Cultura
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10/04/2008 12:52

Scusa, ce l’hai un centino per il lattino del mio vespino?

di Redazione

“Scusa, ce l’hai un centino per il lattino del mio vespino?” Chi leggerà questa frase non potrà probabilmente capire nulla del suo significato, a meno che non abbia frequentato quei giovani palermitani che, a metà degli anni ’70 solevano riunirsi davanti a un noto cinema della città. Parlavano tutti più o meno così, anche per chiedere dei soldi in prestito per la benzina del motorino!

Se poi una ragazza ti chiedeva “mi illumini?” non si riferiva certamente al tuo sguardo, ma voleva semplicemente accendere la sigaretta! A più di trenta anni di distanza, i giovani continuano a parlare con un linguaggio criptato, quasi segreto, come se lo volessero appositamente custodire dal lontano mondo degli adulti.

Altrimenti che senso avrebbe? Anche per questo motivo, lo studio sul linguaggio giovanile è estremamente complesso, perché in continuo divenire, mutevole sia dal punto di vista geografico che cronologico.

Se dalla fine degli anni sessanta sino agli anni settanta, i giovani usavano un linguaggio “politico” e di contestazione per i tempi nei quali vivevano, utilizzando ad esempio, espressioni quali “ nella misura in cui….” “cioè….” “ prendere coscienza….” negli anni ottanta, il rifiuto per ogni forma d’ impegno socio-politico, fece emergere il famoso fenomeno dei “paninari” nato a  Milano e giunto fino in Sicilia. Piumino Monclair, scarpe Timberland, cinture El Charro e felpe Best Company erano gli imperativi dei paninari, e lui, il Paninaro, era un “tipo tosto che vestiva troppo giusto”!

Chi, tra i meno giovani, non ricorda forse il personaggio impersonato da Enzo Braschi al Drive In di Italia 1, che imperversava al ritmo di Wild Boys dei Duran Duran? Col tempo, anche il ragazzo che si “sparava il paninazzo nel gargarozzo” e che il miglior passatempo era quello di “cuccare le sfintizie”, invitandole a salire sulla propria Zundapp 175, è sparito .

Gli esperti dicono che le parole dei giovani sono meteore velocissime che durano al massimo dieci anni e poi scompaiano.

Oggi, i nostri ragazzi sono sicuramente molto veloci nel comunicare, aiutati anche dai mezzi informatici che loro magistralmente, governano. Il linguaggio degli sms (acronimo dell’inglese short message service) ne costituisce un esempio:  “3mendo”,  “novelordin” (non vedo l’ora di vederti), cpt (capito), cmq (comunque), “xkè” (perché), t.v.t.b.(ti voglio tanto bene) “xxx”(baci).

Utilizzano abbreviazioni e troncamenti, come: mega (grande), prof (professore), raga (ragazzi); forestierismi: gym (ginnastica, palestra) cucador (uno che ha successo con le ragazze), o parole prese a prestito dal gergo dei tossicodipendenti: cannarsi, sballo, calarsi…. Insomma: colloquiale, sboccato, gergale, il linguaggio giovanile è fatto di parole poco note o addirittura sconosciute agli adulti.

Parole che cambiano in fretta, ma che lasciano il segno e che caratterizzano intere generazioni. Alzi la mano chi, tra i ragazzi del ’90, non abbia  sentito almeno una volta la famosa battuta interpretata da Carlo Verdone in “Gallo Cedrone” : “Lo sai che c’hai un sito da paura….Te c’hanno mai cliccato sopra?”

Già, il linguaggio informatico è forse la vera novità del nostro secolo, i nostri giovani sono sedotti dalla forma rapida e incisiva delle parole, come nick per dire nome (da nickname, il soprannome da scegliere per entrare nella chatline, le linee telematiche con le quali i ragazzi passano il loro tempo libero a chiacchierare). Comunque parlino i giovani, essenziale per la loro crescita è l’idea di gruppo.

L’amicizia, infatti, è uno dei sentimenti più forti, coinvolgenti, nell’ambito della vita quotidiana e come affermò K. Manneheim in “Sociologia della conoscenza”:entrar a far parte di un gruppo, comporta qualcosa di più della mera accettazione dei valori che lo caratterizzano; significa cogliere le cose in quell’”aspetto”, i concetti in quella sfumatura di significato, i contenuti psico- intellettuali in cui sono presenti per il gruppo.” Gli atteggiamenti scherzosi ed esuberanti, il linguaggio talvolta scurrile , i comportamenti bizzarri e le acconciature volutamente “scombinate”, sono solo forse i modi più naturali per vivere la loro amicizia, per sentirsi parte integrante del gruppo e per dirla con Rousseau, essere “animali sociali”.

