione

Poniamo che nelle nostre zone il tram-treno risulti non realizzabile o non conveniente, perchè soprattutto la domanda suburbana prevale su quella urbana, la risposta più valida è spesso offerta dai sistemi ferroviari “suburbani”, meglio noti come S-Bahn” essendosi sviluppati principalmente nei Paesi di lingua tedesca.

La S-Bahn (abbreviazione di Stadtschnellbahn, “ferrovia veloce urbana”) si differenzia sostanzialmente dai comuni sistemi di ferrovie metropolitane urbane (Untergrundbahn, U-Bahn, “ferrovia sotterranea”) per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria tradizionale e per l’ampio bacino d’utenza servito, che può coprire dall’hinterland di una città a tutto il territorio di una provincia. È bene sottolineare che i sistemi S-Bahn hanno per “baricentro” operativo l’insediamento urbano, dunque sono nati per servire i collegamenti a media distanza fra la città e il territorio circostante.

 

Inizialmente limitati a grandi aree metropolitane, si sta ora assistendo alla loro realizzazione anche in ambiti territoriali di medio-piccola dimensione, come nel caso di Zug (Svizzera) città di soli 23.000 abitanti, costituendo un importante anello intermedio tra i sistemi urbani (Bus-Tram-Metrò) e la ferrovia classica e consentendo un modello di mobilità sostenibile nel quale il mezzo privato si attesta su un trasporto pubblico di qualità, veloce, capiente e relativamente capillare.

Mentre il tram-treno è un mezzo che estende il suo campo d’azione ottenendo il massimo rendimento da tutte le sue potenzialità di mezzo “anfibio”, la “S-Bahn” è un treno che si specializza per uno specifico servizio, coprendo una fascia di domanda cospicua e in continua crescita.

 

Il cuore del concetto di S-Bahn sta nell’ organizzazione del servizio per linee e non per singolo treno. Questo modo di percorrenza nel nostro tratto è assolutamente opposto, funziona per corse e non per regolarità di corse nella linea. (basta consultare un orario ferroviario Modica-Siracusa per rendersene conto). Per cui, data una esistente struttura ferroviaria, vengono istituite linee su un percorso fisso, ripercorso continuamente a frequenza costante, e queste linee sono identificate da un numero, proprio come una linea di tram. L’infrastruttura non deve possedere a priori particolari requisiti, se non quelli necessari a garantire la circolazione dei treni secondo l’orario progettato. Alcuni servizi, qualora le condizioni siano favorevoli, possono essere istituiti senza alcuna modifica all’infrastruttura esistente, anche se in generale sono necessari adattamenti e interventi puntuali per sostenere i più elevati livelli di traffico che quasi inevitabilmente una S-Bahn genera. A volte infatti i sistemi S-Bahn incontrano difficoltà di gestione a causa del clamoroso successo di pubblico che porta il traffico a valori impressionanti (la S-Bahn di Monaco ha visto in 30 anni l’utenza passare da 150.000 a 750.000 viaggiatori al giorno).

 

 

Treno più bicicletta

 

Intermodalità

 

Altra considerazione personale, l’ultima

Quando da ragazzo frequentavo le scuole superiori a Siracusa, in primavera e d’estate andavo a trovare i miei compagni di scuola che abitavano a Canicattini Bagni e a  Palazzolo Acreide: andavo in bicicletta. Della volte per il ritorno facevo tardi e nel timore di imbattermi in guasti e quindi nel buio della sera, mettevo la bicicletta sul pullman della ditta Fratelli Golino – ditta che espletava il servizio su quel percorso – e tornavo a Siracusa. Scendevo al capolinea di Porta Marina, mettevo giù la bici e tornavo a casa nel quartiere di Santa Lucia al sepolcro, dove un tempo abitavo. Era la fine degli anno Sessanta inizi Settanta, di intermodalità non si parlava, ma era già una integrazione modale Bici+Pullman.

 

Cosa intendiamo per intermodalità

Per intermodalità si intende la possibilità di uso combinato di diverse modalità di movimento, di diversi vettori di trasporto. L’integrazione modale è uno “strumento” che consente di moltiplicare – ove adeguatamente diffusa e pubblicizzata -, le ampie possibilità di spostamento (per mia personale attenzione) della bici: si pensi alla modalità bici+treno, bici+bus, bici+traghetto, e così via.

 

Perché dovremmo privilegiare  l’intemodalità?

La mobilità – ormai in diversi ne abbiamo parlato lungamente –  è uno dei nodi essenziali del vivere quotidiano e il diritto alla mobilità costituisce una articolazione fondamentale dei diritti della persona.

L’integrazione modale permette di razionalizzare le possibilità di spostamento sul territorio, di mettere in essere una sinergia tra mezzi di trasporto differenti e dunque anche un risparmio.

Il risparmio si traduce in una riduzione dei costi economici della mobilità, in una maggiore sostenibilità degli stili di vita e dunque in una migliore qualità della vita, in una riduzione del traffico e dell’impatto inquinante causato dall’uso generalizzato e spesso improprio dei sistemi di trasporto a motore e in particolare dell’autovettura privata.

