In mostra le opere di O'Tama Kiyohara a Palazzo Reale
di Redazione

Palermo – Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara, lui scultore, lei pittrice. Interpreti di un sosalizio umano e artistico narrato in “Migrazione di stili”, mostra visitabile fino al 6 aprile al Palazzo Reale di Palermo, organizzata dalla Fondazione Federico II.
In esposizione 101 opere tra manufatti, cartoni e tessuti, alcune pregiate cartelle similpelle e 46 acquerelli di grande delicatezza cromatica. O’Tama visse a Palermo 51 anni.
La Fondazione ha ricostruito idealmente un complesso percorso iniziato nel 1882 quando l’artista, prima orientale a giungere in Europa, arrivò da Tokio con lo scultore palermitano Vincenzo Ragusa. Nella Palermo di fine Ottocento O’Tama Kiyohara è stata pioniera di un percorso artistico, culturale e didattico votato al progresso e all’innovazione.
L’esposizione – che conta 101 opere – ha il merito di aver riunito finalmente i frammenti di quel lungimirante progetto, grazie al faticoso restauro di 46 acquerelli ikebana e botanici, 6 cartoni (kinkawa-gami) e 18 tessuti, sostenuto dalla Fondazione col Centro Regionale per il Restauro e il Corso di laurea in restauro dei Beni Culturali dell’Università di Palermo. In mostra anche 9 ceramiche, 14 bronzi, 2 ventagli e soprattutto il prezioso kimono dipinto a mano e ricamato con seta policroma e filo d’oro, che è stato collocato all’interno di una teca dedicata in Sala dei Vicerè.
Non un’opera di O’Tama: fu suo marito, Vincenzo Ragusa, ad acquistarlo in Giappone per la sua collezione. Oggi torna a Palermo dopo oltre un secolo grazie al prestito concesso alla Fondazione Federico II dal “Museo delle Civiltà – Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini”.Questo kosode è tipico dello “stile della corte imperiale” (goshodoki) ed era utilizzato per i kimono indossati dalle donne di alto rango della classe samurai. Vincenzo Ragusa annota nel suo inventario: “Veste per gran dama, sposa di qualche generale”.
O’Tama Kiyohara visse a Palermo fino al 1933: portò un livello di innovazione tale da riuscire ad abbattere le resistenze di uno statico sistema artistico. L’arte orientale, fino ad allora considerata una minaccia per l’arte ufficiale, contaminò e arricchì l’espressione artistica italiana. Al contempo, l’arte giapponese, che faceva a meno dell’ombra e della prospettiva a vantaggio delle composizioni decorative, viene contaminata dalla luce della Sicilia.
Parte delle opere sono state finora custodite amorevolmente dal Liceo Artistico Ragusa Kiyohara di Palermo, che ha collaborato sin dal primo passo alla realizzazione della mostra e oggi rappresenta anello di congiunzione tra passato e presente. Una storia che parte da molto lontano, quando nel 1883 nella casa dello scultore in via Scinà inaugurò il Museo d’Arte Giapponese con undici sale espositive che ospitavano la collezione dei manufatti provenienti dal Giappone. Il Museo diventò anche Scuola-Officina e O’Tama fu nominata vice preside e direttrice della sezione femminile.
È solo nel 1884 che la “casa-museo-officina”si trasformò in Museo Artistico Industriale Scuole Officine e infine nel 1887 divenne Scuola d’Arte applicata all’Industria. Un riconoscimento che, tuttavia, rappresentò la fine del sogno di Ragusa: il Regio Decreto, sotto invito delle autorità locali, abolì i corsi giapponesi e la chiusura del Museo. Il gusto autentico italiano era messo a rischio dall’impianto orientale della scuola.
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