Cultura
|
03/08/2008 16:00

Socrathe. Giuseppe Garibaldi, agiografia di un filibustiere

Riproponiamo uno dei pezzi più riusciti del nostro Socrathe

di Socrathe







La notizia delle picconate alla targa “Piazza Garibaldi” da parte del Sindaco di Capo d’Orlando ha fatto il giro dei maggiori quotidiani d’Italia. Qualcuno ha visto nel gesto folkloristico del primo cittadino del comune rivierasco della provincia messinese un preoccupante ed emergente “secessionismo”. Separatismo e anche disfattismo. Noi abbiamo apprezzato soprattutto la voglia ed il tentativo di far emergere la verità, a colpi di piccone, da un periodo storico, il Risorgimento siciliano, scritto a tavolino in una falsa e abbottonatissima stanza notarile piemontese. L’articolo è lungo ma si beve tutto d’un fiato. La storia, raccontata così, sospesa tra sorrisi e verità, non la scorderete più. Qualcuno vuole scommettere?

Quante strade, quante piazze, quante statue sono dedicate all’eroe dei due mondi? Molti addirittura lo vorrebbero oggi a capo di un partito politico e questo la dice lunga sull’intima sfiducia nei confronti dei nostri governanti. Ma Garibaldi, finora unanimemente considerato il primo santo laico della nostra storia, comincia ad essere guardato con occhio diverso. C’è infatti un filone della storiografia moderna, soprattutto meridionalista, che studia gli avvenimenti da un punto di vista tutto nuovo, atipico, quello degli sconfitti. Il revisionismo insinua un dubbio: eroe immacolato o avventuriero?

Garibaldi fu un generale senza gradi e senza un esercito regolare. Sicuramente egli fu gradasso, narciso, incostante. E’ forse l’eroe più popolare dopo Cesare ma per parte della critica storica la sua gloria era tutta una farsa: egli era l’attore di una pièce teatrale di cui registi e scrittori erano altri. Per il sud è stato addirittura una vergogna: il meridione, mai prima dell’unità, era stato patria di emigranti, ma sempre una terra ricchissima, officina di cultura, fabbrica di meraviglie esportate in tutto il Mondo. Il mito dell’eroe invincibile inizia ad incrinarsi già in Sudamerica (Rio de Janeiro 1835/1836, poi Montevideo, ci resterà 12 anni e farà ritorno in Italia nel 1848, a 41 anni, allo scoppio della I guerra di indipendenza) dove si macchiò – e su questo i libri di storia tacciono – di violenza gratuita, di furto di bestiame e addirittura di traffico di schiavi. Il suo famoso taglio dei capelli, a caschetto, è dovuto a un increscioso episodio: fu ladro di cavalli e subì per questo reato il taglio di un orecchio. Fu anche pirata nel Mediterraneo al servizio dei bej barbareschi. Non è mai stato un organizzatore di eventi, uno stratega, ma solo un ottimo esecutore delle imprese che gli venivano commissionate da Inghilterra, Francia, Piemonte e dalla massoneria: anche per togliere di mezzo il regno delle due Sicilie egli fu foraggiato. La leggenda si impadronì di lui. «Dicevano che era alto cinque  piedi – un paio dei metri attuali- (mentre, in realtà, la sua statura non superava il metro e 65 cm, ma in compenso era ben proporzionato)  e che, dopo ogni battaglia, si scuoteva il mantello per far cadere le pallottole che si erano impigliate nelle maglie, senza ferirlo. In realtà, non veniva colpito solo perché stava prudentemente alla larga dalla prima linea di fuoco. Spesso – altro che fisico d’acciaio –non stava nemmeno bene di salute. L’artrite lo obbligava a coprirsi di strati di lana e di sciarpe, avvolgendosi collo e orecchie tanto che, a volte, sembrava piuttosto la nonna di Garibaldi. Scatarrava e sputacchiava, faceva sentire l’asma quando respirava e, la sera, si addormentava, ronfando, come quei mantici sfiatati dei fabbriferrai». Era agile se doveva rincorrere le ragazzine e, quando il marito si metteva di mezzo, peggio per il marito. C’è anche un macabro sospetto che pesa sulla morte della moglie Anita. L’autopsia fatta sul cadavere ci informa che ‘sono evidenti sul corpo segni non equivoci di sofferto strangolamento’: una forma di eutanasia? Ma non ci sono prove e quindi il mistero non è mai stato chiarito. Tra parentesi ricordiamo anche lo scabroso episodio delle nozze con la contessina Giuseppina Raimondi. Appena salito sull’altare e unitosi in matrimonio con lei, Garibaldi riceve una misteriosa lettera. Dopo averla letta, egli si rivolge alla sposa dicendole: ‘Signora, pensavo di aver sposato una contessa ed invece siete una puttana’. Fine miseranda di un matrimonio in seguito annullato. Per la cronaca la contessa aspettava un bambino che non era figlio di Peppuccio Garibaldi. Pinuccio non era un fesso!