E allora, dato che ai ragazzi piace questo modo di vivere e di comunicare, forse gli adulti dovrebbero evitare di scimmiottare il loro linguaggio, e di lasciarsi semplicemente coinvolgere!

 

L’intervista (Paola Pottino)

 

Tullio DeMauro, uno dei più grandi linguisti dei nostri tempi, ha insegnato e ha diretto il Dipartimento di Scienza del Linguaggio all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, E’ stato Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Amato (2000-2001). Ha insegnato a vario titolo in diverse università italiane, tra le quali a Palermo. Reduce da un recentissimo viaggio in Giappone nel quale ha ricevuto la laurea honoris causa in lettere dalla prestigiosa e famosa Waseda University.

 

Oggi, i giovani adottano sempre più un linguaggio codificato, nel quale è impossibile comunicare con il mondo degli adulti; secondo lei, perché?

Gli adulti si infastidiscono spesso alle piccole provocazioni gergali inserite in qualche frase per sostituire questa o quella

    2.Il senso di appartenenza al “gruppo” oltre a dettare determinati imperativi (ci si veste secondo la moda del momento, la pettinatura deve essere in un certo modo ecc…) crea un linguaggio decisamente esclusivo. Secondo lei, questa, è soltanto una fase adolescenziale o si rischia la spersonalizzazione dell’individuo?

    Gli effetti delle ondate consumistiche investono tutti ceti benestanti delle società più ricche o aspiranti a ricchezza. La cosa non riguarda i bambini, vittime innocenti dei genitori e affini, ma un po’ tutti. E i benestanti creano spinte imitative anche tra i milioni sotto la soglia di povertà. I tic linguistici vengono dopo e sono poca cosa di fronte alla mania delle stesse pupattole, degli stessi costosi zainetti, su su fino ai ridicoli e fastosi abbigliamenti da sposa eccetera.

    3. Sembra che i ragazzi siano diventati veramente pigri! Abbreviano tutto, e concedono poco spazio alle parole. Usano “mega” per dire grande, scrivono “xkè” , cmq (comunque) o per mandare i loro baci si limitano a scrivere xxx. Sono vittime del mondo  accelerato o cosa?

    Un po’ di brevità e abbreviazioni non fa male a nessuno. Assai peggio è la prolissità- 

    4.Ci si lamenta spesso della mancanza di dialogo tra adulti e giovani, secondo lei come si potrebbe intervenire per entrare in maggiore sintonia con i giovani?

    Stando insieme a loro almeno all’ora di pranzo e di cena, invitando a casa, se è possibile,  loro amici e amiche, facendo cose in comune con loro, condividendo informazioni, spingendoli a camminare a piedi e, se ne hanno voglia, passeggiando con loro, insomma, badando a non essere troppo rompiscatole, abituandosi a condividerne momenti di vita. E, importante (anche per chi insegna!), imparando da loro se sanno cose che da adulti non si sanno.

    5. Professore De Mauro, il linguaggio parlato è figlio dei tempi?

           Tempi è proprio la parola giusta. In buona parte le parole che usiamo e le regole per formarne nuove e usarle  ci vengono da tempi remoti, perduti nelle antichità della preistoria Altre, vengono dai secoli passati. Poche dal Novecento e dagli anni a noi vicini,  ma queste non è detto che sopravvivano a lungo nell’uso, come all’epoca sua già osservava il grande Orazio (il poeta latino, non il personaggio di Topolino, mi pare).

 

 

 

Lo sapevate che…

In Francia, il linguaggio dei giovani, si chiama “verlan” (da “l’envers”, cioè il contrario, il rovescio) e si basa sull’inversione delle sillabe dei sostantivi, cosicché, per esempio, la parola casa diviene “saca”. La funzione criptica di questa lingua è spesso usata per non farsi intendere dagli insegnanti e dalla polizia, da ciò si deduce che viene molto utilizzata soprattutto nelle periferie francesi.

 In Inghilterra:

Se un giovane londinese scrive: “2b or not 2b”, non vuole una risposta ad un cruciverba delle parole incrociate, ma scrive in maniera abbreviata “to be or not to be…” la famosa frase dell’Amleto di William Shakespeare. La Commissione che sovraintende agli esami scolastici in Inghilterra e Galles ha annunciato che gli studenti delle scuole superiori sono autorizzati a utilizzare la lingua sintetica dei messaggi inviati col cellulare anche nei test, negli esami, nei compiti in classe e fatti a casa; l’importante è che gli studenti diano prova di conoscere i rudimenti della grammatica! Ovviamente tale decisione è stata criticata da molti che vedono in questa “rivoluzione” un vero e proprio assalto alla lingua di Shakespeare.

 

Fonte: Siciliainformazioni.com