Franco Di Mare: «Ho un tumore molto cattivo, il mesotelioma: si prende respirando le particelle di amianto»
di Redazione

Franco Di Mare ha annunciato a Che Tempo che Fa di essere gravemente malato. Il giornalista, in collegamento con Fabio Fazio, ha parlato per la prima volta del tumore che lo ha colpito, il mesotelioma: «Questo tubicino che mi corre sul viso è legato ad un respiratore automatico e mi permette di respirare in modo forzato, ma mi permette anche di essere qui a raccontare, a parlare con te. Mi sono preso il mesotelioma, un tumore molto cattivo, legato alla presenza di amianto nell’aria. Si prende tramite la respirazione di particelle di amianto, senza rendersene conto».
Di Mare, 68 anni, con una lunghissima carriera in Rai, ha aggiunto: «La ricerca va avanti. Voi avete Burioni, che qualche settimana fa ospitò un mago della ricerca, proprio intorno ai temi dell’immunoterapia, Paolo Ascierto, che presentò il vaccino proprio da voi in trasmissione, per una malattia correlata al cancro. Quindi si è trovata una soluzione. Non è vero che domani non ci siano possibilità, ma al momento no. Io stasera sono qui a festeggiare l’idea che ci sia una soluzione che ancora non si è scoperta, ma che probabilmente verrà scoperta. Non bisogna buttarsi giù e si può andare avanti con ragionevoli speranze che ci sia una soluzione e che non sia cosi lontana».
Il racconto
«Ero seduto davanti alla sua scrivania. “Houston, abbiamo un problema”, mi disse il professore. “Francesco, non so come dirtelo. In questo momento vorrei tanto essere l’animatore di un villaggio e non un dottore. Hai un mesotelioma. Aggressivo”. “Quanto?” “Alto grado”». Ha capito subito. «Sapevo bene cos’era. Mi sono piegato in avanti, muto, con le mani sulla testa. E il prof si è incazzato. “Ehi! E che è adesso? Si reagisce, si combatte, vedrai che ce la facciamo”». Franco Di Mare, 68 anni, ex inviato di guerra e conduttore tv, deve dosare il respiro, quando parla. «Ho un tumore che non lascia scampo. Mi resta poco da vivere, quanto non lo so. Però non mollo. Confido nella ricerca». Accanto a lui c’è una grossa bombola con le rotelle, che lo segue ovunque vada. Nel naso ha un tubicino trasparente. «È un diffusore di ossigeno, è lui ora il mio polmone. Prima mi aiutava soltanto di notte. Da una decina di giorni invece non posso più staccarmi. Sono legato come gli astronauti. A guardarlo bene assomiglia a R2-D2, il robottino di Guerre Stellari».
«Perché a me?».
Lei ha trovato la risposta. «Perché sono stato a lungo nei Balcani, tra proiettili all’uranio impoverito, iper-veloci, iper-distruttivi, capaci di buttare giù un edificio. Ogni esplosione liberava nell’aria infinite particelle di amianto. Ne bastava una. Seimila volte più leggera di un capello. Magari l’ho incontrata proprio a Sarajevo, nel luglio del 1992, la mia prima missione. O all’ultima, nel 2000, chissà. Non potevo saperlo, ma avevo respirato la morte. Il periodo di incubazione può durare anche 30 anni. Eccoci».
Ci ha scritto un libro che esce domani: «Le parole per dirlo» (Sem, Feltrinelli). «Per raccontare le guerre fuori da me e quella dentro di me. Un piccolo dizionario esistenziale. Senza pietismo. È il mio testamento».
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