Nello specifico, l’intermodalità tra bici e mezzo di trasporto pubblico ha un effetto moltiplicatore sia sulle potenzialità turistiche, sia su quelle del trasporto quotidiano (mobilità casa-lavoro, casa-scuola, casa-tempo libero) insite nella bicicletta. Si pensi che, per quanto riguarda la pendolarità, il bacino di utenza di una stazione è di 100 kmq.

Che sia trasporto su ferro, su gomma, su acqua o per via aerea, grazie all’uso combinato di altri vettori di trasporto, la bici acquisisce attraverso l’integrazione modale la possibilità di coprire – in tempi limitati e con costi contenuti – distanze altrimenti impossibili o di notevole difficoltà (ad esempio per l’andamento orografico o per la pericolosità delle strade a causa del traffico). È un indubbio arricchimento, che va a favore di chi si sposta in bicicletta, ma certamente non solo: è un importante segnale di attenzione verso l’ambiente e a favore di una mobilità lenta e sostenibile all’interno del territorio. E la sua carenza non può che essere sintomatica.

Nella Svizzera che pratico (ma anche in altre parti d’Europa) il concetto di integrazione modale è noto da molto tempo. È consentito il trasporto della biciclette nella metropolitana e sui treni locali e le stazioni sono normalmente dotate di ascensori e scale mobili che permettono di raggiungere agevolmente il binario di partenza accompagnando la propria bicicletta. Fuori dalle stazioni, poi, esistono parcheggi organizzati per le bici e in molti casi è anche possibile noleggiarle.
In Italia, solo da pochi anni, e con indicibili difficoltà e numerosi tentennamenti, vanno aprendosi nuove possibilità che fanno finalmente uscire questo tema dall’alveo delle velleità di qualche isolato gruppo di nostalgici amanti della bicicletta per ricondurlo all’ambito che gli è proprio, ossia quello del miglioramento dell’offerta agli utenti, della sostenibilità delle scelte economiche e di trasporto, della riduzione dell’inquinamento, aprendo un processo imitativo che si spera sia sempre orientato al miglioramento della qualità della vita di tutti.

Il Parlamento europeo ha approvato la “Carta dei diritti dei passeggeri ferroviari” che stabilisce – tra l’altro – che tutti i treni dovranno prevedere, all’interno dei vagoni, speciali zone riservate a carrozzine e passeggini dei bambini, biciclette e attrezzature sportive. I gestori di treni e stazioni saranno obbligati, inoltre, a garantire l’accessibilità alle stazioni, ai marciapiede e ai convogli, di passeggeri e bagagli eliminando ogni ostacolo alle operazioni di imbarco e sbarco.

 

 

Parcheggi scambiatore

Questa è un’altra opportunità che si rivolge sempre nella direzione della riorganizzazione del trasporto.

Si tratta di avere a disposizione – come del resto in altro intervento sempre su questo sito ho accennato – la possibilità di cambiare mezzo di trasporto ad un certo punto del viaggio. Nelle stazioni ferroviarie, dei pullman interprovinciali –  o nelle immediate vicinanze –  esistono parcheggi bici a noleggio, che con pochi euro al giorno permettono, di spostarsi in città con agilità e tutti i vantaggi che il muoversi in bici porta per sua propria natura. Andare fino al luogo di lavoro, o di studio, o uffici o altro arrivando direttamente sull’uscio, senza avere il problema del parcheggio, e lo stress che l’auto porta con se.

 

Casello presso Sampieri, 1993 – ph Pasquale Bellia

 

Che progettualità si può sperare per il nostro territorio?

Sono stato relatore di una tesi di laurea in pianificazione del territorio presso la Facoltà di Architettura di Firenze. La tesi si svolgeva in un territorio da rivalutare e rifunzionalizzare attraverso un percorso da percorrere in bicicletta, dopo aver lasciato l’altro mezzo (treno o automobile) presso un parcheggio scambiatore. Lungo l’itinerario diverse soste in manufatti esistenti, alcuni abbandonati. Altre soste, solo di tipo naturalistico (tipo percorso vita) debolmente attrezzate con elementi modulari secondo un abaco di componenti. Il percorso è stato inserito nel progetto di recupero dei 60 chilometri dei colli fiorentini.

Per mestiere, i progetti li rappresento, su carta con tratti di disegno e articolati ragionamenti. Descriverli non è agevole e poi non reputo il mezzo che veicola questo intervento, adatto a simile procedere. Però – come ho affermato per la facciata della scuola Miccichè – le soluzioni ci sono e si trovano. Si tratta di porsi nei bisogni dei cittadini e nella cura dell’ambiente. Di avere un pensiero ampio, considerando sia la capillarità delle soluzioni, quanto i riferimenti territoriali come capisaldi di una riconversione possibile e poli di interesse.(sempre nell’indirizzo del pensare globale e agire locale). I capisaldi sono Comiso con l’aeroporto e Siracusa con il suo porto, solo per citare i punti da dove poter spiccare il salto verso realtà geografiche più ampie. Con un interesse per Pozzallo per i collegamenti marittimi.  Poi il recuperare del patrimonio edilizio ferroviario in disuso, vanno  pensati per i servizi che in questi manufatti potrebbero essere destinati, anche con il contributo o il coinvolgimento dei privati.

