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Vasco Rossi ricorda suo padre antifascista e parla dei nuovi fascisti

Vasco Rossi ricorda il padre antifascista, morto a 56 anni nel 1979



Bologna - È destinato a far discutere il ricordo che Vasco Rossi ha fatto di suo padre, morto il 31 ottobre del 1979.

Scrive Vasco: "Il 31 ottobre del 1979 te ne sei andato piegato dalla fatica. Ricordo ancora il tuo mezzo sorriso, caro papà… dolce e gentile. L’altra metà te l’aveva portato via il campo di concentramento nazista a Dortmund …che avevi dovuto scontare per non essserti piegato alla barbarie del nazifascismo e per non aver accettato di combattere contro altri italiani. Non ci crederai ma sono tornati… lupi travestiti da agnelli..bulli..arroganti e le facce ghignanti. Con i loro deliri...i loro dileggi...le loro falsità…la loro propaganda… e la stessa ignoranza! Io resto orgoglioso di te!  Viva Giovanni Carlo Rossi… Papà Carlino".  

Il padre di Vasco Rossi, Giovanni Carlo, era camionista ed è morto nel 1979 a 56 anni. È stato insignito della medaglia d’onore per essersi ribellato al nazismo in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale. 

Giovanni Carlo Rossi fu internato in un lager a Dortmund, in Germania, poiché era tra gli oltre 600mila soldati italiani che dissero no al nazismo, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Fu catturato all'isola d'Elba quando aveva vent’anni. Si ricongiunse alla famiglia solo nel 1945. Il figlio Vasco, nato nel 1952, venne chiamato Vasco in segno di gratitudine verso il compagno di prigionia che salvò la vita al padre Giovanni Carlo.

Il racconto è dello stesso Vasco Rossi: "Mio padre si chiamava Giovanni Carlo Rossi, faceva il camionista. Durante la guerra, dopo l’8 settembre il Carlino Rossi era stato preso prigioniero dai tedeschi all’Isola d’Elba e portato in Germania, a Dortmund, in un campo di lavori forzati, dove si è fatto quasi oltre due anni ed è stato uno di quei seicentomila soldati italiani che non hanno accettato, per evitarlo, di combattere per i tedeschi contro i loro fratelli per la Repubblica sociale italiana. Quando lo hanno liberato, era quasi morto, pesava 37 chili, ed è tornato a casa minato fisicamente. Per quello è morto giovane, credo, perché non ha mai avuto vizi. Mi raccontava che nel campo di concentramento morivano di fatica e non gli davano da mangiare, sopravviveva con delle bucce di patate. Aveva scritto un diario, che mia madre ricopiava, nel quale raccontava delle scene pazzesche a cui aveva assistito. Gli amici pestati a sangue e morti davanti ai suoi occhi. E dopo aver visto questo, tutta la vita gli è sembrata una passeggiata".


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