Misteri di famiglia in una Sicilia immaginaria
di Redazione

Mara, nipote e figliastra di Anna Carpinteri, «matriarca» di una famiglia ricca di Pedrara, immaginaria località di una Sicilia maestosa nella sua bellezza rugosa, e Benedetto Lo Mondo detto Bede, amministratore di ciò che resta del patrimonio di Anna, sono le due voci che si rincorrono nel nuovo romanzo di Simonetta Agnello Hornby e ne scandiscono i tempi raccontando in prima persona drammi e sfaceli della famiglia, intrighi e amori complessi. E’ così che «Il veleno dell’oleandro» (Feltrinelli, 224 pp., 17 €) s’insinua nelle crepe dei muri e nelle ferite dei cuori e intacca ogni cellula con la sua acredine violenta e demolitrice.
Benedetto, detto Bede, bello di una bellezza sconvolgente, dopo essere stato amico e protetto di Tommaso, marito di Anna, ora è diventato quasi un badante di lei succube della sua bellezza e gravemente ammalata, quasi alla fine dei suoi giorni. Intorno fervono le lagnanze e le invidie parentali, figli e nipoti che riflettono una decadenza inarrestabile e sognano il ritrovamento di un fantomatico tesoro per risollevare le sorti della famiglia, rappresentato dai gioielli di un’antenata adultera, nascosti in momenti drammatici.
«Volevo scrivere un romanzo imperniato su due argomenti – mi dice la scrittrice Simonetta Agnello Hornby con il suo inconfondibile accento siciliano, che non ha mai perso nonostante viva da decenni in Inghilterra-: uno è la bisessualità, una categoria d’individui osteggiati dagli etero, che li considerano diversi; l’altro è l’amore di una donna anziana e malata per un uomo giovane e bello. E’ un amore che continua fino alla morte pur sopportando derive sentimentali del giovane nella cui sensibilità amorosa covano abbandoni non sempre accettabili».
– Perché questi due argomenti un po’ insoliti nella sua produzione narrativa?
«Volevo mettere insieme queste due storie e porle al centro di una famiglia strana come quella di Anna accostata a quella normale del bellissimo Bede. In seno ad essa il diverso è protetto perché simbolo di una bellezza rara, e per questo i fratelli sparano e ammazzano per lui, la madre lo divora con gli occhi e il padre vede nel figlio la realizzazione dei suoi sogni. La storia, registra il caos della società siciliana, così com’è oggi tutta la realtà italiana: un intreccio di cupi umori suscitati da urgenze e necessità impellenti e non più derogabili sul fronte umano e politico».
– Perché Anna si è lasciata coinvolgere in un «triangolo» sentimentale?
«Anna che era una zitella contenta di fare la professoressa, si vide costretta a sposare Tommaso, il cognato vedovo, per badare ai nipoti, e per sedurre il marito e concepire, fu costretta ad accettarne alcuni lati oscuri. Ma poi s’innamora perdutamente del giovane amico del marito, Bede, un Adone che incarna tutte le più eccitanti virtù dell’amore».
– Scorre nell’opera anche una sorta di respiro giallo che lei dosa abilmente. Si è convertita un po’ anche lei alla moda corrente?
«Io non ho mai capito che cosa s’intenda per giallo, e sostengo che tutti i libri hanno del giallo se ci riferiamo alle sorprese che il testo può e deve rivelare. L’autore che comincia a scrivere a fa capire subito tutto al lettore, non credo sia un bravo scrittore, né penso che i lettori lo amino molto. La differenza tra i libri cosiddetti gialli e gli altri non l’ho mai capita, forse perché nella mia vita ho letto pochi libri gialli. Il Conte di Montecristo è un giallo? Eppure quanti misteri e colpi di scena ci sono in tutto il romanzo».
– Molti scrittori si occupano della contingenza e spesso abbandonano la sostanza, ma lei non trascura mai l’anima dei suoi protagonisti e ne esalta i tormenti. Ma perché sono tanto tormentati?
«Credo fortemente nell’amore, e in tutti i miei romanzi ci sono dei grandi amori che a volte distruggono i piccoli amori della famiglia. Anna per amore di Bede è stata una pessima madre e una zia disattenta. Per amore di Bede ha vietato ai figli che sono gli eredi di andare d’estate a casa loro. Lei era generosa e li mandava in viaggio, ma solo perché non disturbassero in alcun modo la sua vita con l’uomo che amava, dal quale era posseduta in una maniera che può essere anche una dannazione. Anna in questo era una donna egoista. Mara e Giulia la definiscono buonissima, ma non suo figlio, perché con lui fu tutt’altro che accomodante. Però agli occhi di tutti è una donna santa».
– Gli interventi di Mara sono una sorta di controcanto alla realtà. Personaggio critico?
«Mara è il personaggio più critico e più intelligente, perché ha avuto una madre che l’ha adorata. Giulia la sorellastra, no. Ha avuto una zia che l’ha amata ma non adorata. E c’è una gran differenza. L’amore non è una somma numerica, un gioco d’innesti e di adulazioni che prosegue l’esistenza. La mancanza d’amore crea sempre solchi profondi in ogni anima. Mara l’ha capito e per questo agisce con saggezza e giudica con moderazione».
– E’ completamente inventato il personaggio di Bede?
«Conosco persone che somigliano a Bede: ma nessuno è come lui. Ho amici cari che apprezzo enormemente, ma nessuno è come Bede. Lui è uno che quando va in chiesa vuole essere come un angelo. Adora la bellezza e ama sua madre, ma ha fatto un errore terribile per il quale ha pagato come succede a tutti i diversi a qualunque tipo, che pagano sempre abbondantemente per la loro diversità».
– Questo romanzo richiama molto il suo primo libro, «La Mennulara». Hanno qualcosa in comune?
«E’ vero: quando lo scrivevo con la memoria sono ritornata alla “Mennulara “, e dieci anni dopo ho sentito le stesse emozioni. E’ una “Mennulara ” più triste, perché nel frattempo è morta mia madre, e questo ha influito molto su di me. Anna è un personaggio più drammatico, ma il passo, i tempi sono gli stessi: la vicenda si consuma in cinque giorni in questo, sette nell’altro romanzo. A differenza della “Mennulara ” questo romanzo è più cupo, forse perché sono più tristi i tempi in cui viviamo. Ma non è cambiata in me la speranza nel futuro».
La Sicilia
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