La sua incostanza: da repubblicano diventa monarchico, manda a quel paese Mazzini, colpevole ai suoi occhi di essere troppo velleitario e idealista, e sale sul carro della casa Sabauda. Ma è l’impresa dei Mille che crea le maggiori recriminazioni e le più forti critiche da parte della storia revisionista. E getta più ombre che luci sulla figura del nostro eroe. Garibaldi è arrivato in Sicilia perchè qualcuno ve lo ha fatto arrivare e ha vinto delle battaglie perchè qualcuno gliele ha fatte vincere. Già un mistero è quello delle navi che lo portarono. in Sicilia: il Lombardo e Piemonte. Ufficialmente furono requisite all’insaputa dell’armatore e del governo sardo ma è difficile oggi sostenere che questi fossero all’oscuro del suo colpo di mano  Tra i garibaldini ci sono volontari, sbandati, avanzi di galera ma anche ufficiali dell’esercito sardo. Risultano ufficialmente dei disertori, ma oggi sappiamo che fu una sceneggiata, una precauzione ideata da Cavour, il tracagnotto, lo stratega, il fine tessitore delle trame Sabaude, per evitare guai alla casa di Sardegna in caso di fallimento della spedizione. Si parte da Quarto e la prima sosta è a Talamone, per rifornirsi di armi e munizioni. Nelle sue memorie  Garibaldi afferma che la scelta fu casuale ma, per combinazione -toh, guarda il Caso quando ci mette lo zampino- tra Talamone e Orbetello c’erano due insediamenti di truppe piemontesi e, sempre per combinazione, nei loro magazzini si trovava un eccesso di armi e munizioni che passarono al generale.

L’11 maggio avviene lo sbarco a Marsala: la marina e l’esercito borbonico reagiscono tiepidamente in quanto tra le due navi di Garibaldi ci sono alcune navi inglesi: risultato dello scontro due feriti leggeri. Un morto in verità c’è: un povero cane randagio che si trovava malauguratamente a passare di lì e che viene raggiunto da una cannonata dei napoletani. Ma perchè l’Inghilterra ha interesse a sostenere la spedizione? Gli inglesi avevano la possibilità di sfruttare le miniere di zolfo, che equivalevano alle miniere di uranio di oggi, e tutta la Sicilia occidentale era praticamente appaltata agli inglesi, i quali si diedero da fare per un cambio della guardia nel sud. Anche la massoneria, filoinglese, ma soprattutto consapevole che, dopo i Borboni, la guerra sarebbe passata nello Stato pontificio di cui era acerrima nemica, aiutò Garibaldi. Appena arrivato in Sicilia egli si autoproclama dittatore dell’isola e afferma di voler liberare i siciliani dalla oppressione feudale e di voler dare le terre ai contadini, impegno che in seguito non sarà in grado di mantenere. Poi l’impresa prosegue agevolmente e Garibaldi conquista il sud scivolando come olio sull’acqua, come afferma un giornale inglese. Alessandro Dumas, che lo raggiunge a Palermo e lo segue poi  a Napoli, scrive nelle sue memorie: “è più grande di Napoleone e più incorruttibile di Cincinnato”. Dumas nel frattempo ha tempo di scrivere l’agiografia di Pinuccio, eroe dei due mondi, e almeno una ventina di altri libri, tra ricettari napoletani, saggi e romanzi storici. La vita del santo italo-sudamericano lo impegnava tantissimo! Decisiva in questa impresa fu solo una battaglia, quella di Calatafimi, osannata dagli storici, in realtà una commedia, dove un esercito regolare e addestrato, quello borbonico, si incontrò con un pugno di avventurieri sprovveduti con le camicie rosse, aiutati dai famosi picciotti, mafiosi che non sapevano nulla di combattimento. L’ordine di Garibaldi fu di non sparare, invece i picciotti, bestemmiando e gridando, partirono in maniera scalmanata, ma quando i borbonici aprirono il fuoco, gli ‘eroici’ filibustieri del fico d’india fuggirono tutti a gambe levate. Bixio allora diede l’ordine di indietreggiare e Pinuccio, forse, allora, pronunciò la storica frase:‘Qui o si fa l’Italia o si muore’. In realtà pare che la versione più veritiera sia stata: “Ninù, se ce ne andiamo…dove andiamo?”

