Damnatio memoriae
di Redazione

Chiaramonte Gulfi – Nel corso di alcune mie ricerche sul periodo fascista mi sono spesso imbattuto nella figura di Telesio Interlandi.
Più che la fama sinistra e, poi, la damnatio memoriae che colpì il personaggio dopo il tragico epilogo della Seconda Guerra Mondiale, mi ha incuriosito la scoperta delle sue origini iblee.
Nacque, infatti, a Chiaramonte Gulfi (RG) nel 1894.
Il sen. Prof. Giambattista Xiumè (in quota ex-MSI), in un contributo dato nel corso del Convegno organizzato dalla città di Chiaramonte Gulfi il 20 giugno del 1998 su “Telesio Interlandi: il giornalista, l’intellettuale, lo scrittore”, racconta con orgoglio di averlo conosciuto personalmente. Fu , infatti, in occasione di una visita, fatta dal Nostro agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso, ai suoi genitori nella loro casa di Scicli per via di una parentela tra i rispettivi nonni e afferma di essersi formato all’ombra della sua produzione letteraria e giornalistica.
A questo punto è d’obbligo chiedersi chi fu davvero Telesio Interlandi.
A infrangere il muro di silenzio che l’ha blindato dalla fine del fascismo fino a oggi, fu proprio Leonardo Sciascia. Com’è successo a me, più volte il grande scrittore lo aveva incontrato, nel corso di alcune sue ricerche. E ne avrebbe fatto sicuramente il protagonista di un suo romanzo o forse di un suo saggio, se la morte non lo avesse stroncato.
Non sappiamo quale vero giudizio Sciascia avrebbe formulato sull’uomo. L’indulgenza non era una qualità che gli apparteneva e la sua curiosità spesso era spinta da un interesse tutt’altro che benevolo.
L’impegno civile e il rigore morale in Sciascia difficilmente avrebbero potuto assolvere prima l’“uomo Interlandi” e poi “il giornalista, l’intellettuale, lo scrittore”così come volle celebrarlo la sua città natale nel convegno sopra citato. Lo stesso nel quale il sen. Xiumè riferì sulla sua lontana parentela.
Sciascia s’interessò sicuramente alla figura di Telesio Interlandi per quell’enorme influenza e fascino che questo signore (faccio fatica, purtroppo, a definirlo un intellettuale) esercitò sulla vita e le scelte del Duce.
Ho letto attentamente gli atti di quella manifestazione. Dopo circa sedici anni, non riesco ancora a capire, dal loro attento esame, il bisogno di fare luce su un’esistenza per la quale il silenzio sarebbe stato, invece, quanto mai prudente e necessario. Men che meno capisco l’interesse della famiglia (in quell’occasione erano presenti il figlio e il nipote) a sollevare il velo dell’oblio da una figura tanto negativa ed eticamente poco esemplare.
Lo si intuisce dalle resistenze dello storico Prof. Pasquale Iaccio, dell’università di Napoli, relatore invitato; dagli inquietanti interrogativi suscitati in un interessante saggio da un altro storico, prof. Meir Michaelis dell’università di Gerusalemme. Saggio inspiegabilmente allegato agli atti del convegno proprio dal figlio Cesare, presente. Le imbarazzanti considerazioni e conclusioni fatte dal dott. Salvatore Vitale, magistrato, scrittore e giornalista, altro relatore invitato, vanno, suo malgrado, nella direzione opposta alla celebrazione (sic!).
Forse il contributo più minimalista in quel convegno è proprio offerto dallo scrittore e giornalista Giampiero Mughini, relatore invitato anche lui, autore di una ricerca sull’Interlandi, pubblicazione inspiegabilmente diventata subito irreperibile. L’intervento, sospeso tra desiderio di rivalutare e bisogno di approfondire, si esaurisce, purtroppo, in un equilibrismo dialettico che nulla aggiunge all’uomo e al suo pensiero.
