A proposito di consumismo e pubblicità
di Saro Distefano


Ragusa – Si tratta di una attività economica che funziona e che ha risolto non pochi problemi a tanti cittadini ragusani e dei comuni limitrofi. Personalmente apprezzo l’idea, nella sua estrema semplicità e concretezza: quando necessito cambiare il vecchio impianto stereo, o mi è stato regalato il classico maglione XXL e io sono sempre stato una 50 scarsa, o semplicemente trasloco in una nuova casa e i mobili non hanno più le giuste misure, allora mi rivolgo a questo esercizio commerciale (e non è l’unico in città) che ritira la mia merce, la mette in vendita presso il suo magazzino e divide con me il ricavato della eventuale vendita.
Si comprende bene il perché del mio totale assenso all’iniziativa che è conseguenza evidente della lunga e sfiancante crisi economica. Un tempo il vecchio televisore lo buttavo insieme al frigorifero che ronzava, oggi ho meno soldi e preferisco aggiustare oppure servirmi di questo tipo di esercizio commerciale. Tutto bene quindi.
No. E per due motivi.
Il primo: avrei preferito che questo tipo di attività si fosse sviluppata senza la concomitanza della crisi economica. Insomma, avrei gradito che il mio Paese e non avesse subito (e purtroppo subirà ancora per non si sa quanto tempo) la gravissima crisi economica e nel contempo si fosse comunque sviluppato questo intelligente traffico merceologico che va visto come evoluzione del pensiero consumistico e non come ritorno al miserevole nostro passato.
Il secondo: non ho per nulla gradito la recente campagna pubblicitaria lanciata in città per il tramite degli ormai classici cartelloni seipertre. Si guardi la foto che ho scattato di recente in una strada della periferia residenziale. Si legge distintamente la frase “hai oggetti che non usi più? Portali da noi e li mettiamo in vendita per te!”. Fin qui nulla di strano, se non fosse che poi, guardando meglio il grande manifesto, si nota che alla frase è chiaramente associata una immagine che è “stonata”, se non anche “offensiva”.
La si guardi bene: accanto allo slogan si vede una signora dall’apparente età di trenta/trentacinque anni che spinge un carrello da supermercato. È sorridente nonostante lo sforzo. Ha abbigliamento estivo e scarpe in pendant per colore e stagionalità. Capelli lisci e “ramati”. Una signora come tante, di questi tempi.
Nel carrello che la donna allegramente spinge, sono seduti un giovane adulto, apparente età di 40 anni, davanti a lui una bimba di tre anni con graziosissime scarpette di vernice rosa e, alle spalle dell’adulto, un bambino di sette o otto anni seminascosto dalla spalla del maggiore d’età.
Se questa immagine dovesse essere associata allo slogan, vorrebbe dire che quella gentile e raffinata signora ha “oggetti” che non “usa più” e che questi oggetti siano un uomo e due bambini, si suppone il marito e i due figli. Io rifiuto questa associazione di idee, e spero soltanto che il grafico, il pubblicitario, il creativo” che ha realizzato questo manifesto abbia voluto “provocare” per far parlare della sua campagna o semplicemente si sia distratto nell’associare “persone” ad “oggetti” e, per sopramercato, “oggetti” che “non usi più”.
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