E' tipico del sud Italia
di Irene Savasta

Ci si è mai chiesti perché il pomodoro pelato è sempre meno presente sugli scaffali dei supermercati e sempre meno attraente per i consumatori? Dipende dal cambiamento del mercato o c’è sotto qualcos’altro? Eppure, stiamo parlando di un pomodoro tipico delle regioni del Sub Italia. Qualcuno se l’è chiesto: nel terzo rapporto della campagna #FilieraSporca, infatti, viene affrontato questo problema: perché uno dei principali prodotti dell’agricoltura italiana, forse il più famoso, che vanta un fatturato annuo di 3 miliardi, è in crisi?
#FilieraSporca, da due anni scandaglia i percorsi di alcuni prodotti alimentari italiani alla ricerca delle vere cause della loro crisi: ha trovato le falle di un sistema produttivo ormai obsoleto e facilmente attaccabile dalla criminalità organizzata, un sistema dominato da sfruttamento e insostenibilità, in cui gli attori della filiera sono spesso in concorrenza tra loro. Nel nostro Paese vengono prodotti circa 5 milioni di tonnellate di pomodori su un’estensione di poco superiore ai 70 mila ettari.
Tutto nasce nelle terre del sud Italia: è qui che avviene la coltivazione di pomodoro. L’Italia, è il terzo trasformatore mondiale dietro a Stati Uniti e Cina, con il 50 per cento della produzione europea.
La maggior parte dei pomodori raccolti vengono trasformai e venduti o in scatola o in bottiglia. Il 60 per cento della produzione viene inviato all’estero.
Il pomodoro pelato è il simbolo più evidente della specificità italiana, perché è un prodotto che cresce solo nel Sud Italia. Nonostante questa unicità, i grandi attori della filiera assistono impotenti ai cali di produzione, determinati a loro avviso “dal mutamento delle abitudini alimentari dei consumatori”.
Nel dossier viene evidenziato che se da una parte è vero che la velocità dei ritmi moderni rende meno attraente il pelato, è pur vero che la tendenza attuale di diffidenza da parte dei consumatori nei confronti dei prodotti trasformati giocherebbe a favore di un suo rilancio, in quanto prodotto che ha subito una minima trasformazione industriale e ha mantenuto intatto il rapporto con la materia prima da cui origina. E invece gli ultimi dati dicono il contrario: il pelato è in crisi. Oltre alla raccolta a mano, sempre più marginale, una criticità importante è secondo il rapporto nelle cosiddette organizzazioni dei produttori: “dovrebbero svolgere un ruolo di intermediazione tra la parte agricola e quella industriale. Tuttavia, il contratto concluso ogni anno tra le rappresentanze delle organizzazioni e quelle degli industriali, nel Sud Italia, non ha alcun valore vincolante. È il cosiddetto prezzo di massima”, si legge nel rapporto.
Nel Meridione, dove 30mila ettari sono coltivati a pomodoro ed esistono 84 impianti di trasformazione, le o.p. sono 39, contro le 14 del Nord Italia (che ha 26 impianti di trasformazione e una superficie dedicata al pomodoro di 40mila ettari). “L’estrema frammentazione e la loro frequente disconnessione dal mondo agricolo sono uno dei principali ostacoli allo sviluppo di una filiera funzionante, in cui i diversi attori lavorano in un sistema integrato” spiega il dossier. Non a caso la gran parte delle O.P. del Sud ha sede in Campania, dove sono gli impianti di trasformazione, mentre oggi la produzione avviene principalmente tra le province di Foggia e Potenza, tra Puglia e Basilicata. “Il rischio – conclude Spolpati – è che ogni anello della filiera lavori per fregare l’altro”. Il quadro che ne viene fuori parla di un pomodoro pelato italiano sempre più vicino alla trasformazione in una merce standardizzata come le altre, che perde peculiarità e qualità tipiche del luogo di produzione: dalla penisola viene esportato in tutto il mondo, ma nonostante la sua unicità rischia oggi la scomparsa, espulso da un mercato che richiede prodotti semplici e veloci da cucinare.
Nel rapporto viene denunciata anche la pratica consolidata delle aste on-line: si tratta di un meccanismo attraverso il quale la grande distribuzione impone all’industria, e di conseguenza agli agricoltori, di comprimere i prezzi, rendendo insostenibile l’intera filiera.
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