Se non si vuole “cristianizzare un saraceno” come afferma nell’introduzione l’allora sindaco Sebastiano Gurrieri, mi chiedo ancora quale sia stata l’utilità di una simile iniziativa, se il desiderio di restituire alla storia una verità taciuta comportava necessariamente per il personaggio la spettacolarizzazione della sua infamia.
A volte è carità vera lasciare appassire i ricordi, stemperare le colpe perché, come disse opportunamente Hannah Arendt, il male spesso è banale.
L’Interlandi fu l’abietto portavoce dell’ambiguità mussoliniana, il cinico interprete della smania d’onnipotenza del duce, l’ombra opaca delle sue macchinazioni.
Il vero colpo di fulmine, che generò nell’Interlandi la grande passione per il fascismo, lo fece scattare la “marcia su Roma”. Vi partecipò come inviato del giornale “La Nazione” di Firenze, infatti. Subito dopo, il giovane giornalista fu assunto come redattore-capo a “L’impero”, il quotidiano del regime diretto da Carli e Settimelli.
I suoi “fondi” o, meglio, i suoi “affondi” titolati “colpi di punta” incuriosirono e stupirono il Duce, consumato talent scout, che lo chiamò a dirigere un giornale nuovo “Il Tevere”, ufficialmente finanziato in un momento iniziale da un imprenditore romano Domenico Vannissanti e, in seguito, dall’ufficio stampa del capo del governo e dal direttorio del P.N.F. (relazione Meir-Michaelis).
I suoi articoli conquistarono anche e soprattutto il capo redattore del giornale di Hitler Alfred Rosenberg.
“Il Tevere” celebrerà, infatti, l’avvento di Hitler al potere come un evento di portata storica, una svolta nella politica europea.
Sulla politica filo nazista condotta da subito da “Il Tevere” e, di conseguenza, dal suo giovane direttore, molto si è scritto e si è detto.
Diversi storici insinuarono persino che il giornale fosse l’organo del nazismo in Italia. Galeazzo Ciano stesso ripeté un pettegolezzo che girava nei salotti romani sull’”oro del Reno” a proposito di un finanziamento tedesco occulto della testata.
“Il Tevere” diventò il contraltare del giornalismo italiano e fascista. Mussolini scriveva su “Il Tevere” ciò che non poteva scrivere su “Il popolo d’Italia”. La tipica ambiguità ideologica e dialettica, frutto di un calcolo ben preciso, che aveva fatto per decadi la fortuna del Duce.
A “Il Tevere” e alla prestigiosa rivista “Quadrivio”, fondata dall’Interlandi, collaborarono i più illustri scrittori e intellettuali dell’epoca. Da Pirandello a Bacchelli a Gabriele d’Annunzio a Comisso a Saba. Da Deledda a Marinetti a Malaparte a Campanile. Da Ungaretti a Cardarelli. Da Brancati ad Alvaro, a Vittorini a Pincherle (in arte Moravia).
Tutti. Nessuno escluso. Salvo poi cambiare immediatamente casacca l’indomani della caduta del fascismo.
Interlandi godette di un’autonomia intellettuale ed espressiva unica. Molti si son chiesti a che cosa fosse dovuta. A un ricatto segreto del Duce o a una pressione tedesca di Hitler su Roma?
Lo spregiudicato direttore de “Il Tevere” si distinse da subito per un antisemitismo pronunciato e uno stile sferzante con il quale denigrava chi osasse manifestare un suo punto di vista differente.
La caccia all’ebreo, infine, fu il suo vero e unico obiettivo.
Se da una parte Mussolini era poco sensibile a questo problema, dall’altra pare che il Duce sfruttasse questa sua particolare fissa spingendolo ad attaccare giornali deliberatamente vicini a Italo Balbo, le cui simpatie per la comunità ebraica italiana erano arcinote.
Con l’introduzione in Italia delle leggi razziali, nel 1938, Telesio Interlandi raggiunse l’apice della sua onnipotenza. Il Duce condivise le idee di Interlandi o Interlandi finalmente, forte dell’appoggio politico d’Oltralpe, riuscì a convincere il Duce?
Non lo sapremo mai.
