di Redazione

Per il 20enne sciclitano pastore incensurato Giovanni Pacetto (nella foto), i giudici del tribunale della liberta di Catania potrebbero derubricare in favoreggiamento l’originario reato di omicidio aggravato in concorso e detenzione illegale d’arma da fuoco. Ne è convinto l’avvocato Giuseppe Pitrolo.
La pesante accusa pende anche su Antonino Ferrante, 37 anni, inteso Toni, e sulle due sorelle Maria Ferrante, 40 anni, ed Elena Ferrante, di 33, quest’ ultima ritenuta dagli investigatori come colei che ha premuto il grilletto della pistola da cui sono partiti i due colpi mortali all’indirizzo di Giuseppe Drago, 32 anni, freddato domenica sera sull’uscio di casa sua, in via Sette Fratelli Cervi, nel quartiere Jungi.
Dall’interrogatorio in carcere del Gip Michele Palazzolo, è difatti emersa la pressoché totale estraneità ai fatti di Pacetto, chiamato di corsa da Toni Ferrante a cose già fatte per nascondere in un posto sicuro il fucile a canne mozze e la pistola calibro 7,65 utilizzati per ammazzare Drago. Pare che Pacetto avesse in un primo momento tentato di opporsi, finendo poi con l’assecondare Ferrante che, in caso contrario, pare lo avesse anche minacciato di fargliela pagare.
Ad ogni modo il magistrato ha deciso per il mantenimento della custodia cautelare in carcere per tutti e quattro gli arrestati, dopo aver sentito le rispettive versioni dei fatti. Concordi quelle rilasciate dalle due sorelle Ferrante, le quali hanno affermato d’aver solo assistito al delitto, commesso invece dal fratello. Quest’ultimo ha confermato la versione, sostenendo d’aver sparato a Drago imbracciando il fucile a canne mozze e puntando la pistola con la mano sinistra.
Una versione che convince poco per due motivi: intanto perchè il fucile, essendo particolarmente pesante, si regge a malapena con tutte e due le mani, e poi perchè pare che i due colpi di pistola siano stati esplosi in un secondo tempo, dopo l’improvvisa reazione di Drago che si era scagliato contro i suoi killer dopo essere stato ferito alle gambe dalla rosata di pallini del fucile, che avevano colpito di striscio anche una donna e la sua bimba di dieci mesi, uscite in quel momento dalla vicina abitazione. Gli avvocati si sona dunque rivolti ai giudici etnei.
IL SUNTO DELLE INDAGINI E
Secondo la ricostruzione dei militari, gli esecutori materiali dell’agguato sarebbero stati Antonino Ferrante, che avrebbe imbracciato il fucile a canne mozze con il quale aveva colpito Drago alle gambe, e la sorella Elena, che avrebbe sparato con la pistola i colpi di grazia che avevano attinto il 32enne al torace, perforando cuore e un polmone.
La vendetta è maturata dopo che Giuseppe Drago avrebbe incendiato il chiosco di frutta e verdura di viale Primo Maggio, gestito dalle sorelle Ferrante, un quarto d’ora prima d’essere ammazzato, recandosi poi nell’abitazione della madre dei Ferrante, minacciandola e scagliandole addosso un soprammobile pesante con il quale l’aveva ferita.
Tutto per dissidi e rancori scaturiti da affari poco leciti, per affermare la leadership su un giro di droga nel territorio. A questo punto i killer, pazzi di rabbia, si sono messi sulle tracce di Drago, che era appena rincasato in scooter nella sua abitazione dopo aver incendiato il chiosco e ferito la madre di coloro che l’avrebbero ucciso pochi minuti dopo.
I killer avrebbero avuto tutto il tempo di organizzare nei minimi dettagli la spedizione punitiva, bussando alla porta di casa di Drago, dopo che Pacetto aveva procurato e consegnato la pistola e il fucile a canne mozze. Quando il giovane ha aperto, i due hanno sparato una rosata di pallini con il fucile, ferendo Drago alle gambe e colpendo di striscio anche una donna e la sua bambina di appena dieci mesi, e non la figlia di due anni di Drago, che non si trovava in casa al momento dell’agguato.
Il giovane ha tentato una reazione, prima d’essere finito con due proiettili di una pistola calibro 7,65 che uno dei due killer ha tirato fuori dopo la prima scarica di pallettoni con il fucile a canne mozze.
Poi i due sicari si sona dileguati, mentre Drago giaceva immobile in una pozza di sangue e la donna urlava in strada con la figlioletta in braccio. Le due malcapitate stanno adesso entrambe bene.
I Carabinieri hanno portato avanti le indagini risalendo in poche ore agli autori dell’omicidio, ma non senza difficoltà. Come dichiarato dal comandante provinciale Nicodemo Macrì, i militari non hanno difatti potuto fare affidamento sulle testimonianze. L’omertà l’ha fatta da padrone in un quartiere troppo scosso.
Drago, operatore ecologico alle dipendenze della ditta che gestisce in città il servizio di raccolta rifiuti, è figlio del noto pescivendolo Salvatore Drago, meglio nota come “Turiddu ‘u nanu”. Sposato e padre di due figli piccoli, era noto in città con il soprannome di “Peppi ‘u tedescu”, avendo vissuto per parecchio tempo in Germania, da dove era tornato circa quattro anni fa.
Giuseppe Drago ogni sera doveva fare rientro a casa alle
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