Cultura
|
06/10/2008 16:17

Sul Colle. Un racconto di Gaetano Celestre

di Redazione

Salve,
sono Gaetano Celestre, in questi giorni mi è capitato di pensare a quanto sia importante apprezzare le Nostre Cose (quelle vere e non quelle dei film di mafia, ovviamente). Sono andato a San Matteo, come spesso faccio in tutto il periodo invernale, e lì, le antiche pietre, mi hanno raccontato questa storia.

                                                    Sul Colle

Gioacchino non brillava certo per intelligenza, né era un campione dello studio matto e disperato: Era solo il tipico ragazzotto di primo liceo, con una folta peluria sotto il naso ed il taglio di capelli indefinibile.

Grassoccio ed esile al tempo stesso, secondo il punto di vista, insomma, apparentemente uguale a tanti altri. Voglio raccontarvi ora di quella mattina dei primi di ottobre, uno sbadato l’avrebbe scambiata per primavera; Gioacchino, senza prendere alcuna decisione fu letteralmente tradotto alle pendici del colle.

E la scuola? Quella c’era anche l’indomani, il giorno dopo e quello dopo ancora.

E così per l’eternità, nei secoli dei secoli.

Gioacchino se ne saliva per i viottoli (ancora per poco urbani) in compagnia di Girolamo.
Mommo, ma secondo te che faceva Dio prima di creare l’universo?
Iachino, che ti sei mangiato stamattina? Aspetta il terzo anno e poi domanderai alla professoressa di filosofia.
E lei mi saprà rispondere?!?
Ma certo!

Giunsero al bivio, un sentiero saliva e l’altro pure.
Ooh Iachino, ma non sarebbe meglio se ci fosse un ascensore?
Mancu u piaceri, no mpare! Pigghiamu ppi Santa Lucia…

Il fogliame invadeva piacevolmente il sentiero. Incontrarono un signore mediamente anziano, capelli bianchi e tasco, raccoglieva non si sa quali verdure.

Iachino si chiedeva come facesse a sapere quali foglie prendere e quali no.

Si salutarono e poi ognuno proseguì per la propria strada, chi in discesa, chi in salita.

C’era un buon odore, di opere buone; un fresco profumo di terra umida, la pioggia dei giorni prima. Si,era ancora quasi tutto secco, l’estate era appena trascorsa, ma qualcosa cominciava a rinverdire. Questo non era per forza un bene, pensava Iachino con malinconia, ricordandosi dei bagni a mare. Cosa pensava Girolamo? Non ci interessa, non è lui il protagonista.
A cchi piensi, Mommo?
No, nenti, piensu ca è bello qui. Penso anche alla prof. di latino, ma fa nulla.

Continuarono a salire fino alla piccola chiesetta; Gioacchino voleva andare oltre, si diceva ci fosse una grotta da dove sgorgasse dell’acqua, a tratti miracolosa.

Girolamo lo convinse a deviare verso l’altra chiesetta, quella del Santo Spirito, la strada era sicuramente più agevole.
Chiè bello, para n’ suttavuoscu.
Chiech’è n’suttavuosco, Iachino?
No, chistu nun lu sacciu, ma assai ci sumigghia .

Il profumo lì era molto più intenso o forse era il respiro affannoso per la salita a renderlo tale.

Arrivarono dinanzi un vecchio carrubo, poco distante dal Santo Spirito.
Chiè bello, talè Iachino, tocca i fogghii.

Le foglie erano ancora inzuppate di acqua, sembravano addirittura carnose.

Iachino ne strappò una e se la mise in tasca.

Salirono fino al castello, o quello che ne rimaneva.

Entrarono nella casa abbandonata, uno dei punti più alti.

La sensazione di beatitudine da quel momento si tramutava in nostalgia.

Nostalgia di qualcosa che non c’era più.

La sensazione divenne sempre più forte via via che si avvicinassero all’Antica Matrice.

Appena giunti dinanzi alla grande chiesa, Iachino, pur sapendo che fosse sconsacrata da tempo, si segnò e chinò il capo.

Iachino e Mommo ormai non parlavano da tempo.

Nessuno ne sentiva la mancanza, la piazza era tutta un vociare. Le voci di pietre che non avrebbero mai smesso di raccontare quella storia. La voce degli uomini che erano rimaste impresse sulle pareti della roccia.

A quel punto la nostalgia divenne tristezza. Una dolce tristezza consolatoria. Iachino volle distogliere il pensiero guardando l’operoso paese, in basso.

Visto da lì su sembrava in festa, quasi non si accorgesse di ciò che là sopra si dicesse.
È tardi,Mommo,dobbiamo andare?
E pacienzia, amunninni.

Quando arrivarono in Piazza Italia non c’era più malinconia. Era stata un’esperienza indimenticabile, ed il paese adesso era anche più bello di quando erano saliti. I volti sorridenti dei paesani, lo sgriccio preso al chioschetto, gli anziani che passeggiavano…

Quella notte Iachino, però, non riusciva a prendere sonno; c’era qualcosa di sbagliato.

Si ricordò della fogliolina.

Andò a prenderla dalla tasca del jeans e inserita la mano sentì qualcosa di umido e appiccicoso.

Accese la luce e vide che era sangue.

Ebbe paura?

Forse, ma la reazione istantanea fu quella di vestirsi e salire sul colle.

Si vedeva come di giorno, giunse presto al carrubo.

Lo vide da qualche metro di distanza e si appropinquò con rispetto e timore.
Ahi ahi…
Chi si lamenta?
Vieni vieni Iachino, non ti spaventare.
Ma chi è?
Una volta mi chiamavano Ibn Hamdis. Su, avvicinati!
Ma chi sei, dove sei?
Ti para cosa giusta chidda ca facisti?
Ma cosa ho fatto?
Ah, nenti, veru? E se ti strappassi un’unghia come ti sentiresti?
Ma io non pensavo che…
Eh, lo so, tu non pensavi. Comunque sia, Iachino, hai scoperto una truvatura. Sai cos’è?
Veramente no.
Ah, queste nuove generazioni. Vedi, avvicinati, nascosta da quel mio ramo frondoso c’è una rientranza.
Una grotta?
Magari “grotta” è una parola grossa, Iachino. Comunque affacciati e troverai ciò che ti serve.

Iachino, facendo attenzione alla testa, si sporse e vide quella piccola rientranza.
Ehi carrubo, ma qui non c’è niente.
Entra, entra. Guarda meglio

Iachino entrò, era una cavità poco profonda, appena buona per contenere un pentolone di monete d’oro.

Solo che lì non c’erano monete.

Quando Iachino scese al paese aveva deciso di diventare il custode del Colle.

Qualcuno dice che fece così perché il tesoro era così grande da non poter essere trasportato tutto in una volta.

Altri dicevano che fosse ancora alla ricerca di quel tesoro.

Ma il Carrubo ne era convinto, Iachino aveva trovato il tesoro.
 

Gaetano Celestre

Nella foto, Scale per il Paradiso