La salma posta sotto sequestro. Famiglia presenta denuncia, si indaga su un possibile sovradosaggio di farmaci.
di Gabriele Giannone


Ragusa – Un presunto caso di malasanità scuote la comunità ragusana dopo la morte della professoressa Gingina Bergamasco, deceduta il 14 luglio scorso nel reparto di Oncologia dell’Ospedale Giovanni Paolo II di Ragusa. La donna, cardiopatica e in cura da anni per una patologia tumorale, si era presentata in gravi condizioni presso il nosocomio circa dieci giorni prima del decesso. Secondo quanto ricostruito finora, potrebbe aver assunto un dosaggio errato di farmaci oncologici ritirati presso la farmacia ospedaliera e somministrati in via domiciliare.
A far emergere il caso è stata la famiglia della professoressa che ha presentato denuncia all’autorità giudiziaria per fare chiarezza sull’accaduto. L’ipotesi avanzata è che la paziente, a causa di un errore nella dispensazione dei medicinali, abbia assunto un dosaggio superiore a quanto previsto dal piano terapeutico. In particolare, a fronte di una prescrizione di 10 compresse da 120 mg (per un totale di 1.200 mg), alla donna sarebbero state consegnate compresse da 500 mg, per un’assunzione complessiva di 4.000 mg in pochi giorni. Una quantità potenzialmente letale.
Visto il peggiorare delle sue condizioni di salute, la donna ha chiesto il ricovero nel reparto di oncologia che non avrebbe alcuna responsabilità nella vicenda. Il sospetto si concentra sul passaggio del farmaco attraverso la farmacia ospedaliera di Modica, dove la donna era solita ritirare le cure prescritte.
La Procura di Ragusa ha bloccato la salma in attesa di disporre l’autopsia, richiesta formalmente dai familiari.
Al momento, è stata presentata una denuncia contro ignoti.
Intanto, l’Asp 7 di Ragusa ha avviato un’indagine interna per fare luce sull’accaduto. Fonti vicine all’azienda sanitaria parlano di possibili trasferimenti all’interno del servizio di farmacia, che sarebbe al centro delle prime verifiche amministrative.
Resta lo sgomento per una morte che, se confermate le ipotesi avanzate, poteva essere evitata. La professoressa Bergamasco, pur convivendo con una grave patologia, era considerata autonoma, attiva e ancora pienamente inserita nella vita sociale e religiosa della sua comunità.
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