Nel loft di Sandro
di Redazione


Ragusa, Viale dei Platani, 92. È un loft lo studio di Sandro Bracchitta, suggestivo nelle altezze interne, uno spazio contemporaneo, che ospita però universali della poesia di tutti i tempi, come la vita e la morte, l’amore e il destino ineluttabile della perdita. Bracchitta li affronta in una elaborazione tecnica raffinatissima, che conosce i suoi frutti più proficui nell’incisione, lasciando sedimentare le infinite parole della sua poetica, grazie a un legato tonale equilibrante: il candore soffuso dei mille bianchi, dispiegati su una materia duttile, ora felpata, ora levigata, intagliata dal vecchio gioco dell’esistenza.
Che rapporto esiste tra arte e linguaggi, per un artista che eccelle nell’incisione ma che ha una cifra notevole pure nella pittura?
«La scelta dei linguaggi è assolutamente istintiva, nel senso che è un modo di utilizzare la materia nel modo più congeniale al sentire: l’incisione, la pittura, l’inserimento dell’oggetto nello spazio nelle installazioni: sono tutti modi per entrare in tutte le dimensioni, quella astratta, concettuale del segno, quella più passionale, più ricca di contatto con la natura, che è il colore. Ricercare gli elementi più congeniali al sentire, quelli che mi emozionano: questo è il sentiero. La tecnica non è un progetto. Io lavoro su un percorso esistenziale che è un continuo divenire, per cui l’emozione che viene fuori da un lavoro è solo la tappa di un percorso in progress».
L’arte non risponde a un progetto, ma una tecnica così complicata comporta un linguaggio che va pianificato con un grande studio.
«Io credo assolutamente nel fare, contrariamente a certi esiti dell’arte concettuale. Chiunque può improvvisare una pittura a olio o un pastello o una scultura: provi mille lavori e magari tra questi esce fuori un capolavoro. Con l’incisione questo non è possibile, perché un prerequisito assoluto è la conoscenza della tecnica. All’interno di questo modo di procedere tecnico c’è una dimensione alchemica, temporale, unica, anzitutto perché si lavora in modo speculare: come se si fosse dietro il quadro. Quando poi si stampa, l’immagine è ribaltata, allo specchio. È quasi tautologica della nostra interiorità. È un lavoro paragonabile a una gestazione: c’è un concepimento interiore e poi un lavoro fisico di procreazione. Tutto il risultato è nel momento in cui si alza il foglio, dopo la stampa».
Questa natura tautologica dell’incisione può essere considerata uno strumento, per l’artista, per imparare a guardarsi dentro?
«Assolutamente. Il lavoro è un riflesso di un modo di percepire il mondo, le cose, sia in modo epiteliale, sia in modo interiore. È come se l’uomo vivesse un terzo livello, fatto di ciò che è sulla pelle, e di ciò che sta dentro, che è già in nuce, incondizionato, misterioso, quasi genetico, quasi vicino a Dio. Forse è Dio. Ed è assolutamente ingestibile: ognuno di noi può fare anni di psicanalisi, per scoprire che questa corteccia che protegge il nucleo è difficilissima da scalfire. Più in profondità si va, più quest’immagine di questo nucleo, di questa monade, ci fa pensare che questo sia l’universo. Poi c’è questa pelle dell’esterno, che è fatta di lacerazioni. Di amore. L’opera è la continuazione tra questi due mondi, quello esteriore, e quello interiore, sacro, che conserviamo dentro di noi».
Il legame tra arte, psicanalisi, conoscenza di noi. Dunque esiste?
«Per me è un discorso unitario. Fa parte del mio background, fin dai miei primi anni, l’attenzione a una pittura che parli dell’uomo, anche quando parli della natura, che in fondo è il riflesso dell’uomo. Un pittore straordinario come Guccione dice di dipingere quello che vede. Ma quello che fa è quello che vede dopo che è stato filtrato da una dimensione poetica straordinaria. La mia ricerca è dentro questa dimensione poetica».
Questa arte così vicina all’uomo, lirica, non rischia di essere decontestualizzata dal reale? L’arte che pure parli dell’uomo come intimità può avere interferenze sociali?
«Più che interferenze, devono essere contatti. Devono implodere. C’è un modo di fare evolvere il pensiero, le coscienze, dall’interno, con la musica, il teatro, l’arte. Che è al di là di ogni tipo di didattica, di educazione. È proprio vero che l’arte salverà il mondo».
La Sicilia
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