Una cooperativa delle Madonie ha già salvato 1000 varietà
di Irene Savasta

Dopo il recupero dei grani antichi siciliani, che tanto successo hanno e continuano ad avere soprattutto nel campo della ristorazione, c’è chi pensa a recuperare i frutti siciliani antichi. E non stiamo parlando di sogni ma di qualcosa che è già realtà: grazie all’impegno di quattro giovani, lo scienziato Gaetano La Placa e tre agronomi Vittorio Lipuma, Vincenzo David, Damiano Cerami, quest’utopia ha un nome e cognome: cooperativa Petraviva Madonie, nata nel 2010 per raccogliere e innestare varietà di frutti siciliani antichi, andando in giro per tutta la regione alla ricerca delle specie fruttifere in via d’estinzione.
Forse non tutti sanno che a partire dagli anni ’90 molte varietà sono state abbandonate a causa di una maggiore meccanizzazione e standardizzazione dell’agricoltura. Era anche un periodo in cui si abbandonavano varietà conosciute per innestare frutti esotici, molto più redditizi sul mercato. Per esotici non intendiamo necessariamente frutti tropicali, ma anche varietà provenienti da altre regioni d’Italia, considerate “migliori”. Un po’ come è accaduto con la vacca modicana, soppiantata negli anni ’90 dalla frisona olandese, considerata più redditizia.
Questa cooperativa ha già recuperato il germoplasma di circa 1000 piante e possiede un vivaio che è in continua crescita, con mandorle, susine, pesche, pere, albicocche, mele e altri frutti ancora.
Ad esempio, esistono, in Sicilia, almeno trenta varietà di mele, praticamente sconosciute ai più. Parliamo, ad esempio, del melo “Supranisi”, cultivar dalle ottime caratteristiche agronomiche, diffuso proprio nel territorio dei giovani di Petraviva, ovvero Petralia Soprana; simile è il Melo “San Pietro”, che si chiama così perché matura a fine giugno, in occasione della festa di San Pietro; poi c’è il Melo “Cannameli”, il cui frutto è più piccolo e più dolce degli altri, diffuso in tutta la Sicilia; il Melo “Gelato”, il cui nome deriva dalla presenza nella polpa di aree traslucide che ricordano l’aspetto di un frutto ghiacciato; il Melo “A Barili”, chiamato così per la sua forma cilindrica; il Melo “Cola”, varietà tipica del territorio etneo, da non confondere con “Gelato Cola”; il Melo “Cristallina” detto anche “Ghiaccia” per via della consistenza cristallina che le mele assumono durante la maturazione; il “Melo Narbuni”, che deriva dal soprannome del proprietario del fondo in cui è stato rinvenuto; il “Melo Sgadari”, cultivar molto presente nei campi di Villa Sgadari, dove hanno sede tutte le iniziative della Cooperativa; il Melo “Limoncello”, che si raccoglie a ottobre e si conserva fino a marzo; infine, uno tra i più dolci, il “Melo Lappedda”.
Anche le pere hanno tantissime cultivar (se ne contano 120): Piriddu “Majulinu”, molto precoce; il “San Pietro o Iazzolu” chiamato così per lo stesso motivo dell’omonimo melo, cioè perché matura a fine giugno, in occasione della festa di San Pietro; il Pero “Bianchettone”, più grande degli altri, con un leggero sovraccolore roseo; il Pero “Settembucca”, il cui nome deriva dalla piccola dimensione dei frutti che consente di metterne fino a sette in un boccone! Poi c’è il Pero “Virdi Fattu”, una cultivar molto rustica, sempre più a rischio estinzione, chiamata così per la sua peculiarità di mantenere il colore verde dell’epidermide anche dopo aver raggiunto la piena maturazione; o ancora, il Pero “Facci Russa”, dal colore rosso chiaro, con frutti molto succosi; la pera “Zuccarinu” molto ricca di zuccheri, ideale da consumare sia fresca che per la preparazione di confetture senza l’aggiunta di zuccheri.
Troviamo inoltre il Pero “Garofalu”, poiché il colore rossastro dei frutti esposti al sole ricorda quella del garofano; il “Gentili”, ormai quasi del tutto in estinzione; la “Coscia”, più diffusa e apprezzata; il Perù “Sana Malatu”, noto e presente solo nelle Madonie a differenza di Peru “Palermu” e “Rusatu”; il “Pumu”, perché è una pera con la forma che ricorda più una mela; il “Trunzu” ideale per chi soffre di diabete per basso contenuto di zuccheri; il “Partutu” o il “Faccia di donna”, molto diffuso in passato, oggi molto raro, deve il suo nome alla faccetta rosa che assumono i suoi frutti quando esposti al sole; il “Da Ntrunata” e “Coscia Tardìa”, caratterizzati da una produttività elevata e costante. Il Pero “Putiri d’estate” è un’etnovarietà a maturazione estiva molto dolce; il Pero “Ramunnu”, molto raro, si trova solo nelle alte Madonie; il “Paradisu tardìu”, così chiamato perché dà frutti bellissimi, un paradiso; il “Settembrinu”, dal nome del periodo di maturazione; il Pero “Straulatu”, “Lisciu” o “Santu Liberti”, ottimo per i trasformati, meno per il consumo fresco; le pere “Ucciarduni”, più diffuse un tempo quando venivano appese al soffitto per conservarle durante l’inverno, come le“Spingula” o le “Jazzolu d’inverno”.