Il generale Landi, al comando delle truppe borboniche, osservava pigramente la battaglia dalle retrovie e quando gli si chiesero rinforzi per sferrare l’attacco decisivo contro i garibaldini ecco il colpo di scena: il generale Landi ordina la ritirata! Si scoprì in seguito che egli aveva già in tasca una fede  di credito, cioè un assegno, con cui qualcuno aveva ‘agevolato’ il suo passaggio alla causa dell’unità d’Italia. L’ininterrotta catena dei successi militari di Garibaldi si spiega anche così, l’esercito borbonico, con poche eccezioni, si è già fatto corrompere prima dell’arrivo delle camicie rosse. I piemontesi hanno già da tempo preparato il terreno, offrendo ai militari borbonici promozioni nel futuro stato sabaudo e ingenti ricompense in piastre turche, valuta facilmente commerciabile, come il dollaro in tempi più recenti .Ma la piastra turca era anche la moneta delle tangenti perchè impediva di verificare da dove provenissero queste somme. Si registrano in questo periodo movimenti di questa valuta pari a 25 milioni di euro attuali! Così si potè corrompere l’esercito borbonico, che in effetti scappava quando era il momento di attaccare. «I napoletani si sono ritirati davanti a Garibaldi non per magia ma per l’oro. E questo perché mille non possono batterne 100 mila e uno non può batterne cento». È la testimonianza di un soldato borbonico, uno dei vinti a tavolino, perché una battaglia vera in Sicilia non c’era mai stata. I Mille, secondo le memorie di Dumas, diventano 12.000 prima dell’ingresso a Napoli, senza contare le migliaia di picciotti che via via, da Marsala fino a Messina, si sono uniti a don Peppe da Montevideo,. Era cominciata l’avventura, tipicamente italiana, della corsa in soccorso del vincitore. Mafia e camorra si travestono da garibaldini per uscire dall’anonimato e cercare di occupare posti chiave nelle città liberate. Si è scritto che il crollo del regno del sud sarebbe stato inevitabile, in quanto arretrato e troppo antiquato, ma questa è la menzogna più grande di tutta la storia risorgimentale, l’esatto contario della verità. Quando si è fatta l’unita d’Italia, il nuovo capitale, il nuovo monte di denaro liquido in monete d’oro che andò a formare il patrimonio della nuova nazione,  per oltre il 70%  era formato da capitali che provenivano dal regno delle due Sicilie. Questo regno era la terza marina europea dopo Inghilterra e Francia, aveva industrie tessili,e non solo, fra le più sviluppate in Europa. Si sarebbero presi altrimenti la briga di liberare il sud e di accollarsi una palla al piede come lo siamo ora?

In seguito, solo dopo l’unità,  il meridione ha avuto fino a 15 milioni di emigrati, cifra che equivale a una  vera e propria fuga di popolo. Ma una ‘questione meridionale’ all’atto dell’unificazione d’Italia non esisteva. Tutti sono emigrati dopo il 1861… come mai? Intanto i contadini siciliani, spinti dal proclama di Garibaldi, occupano le terre ed egli si trova nella condizione di Lutero secoli prima, costretto a reprimere una rivolta contadina che lui stesso aveva originato (episodio di Bronte). Quasi dappertutto si usa la mano leggera nella repressione, ma a Bronte il latifondo appartiene a una famiglia imparentata con l’ammiraglio Nelson. Il console inglese a Palermo chiede a Garibaldi di intervenire e questi ordina a Nino Bixio di reprimere la rivolta. Bixio, più duro e conservatore del nostro eroe, decide di stroncare nel sangue la rivolta: è un massacro. Tale repressione destò, in modo palesemente ipocrita, l’impressione del console inglese che l’aveva ordinata!

Tra Teano e Caianello, l’8 novembre 1860, nello storico incontro Garibaldi consegna il sud a Vittorio Emanuele. Il 17 settembre 1861 si riunisce per la prima volta il Parlamento che proclama la nascita del regno d’Italia, con Torino capitale.

E’ doloroso constatare che l’unità dell’Italia sia stata realizzata non attraverso una collaborazione ma  grazie a un’invasione e a una occupazione senza motivo. Sotto accusa non è l’unificazione della nazione, ma il modo in cui essa è stata realizzata. Nasce l’Italia unita solo sulla carta, ma nasce anche la piaga del brigantaggio che durerà dieci anni, dovuta principalmente alla cosiddetta ‘piemontesizzazione’ del sud.

Conclusione: Quando finisce una guerra le bugie degli sconfitti vengono smascherate, le bugie dei vincitori diventano storia.

Ah, quasi scordavo. Nel 1862, nella campagna d’Aspromonte, Peppuccio nostro fu ferito da due proiettili andati a segno, uno al  polpaccio ed uno alla caviglia della gamba sinistra. La storia scritta dai vincitori lo vuole “caduto” da eroe in mezzo al campo di battaglia, allo scoperto tra le due linee di fuoco, amico e nemico. La storia dei vinti recita tutt’altra verità: a sparare non furono i “nemici”, ma un tale Albanese, calabrese purosangue, un contadino tutto pepe e onore, a cui Giuseppe aveva “molestato” la moglie!

Socrathe

Desideravo ringraziare la “storica” Santhippe, Chiara, docente di Storia Medievale presso l’Università di Salerno, per il suo preziosissimo contributo. (Senza il suo caro aiuto non avrei mai potuto riscrivere il Risorgimento Siciliano in chiave innegabilmente ironica.. ma indiscutibilmente vera.)

È stata dura arrivare sino alla fine di questa pagina? Non credo. Adesso su Pinuccio Garibaldi, passato alla storia come Giuseppe il filibustiere, sapete qualcosa in più e.. nessuno potrà fregarvi.

STORICI:

Giorgio Salvatori

Massimo Viglione

Lorenzo del Boca

Luciano Salera

Arrigo Petacco

Antonio di Janni

Paolo Simoncelli

Leonardo Saviano