di Redazione

Venerdì 11 Aprile 2008, ore 22,15. Piero sale sul palco dei comizi di piazza Matteotti. Il clima non è quello del grande tripudio. Il semicerchio dei presenti in tribuna lo cinge in un abbraccio affettuoso. Piero è visibilmente agitato. La sua voce stanca, roca, rompe il silenzio di una piazza semivuota. L’attacco oratorio è emozionante. Ringrazia la famiglia, gli amici, il partito. Fermiamoci qui.
Le parole di Piero viaggiano sui binari della condensazione e dello spostamento parallelo. Per comprenderle appieno stacchiamo un biglietto di sola andata e saliamo sul treno dell’interpretazione freudiana dei sogni. Lavoreremo per analogia.
“Ringrazio gli amici che mi hanno sostenuto, quelli che non lo hanno fatto e quelli che stanno alla finestra a godersi lo spettacolo”. Inizia così la lunga ed ultima lettera di Piero ai suoi fedeli. Un discorso strutturato in chiaroscuri ben accesi, parole intense, forti, imprevedibili intendimenti. «Piero è consapevole di poter contare solo su un terzo dei suoi sostenitori. Le sue parole non lasciano spazio ad altra interpretazione. L’Udc lo ha lasciato solo».
“Modica da 8 anni è senza deputato regionale e l’idea di restare altri 5 anni, per un totale di 13, senza rappresentanza a Palermo sarebbe insopportabile”. Il mimetismo semantico delle parole di Piero mette a dura prova l’attenzione del suo uditorio. Un vero e proprio realismo allusivo, mimetico. Il riferimento a Riccardo Minardo è palese. Ovvero: «Modica avrà un suo rappresentante a Palermo, sarà il Nulla misto al Niente, io vi ho avvertiti, votatelo pure, ma non chiedetemi il conto del suo pascolo vagante». Piero in queste sue semplici parole sintetizza il trattato di Freud sulla “Psicologia delle masse e identità dell’ Io”. Lui il superuomo cui la massa deve tendere ed a cui sottomettersi. Gli altri, il Nulla.
“A dispetto di quanto molti dicono, Peppe Drago è stato vero leader e ha assicurato pari agibilità politica ai tre candidati all’Ars“. Ovvero: « tutti sanno che stai facendo votare Orazio, pure io! » Piero grida il suo dolore al popolo dei claque. Peppe Drago è teso, pallido. Sullo schermo gigante, zoom sulla faccia di Peppe. La cera trasuda da tutti i pori, in primo piano. Drago ha capito l’accusa: «tu mi hai tradito e fai votare Orazio». Ma a tradire Piero è stato l’elettorato: il suo è un voto di prossimità politica. «Voto chi mi è più vicino». E Orazio è stato più vicino alla gente.
“E consentitemi se non lo chiamo Onorevole Drago, per me è Peppe, un amico, uno di famiglia”. È la fine dei riconoscimenti politici al leader che lo ha allevato nel Lupercale della sua segreteria, che lo ha fatto Sindaco di Modica e che ha voluto fortemente la sua riconferma dopo i cinque anni del suo primo mandato amministrativo. Piero non rivolge lo sguardo a Drago nemmeno per un attimo durante tutto il comizio che conduce a braccio sotto un rullo pneumatico di parole marchiate a fuoco dal suo orgoglio. La gente lo ascolta, ma non può capire.
“Mi hanno accusato di aver abbandonato la barca che stava affondando”. Piero chiama finalmente in causa i suoi ex compagni di maneggio, quelli che hanno voluto la sua testa su di un piatto d’argento per esser stati spediti a casa dopo appena otto mesi di governo, dicendo a chiare lettere che da quel naufragio non si salverà nessuno. «Per me sarà sciagura, per voi rovina».
“Vieni Piero”. Peppe ha appena finito il suo discorso in ciclostile gridato con forza dal palco di Torchi. Il palco del suo delfino. La tribuna del suo Piero. Nessun accenno a quel sorriso spontaneo offerto pochi minuti prima alla gente di Scicli, per la gloria di Orazio. Peppe deve chiudere subito la partita con la sua Modica e con il suo cuore. Chiama Piero accanto a sé. È l’abbraccio di un padre che consola il figlio col lecca lecca dopo una sconfitta a calcetto. Traccia definitivamente la rotta di Piero:
“Oggi è venerdì, ce lo possiamo dire, questi sono tutti nostri amici, è stata una campagna elettorale in salita. Il partito a Modica doveva schierare il suo uomo migliore, contro due titani, non c’era altra scelta. Tale decisione non è frutto dell’ambizione di Piero, ma della necessità del partito di schierare l’uomo più forte: martedì nessuno dica che si poteva fare altrimenti. Io risiedo a Modica e voto Piero Torchi”.
I sogni di Piero giungono al capolinea: Modica, si scende.
Sullo sfondo il manifesto dell’UDC. L’istantanea di un sorriso inventato. Tra i titoli di coda le lacrime di Piero, vere.
Socrathe
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