Di sicuro le sanzioni, prima imposte all’Italia, agirono da detonatore nella svolta filotedesca della politica mussoliniana. Le leggi razziali furono, in effetti, solo una conseguenza naturale di tale svolta. Non esisteva un vero e proprio problema razziale in Italia e men che meno antisemita.
In passato, dopo la conquista delle colonie, si era sì posto il problema del meticciato ma tale problema era stato già risolto dallo stato fascista con durissime sanzioni.
Con l’adozione delle leggi razziali nasce nel 1938 anche la famigerata rivista “La difesa della razza”, di cui l’Interlandi sarà direttore e ispiratore. Dal 1934 al 1938 il Nostro, in realtà, andava pubblicando una serie di articoli e saggi di chiara impostazione razzista, che raccolse (1938) nel tristemente famoso opuscolo: “Contra judeos”.
Alla nuova rivista collaboreranno Giorgio Almirante e, tra altri, Spadolini e un insospettabile Amintore Fanfani, poi politico di spicco dell’Italia democristiana e padre costituente dalla verginità rifatta.
Il 25 luglio, giorno della liberazione, l’archivio de “Il Tevere” fu bruciato da una folla inferocita. Nel Dopoguerra Interlandi farà causa al Comune di Roma per il saccheggio degli uffici dei suoi giornali.
Telesio è arrestato e imprigionato a forte Boccea, a Roma. I tedeschi lo liberano e lo portano in Germania. Ritorna in Italia dopo la costituzione della Repubblica di Salò.
Il dott. Vitale racconta nella sua relazione che un socialista, l’avvocato Pàroli, nasconderà per mesi l’Interlandi e la sua famiglia, perché il suo nome era fra i primi di una lista di proscrizione.
Il Nostro uomo morirà tranquillamente nel suo letto nel 1965.
Già però nel 1961 il De Felice, come c’informa il prof. Meir Michaelis, aveva formulato la tesi che Telesio Interlandi fosse “quasi certamente al soldo dei tedeschi”. Tesi per la quale il professore annunciava, però, un prudente supplemento d’indagine.
Mughini nella sua relazione puntualizza che in sede processuale il giornalista fu prosciolto in modo totale.
Prosciolto da che cosa?
Pare che dopo la pubblicazione del libro su Interlandi, Mughini abbia ricevuto una lettera da parte di “un cretino” il quale lo esortava “a occuparsi in futuro di figure moralmente ben diverse”.
Ecco, quell’esortazione del cretino anonimo mi sento di condividerla appieno, non foss’altro per tutto il danno morale e materiale che questo signore causò alla Storia dell’Italia. Storia mia e storia dei miei Padri che lottarono e morirono per idee che nulla avevano a che fare con Patria e Nazione.
Interlandi in una lettera scritta al Duce nel tempo di Salò si definisce “mediatore fra estremismo fascista spregiatore della cultura e la cultura stessa, nel nome del decoro nazionale” e per questo, si giustifica, “agiva sugli intellettuali”. Egli, a mio avviso, non fu né un mediatore né un intellettuale mai.
Non fu un mediatore perché dominò sprezzantemente il mondo della cultura del suo tempo, non fu un intellettuale perché come ben ricorda il Vitale “il vero intellettuale –ripeteva Sciascia- è chi sta all’opposizione del potere”. E lui col potere convisse e, da intoccabile, cinicamente lo usò.
In ricordo e in rispetto delle numerosissime vittime della follia nazi-fascista, sacrificate grazie a un disegno criminale basato sulla purezza della razza, vittime che non ritornarono dalla Germania come, al contrario, tranquillamente fece l’Interlandi, invito il Sindaco del Comune di Chiaramonte Gulfi a proclamare ogni anno nel “Giorno della Memoria” una giornata di lutto cittadino.
CREDITI
Atti del convegno 20 giugno 1998, Città di Chiaramonte Gulfi, “Telesio Interlandi: il giornalista, l’intellettuale, lo scrittore”, tip.Baglieri, Comiso, 1998.
Nella foto, il Duce e, dietro, Telesio Interlandi
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