Cultura
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16/11/2008 00:05

Rom, l’unico popolo che in due secoli non ha fatto guerra

di Redazione

“Sarebbe un popolo da insignire con il Nobel per la pace per il solo fatto di girare per il mondo senza armi da oltre 2000 anni”. Con queste parole dette da Fabrizio De Andrè durante il concerto che tenne nel 1998 al Teatro Brancaccio di Roma, il cantautore scomparso presentò la sua canzone “Khorakhanè”, un pezzo incentrato sullo stile di vita e l’assoluta libertà di questo popolo errante da secoli. La coda del brano è scritta in “romani”, la lingua dei Rom, e quelle parole struggenti sono state ricordate venerdì sera, in apertura della conferenza dedicata al tema “Zingari, una realtà da scoprire”. “Poserò la testa sulla tua spalla e farò un sogno di mare e domani un fuoco di legna, perché l’aria azzurra diventi casa. Chi sarà a raccontare, chi sarà, sarà chi rimane io seguirò questo migrare seguirò questa corrente di ali”, scrisse De Andrè in quel brano che ha fatto da colonna sonora all’incontro promosso dall’associazione culturale “Creuza de ma” e dalla Scuola per assistenti sociali del corso di laurea in Servizio sociale. Prima delle relazioni, la docente Melania Schembari ha introdotto la conferenza presentando un video sul popolo rom, accompagnato dalle note di De Andrè il quale parlò delle loro emozioni scrivendo “la vita è come il viaggio di uno zingaro, che parte senza sapere la meta e senza, soprattutto, curarsi di questa, perchè il fine diventa solo un interessante particolare, non lo scopo dell’esistenza umana”. L’ingegnere Rosario Spampinato ha fatto un excursus sulla storia di questo popolo senza nazione che è vittima della maggior parte dei pregiudizi dei popoli europei. Spampinato ha raccontato dell’eccidio degli zingari nell’Olocausto.
“Sono stati gli unici a non aver ottenuto un risarcimento, un riconoscimento reale per quello che hanno subito”, ha detto il coordinatore dell’associazione De Andrè, “in virtù del fatto di essere appunto un popolo senza nazione: non c’è stata una nazione che ha perorato la loro causa”. Perseguitati dai nazisti furono uccisi milioni fra uomini, donne e bambini, un numero che resterà per sempre imprecisato. Non c’è infatti tradizione scritta nella cultura dei rom, che resta tuttora solo verbale.
“Rom vuol dire semplicemente e dignitosamente “uomo”, ha detto il responsabile del settore Immigrazione della Caritas iblea Vincenzo La Monica, “per il loro nomadismo, per il loro essere senza patria, per la loro assoluta libertà che li rende privi di condizionamenti economici e sociali, per il loro concetto di relatività del possesso andrebbero compresi e non giudicati, quasi sempre negativamente, come purtroppo avviene”. La Monica ha raccontato l’esperienza dei due sacerdoti della Caritas che vivono nel campo nomadi di Udine. “I due preti condividono tutto con loro”, ha detto La Monica, “e vedendo la loro tradizione di bruciare tutti gli averi di chi muore, hanno capito quel principio che è alla base di tutto, cioè che i rom non accumulano ricchezza il che giustifica, qualcosa che comunque è illecito, cioè il rubare, dato che loro hanno questa visione relativa del possesso”.
Appassionata anche la relazione del docente Fabio Conti, tutor della scuola per assistenti sociali Stagno D’Alcontres il quale si è soffermato soprattutto sul tema delle discriminazioni nei confronti di questo popolo. “L’unico popolo che in duemila anni non ha mai fatto una guerra”, ha detto Conti, ricordando le parole di De Andrè. Il problema dei pregiudizi nei confronti dei Rom è attualissimo. Durante la conferenza è stato menzionato il più ricorrente: il timore che i rom rubino i bambini. “Su 60 casi di denunce su presunti rapimenti di bambini da parte dei rom esaminati in uno studio della Caritas”, ha concluso La Monica, “tutti sono stati riscontrati nulli. C’è da dire che il più grande timore che hanno le mamme Rom è che noi italiani togliamo loro i figli, cosa che purtroppo succede quando vi sono assistenti sociali non preparati”.

Telenova