Tra le susine ricordiamo la “Muscariddu”, la “Rapparino”, l’”Occhiu di voi biancu” e l’”Occhiu di voi niuru”; poi c’è la “Sanacore”, originaria del monrealese; la Susina “Coscia di Monaca”, sempre più in estinzione; la “Niuru tardìa”, piccola e rustica; e ancora, la “Regina Claudia”, “Goccia d’oro”, “Santa rosa”, “Prunu i sceccu”. Ne conoscete qualcuna? Per le pesche, le varietà da salvare sono “Rahgatedda”, un tempo diffusa nei piccoli apprezzamenti lungo la Valle del Fiume Platani. Più comuni, invece, seppur da considerare sempre frutti siciliani antichi in via d’estinzione, sono altre varietà di Pesco quali “Murtiddara”, “Laura”, “Tabacchiera precoce e non”, “Austina”, “Bianca di Bivona”, “Strisciata”, “Maiolino”, “Sanguinello”, “Giallone”, “Cardinale”, “Ala”, “Pesco di vigna settembrina”, “Pesco dolce”, “Sbergia”.
Tra le ciliegie sono state recuperate la “Maiulina”, molto precoce, che matura i primi di maggio, da cui il nome; la “Napoleona”, anch’essa precoce, gustata sia fresca che in confetture; la “Niura pirmintì” e la “Cappuccia”, che si raccoglie molto matura perché non è tanto dolce e ha una polpa molto dura; la “Moscatella nera”, la “Napoleone” e la “Raffiuna tardiva”, che fino alla prima metà del ‘900 era la più diffusa di tutte nel territorio etneo. Infine, la “Mastrantonio”, la cui riscoperta è attribuita a Don Antonio Gangemi, avvocato e proprietario terriero che a metà dell’Ottocento ritrovò questa pianta e la seguì con cura e passione, apprezzandone subito le straordinarie qualità e caratteristiche. Della stessa famiglia è l’Amarena “Amaridduni”, unica per la dolcezza del suo sapore, chiamata così per le grandi dimensioni e presente in tutto il territorio regionale, seppur in modo sporadico.
Dal 2013 è finalmente un Presidio Slow Food l’Albicocco “Sciddataru” del borgo di Scillato, sul lato occidentale delle Madonie, ai piedi del Monte dei Cervi, del Monte Fanusi e del Cozzo di Castellazzo. Si tratta di una varietà di Albicocco molto precoce, ottimo per le marmellate e sempre più noto, che riscuote un gran successo. Insieme allo “Sciddataru”, sono stati recuperati e salvati anche i “Nustrali”, “Aurora”, “Baccarella facciarotu o facciatu”, “Messinese”, “Perla”, “Damaschino”, “Faccia russa” e “San Giuvanni” dal nome del periodo di maturazione, che coincide appunto con la festività di San Giovanni.
Per i fichi: oltre ai più comuni Fico “Biancu” e “Dottatu”, è stato innestato il “Pilusedda”.
Anche le mandorle, pur essendo un prodotto diffusissimo in Sicilia, rischiano l’estinzione, come il Mandorlo “Pizzuta d’Avola”, cultivar tipica della Val di Noto, in particolare di Avola, che insieme alla “Romana” e alla “Fascionello” è una delle tre varietà divenute Presidio Slow Food Mandorle di Noto. Altri germoplasmi recuperati sono quelli del Mandorlo “Cavalera”, molto ricercato per le sue mandorle con il guscio premice, cioè che si schiaccia solo con la pressione delle dita, tanto che anche gli uccelli riescono a bucarlo facilmente per cibarsene. Differente è invece il Mandorlo “Nuciddara dura o muddrisa” che, al contrario, dà mandorle più dure, come dice il nome. Poi c’è il Mandorlo “Pizzu di Corvu”, che si chiama così per la particolare forma del frutto che ricorda quella del becco di un corvo, indicata nelle zone di alta collina poiché sfugge alle gelate grazie alla fioritura tardiva, come la “Percia visazza”, originaria delle Alte Madonie. Ricordiamo, infine, il Cotogno “Bummuliddu”, utilizzato in cucina per cotognate, mostarde o confetture, chiamato così per la la forma simile al “bummulu”, la tradizionale brocca per l’acqua in terracotta, il Sorbo “Natalina”, che un tempo veniva appeso al soffitto fino al periodo natalizio; o ancora il Corbezzolo, le Nespole d’inverno e il Melograno “Dente di cavallo”, diffuso anche nelle zone del ragusano.
© Riproduzione riservata