L’Italia ha taciuto per antiche complicità e gravi responsabilità
di Un Uomo Libero

Madrid – È d’obbligo per noi siciliani interrogarci sui recenti avvenimenti che hanno abbattuto in Tunisia la dittatura di Zine el Abidine Ben Alì, un regime fra i più crudeli del mondo perché abilmente camuffato da democrazia presidenziale. Dittatura durata ventitré lunghissimi anni, permessa e allegramente tollerata da un’Europa colpevole, indirettamente interessata, preoccupata solo di fronteggiare la minaccia di un fondamentalismo islamico in quel Paese. Tutti i giornali stranieri in questi giorni puntano un dito accusatorio soprattutto contro le tre principali nazioni che avrebbero potuto e dovuto denunciare l’insostenibile stato di malaffare, di corruzione e di sopruso che gravava già da troppi anni come una pesante cappa di smog non solo su Tunisi, la capitale, ma sull’intero paese. La Spagna ha taciuto per non compromettere ulteriormente i già precari equilibri con il Marocco. L’Italia ha taciuto per antiche complicità e gravi responsabilità della sua politica estera soprattutto in epoca craxiana. La Francia ha taciuto per conservare antichi privilegi commerciali con la sua ex colonia di oltremare. Ben Alì si atteggiava a padre della patria mentre la sua famiglia e il suo entourage costruivano senza scrupoli fortune miliardarie sulla povertà di un popolo costretto a una diaspora ingiustificata e inaccettabile. Tutto questo però non poteva più durare. Già in settembre alcuni esiliati a Parigi avevano avuto la sensazione che il punto di saturazione e di sopportazione ormai era stato raggiunto e che, prima o poi, qualcosa di molto eclatante sarebbe successo. Le stesse autorità più vicine al presidente avevano manifestato malcontento, sconforto e anche nervosismo. Temevano, infatti, che il popolo quanto prima si fosse impadronito della sua libertà per abbattere finalmente il muro di omertà e di connivenze che per tanti anni ha isolato e protetto i loschi traffici della famiglia presidenziale.
Tutto questo è avvenuto quando ormai nessuno lo riteneva possibile, quando la gioventù disperata, senza prospettive e senza futuro, cominciava a immolarsi preferendo una morte immediata a una vita inutile, fatta di attese senza domani, di futuro senza speranza.
Come sempre succede, la vecchia classe dirigente, subito dopo la partenza del tiranno, ha cercato di riciclarsi, di riaggiustare le proprie posizioni per un cambiamento di rotta che non può e non deve assolutamente ammettere connivenze con il passato. Purtroppo, fino ad oggi, alla rivolta mancano un leader e uomini carismatici che possano garantire una transizione sapiente e pacifica.
Zine el Abidine Ben Alì, in fuga come un volgare ladro, prelevando arbitrariamente una liquidazione sostanziosa dal tesoro dello Stato tunisino (Fonte Le Monde), lascia, come tutti i dittatori, il paese nel caos più completo per un alto tasso di disoccupazione (il 30% della popolazione e il 60% fra i giovani laureati), i conti dissestati anche da una politica familiare prevaricante e assassina, un’interminabile scia di sangue che la Storia solo nel lungo periodo potrà lavare.
L’immagine di una Tunisia felice è oggi, invece, sostituita dai servizi televisivi che filmano ronde notturne spontanee di onesti civili armati approssimativamente. Presidiano, difatti, le case e i quartieri per evitare che le vecchie forze colluse col regime abbattuto operino rappresaglie e vendette.
Come sempre la Storia è Magistra vitae. Chi non la conosce è condannato a riviverla nella propria carne.
Quando Roma non poté vincere i lusitani di Viriato, corruppe degli uomini perché lo uccidessero, promettendo loro immense fortune. Dopo l’uccisione del condottiero e lo sterminio del suo popolo a chi gli ricordava le antiche promesse, il senato romano rispose che “Roma traditoribus non praemiat” (Roma non paga i traditori del popolo). Così è stato per Ben Alì. Nel tradimento costante del popolo tunisino che indegnamente rappresentava, si è fidato dei suoi partners europei, ultimo Sarkozy, millantando un’amicizia blindata che barattava con concessioni esclusive di carattere economico. Si è ritrovato solo, rifiutato in tutti gli aeroporti francesi e italiani, sostenuto soltanto da un Gheddafi sempre più esagitato e cieco, accolto con riserve e sotto tutela da un’Arabia Saudita timorosa e inquieta.
Forse la morte lo raggiungerà nel paradiso che qualcuno ha scelto per lui per mano magari di un sicario ignoto, come vuole la legenda sia costume tra gli orientali e i figli del deserto. Forse, chissà?
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