La sentenza è prevista per metà febbraio
di Redazione
Palermo – «La sentenza della Corte di Cassazione conferma l’impianto accusatorio sostenuto dalla Procura in primo grado». Questo il commento del procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Messineo sulla decisione dei giudici della seconda sezione penale della Cassazione di confermare la condanna di sette anni inflitta dalla Corte di Appello all’ex Governatore Salvatore Cuffaro, accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio.
«In primo grado – aggiunge il procuratore – il nostro impianto accusatorio era stato accolto dai giudici del Tribunale solo parzialmente. La Corte d’Appello lo confermò e adesso arriva la sentenza definitiva. In ogni caso, non voglio aggiungere di più, perché mantengo la linea dell’ufficio, che è quella di non commentare le sentenze in nessun caso. Le sentenze, lo ribadisco, non si commentano ma si rispettano».
Con la sentenza di ieri della Suprema Corte sul processo alle cosiddette «talpe» della Ddda di Palermo, si chiude il primo capitolo dei guai giudiziari dell’ex presidente della Regione. È imputato, infatti, in un altro processo – con rito abbreviato davanti al Gup Vittorio Anania e ormai alle battute finali – per concorso esterno in associazione mafiosa.
I pm del processo, Antonino Di Matteo e Francesco del Bene, hanno chiesto al termine della requisitoria la condanna a dieci anni di carcere dell’imputato. I difensori – gli avvocati Nino Mormino, Oreste Dominioni e Nino Caleca – nelle loro arringhe hanno battuto il tasto sul principio del «ne bis in idem», cioè a loro avviso Cuffaro non può essere processato perché è stato già imputato per gli stessi reati nel processo concluso ieri in Cassazione.
«Non ho mai cercato di favorire né ho mai partecipato a un fenomeno schifoso come la mafia – aveva detto lo stesso Cuffaro nelle dichiarazioni spontanee da lui rese nell’udienza del 30 settembre scorso – per un semplice motivo: perché io sto culturalmente totalmente dall’altra parte, per una mia scelta etica e morale. La mafia non va mitizzata ma “schifiata” per non dare l’idea, a chi non è culturalmente attrezzato, che i boss vadano emulati».
La prossima udienza è fissata per il prossimo 3 febbraio. Ci saranno le repliche dei pm, quindi nell’udienza successiva sarà il turno dei difensori. La sentenza è prevista per metà febbraio.
© Riproduzione riservata