Il “Treno Museo” del Barocco della val di Noto – da alcuni denominato simpaticamente Sicily Express perché realizzato con vecchie locomotive – non può da solo motivare gli investimenti necessari ad ammodernare, a rendere confortevole e più articolato e veloce la tratta. Poi, ormai sapete come la penso al riguardo: le infrastrutture – come ogni attrezzatura e servizi –  vanno pensate per chi le usa tutti i giorni, cioè i cittadini residenti,  per lavoro o altro e non solo per “fare sognare “ i turisti. È ormai tempo, da tanto tempo, di soddisfare i bisogni individuali e della collettività nella sostenibilità, non si può più e ancora solo vagheggiare. Pensiamo intanto e da subito a fare inserire – se non lo è già – la tratta nelle iniziative riferite alle  ferrovie dimenticate[2].

 L’amministratore delegato delle Ferrovie – dott. Moretti -, in più occasioni ha confermato non poter fare molto nella direzione che a noi sta a cuore, bisogna quindi  fare riferimento alle amministrazioni regionali o a fondi europei per realizzare progetti possibili.

 

Questo appena sopra, è solo un flebile  tratteggio di azioni e pensieri possibili. Una fattibilità ed una esecutività deve intraprendere altre strade, con rigore e consapevolezza dei problemi e dei bisogni, e che necessita di un impegno considerevole e la messa a punto di metodi di analisi e procedure appropriate di progetto.

 

In tutto questo pensare: ho un timore.

Stamani – 17 aprile -, nel programma Il caffè di RAInews  24, ho sentito parlare (con il modo infastidente dei parlamentari) il sen. Giovanni Pistorio: parlava di infrastrutture da realizzare in Sicilia con toni che mi spaventano. Temo molto le politiche del fare per dire che si è fatto, senza la prudenza, la coscienza e l’assennatezza di come quel fare si fa. I disastri ambientali possono essere notevoli e irreversibili.

 

Il saggio ed esperiente Roberto Montelucci sull’uscio di casa nel salutarmi, mi ha raccomandato: ”Lino … non fare come al solito, non te la prendere troppo a cuore. In questi ambiti le cose si fanno se ci sono politici sensibili e intelligenti …”.

 



[1]  Il 21 giugno del 1911 si costituisce la SAFS  (Società Anonima per le Ferrovie Secondarie della Sicilia), con sede a Roma. Tra il 1915 e il 1923 vene completato ed attivato (al servizio pubblico il 26 luglio)  il percorso Siracusa Ragusa Vizzini, passando per Palazzolo A., Giarratana, Chiaramente Gulfi, Nunziata, Ragusa, Buccheri, Vizzini. Le linee SAFS usavano lo scartamento ridotto (m  0.96), le carrozze e le locomotive erano dipinte di verde. Esistevano al tempo varie tratte a scartamento ridotto, come il treno della Conca d’oro. È rimasta attiva solo la circum etnea.

Per la prima volta è stato introdotto in Parlamento il concetto del possibile recupero di una ferrovia in disuso e ciò depone anche a favore della futura approvazione della legge sul recupero delle ferrovie in disuso (Disegno di legge, Senato, n.1170 del 15.11.2006, presentato dalla senatrice Anna Donati) in quanto argomento coincidente e concordante;

  • si introduce anche il concetto di rete nazionale di percorsi ferroviari dismessi da destinare alla mobilità dolce, similarmente ad altri Paesi europei, come il caso famoso della Spagna; ciò significa poter gestire in modo unitario e con un programma d’immagine pubblica comune l’intero fondo finanziario a disposizione
  • infine rafforza e stimola l’azione di Co.Mo.Do. anche in previsione della Prima Giornata delle Ferrovie Dimenticate

Grazie a un emendamento alla Legge Finanziaria dello Stato, presentato alla Camera dal Gruppo dei ‘Verdi’ (deputato Bonelli), è stato stanziato un fondo di 2 milioni di Euro per il recupero di alcuni tracciati ferroviari in disuso e per la loro trasformazione in piste ciclo-pedonali.    

 

[2] Nel mese di febbraio 2007 è stato presentato in Parlamento un progetto di legge per il riuso del patrimonio ferroviario in abbandono e per la creazione di una rete nazionale di mobilità dolce, aperta a pedoni, ciclisti, cavalieri, utenti a mobilità ridotta ecc. In appoggio al progetto è stata raccolta una petizione popolare con oltre 6000 firmatari.

Attualmente tale progetto di legge è in corso di esame alla Commissione LL.PP. del Senato. Per tale ragione e al fine di accelerare la sua marcia, ma anche per mantenere costante nell’opinione pubblica l’attenzione al tema, Co.Mo.Do. ha deciso di proclamare una Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate, la cui prima edizione si è tenuta domenica 2 marzo 2008, con iniziative ed eventi sparsi per tutta Italia.

 

                                                                     Arch. Pasquale Bellia