di Un Uomo Libero

Dal telefono a gettoni del bar del centro, un uomo nervosamente dettava un articolo alla sede del suo giornale di Palermo. Un sigaro spento penzolava dalle sue dita ingiallite e scure, chiuse a pugno sopra il foglio pieno di correzioni e di ripensamenti, posato sulla mensola della cabina telefonica. Gli occhialini d’oro nascondevano uno sguardo miope e penetrante. Gli conferivano un’aria intellettuale. Vestiva molto casual: un vecchio montgomery di panno blu; pantaloni di velluto, limati alle ginocchia per le tante ore passate sopra i libri; una camicia dal collo ed i polsi sfilacciati e sporchi. Una tesi su Pirandello, dalla stesura complessa e travagliata. Più volte vi aveva messo mano e più volte la aveva messo da parte. Ultima fatica per completare finalmente un corso di laurea in lettere moderne che Dio solo sa quando si sarebbe veramente concluso. Luccicava al suo dito mignolo un appariscente anello d’oro, dopo che le sue mani erano cresciute troppo in fretta per portare in altre dita quell’unico regalo della prima comunione. I capelli, abitudinariamente spettinati, già con qualche sfumatura di grigio; la barba lunga e incolta. Raccontavano di notti bianche, passate a scrivere quel pezzo o a mettere insieme tutti i tasselli di una storia che, da qualche giorno, aveva acceso le fantasie e gli animi. Aveva fatto balzare, dando curiosità e spessore allo stanco chiacchiericcio di paese, d’un colpo, agli onori della cronaca, quel piccolo grumo d’anime, dove tutti sapevano tutto di ognuno, dove il tempo si era fermato ed anche l’aria era immobile. Una cortina di fumo gravava pesantemente sopra il locale. Ogni cosa era grigia, dal bancone alle sedie, ai tavolini, al colore delle pareti già stinto di nicotina. Fuori a momenti piovigginava. Un posto salgariano, più somigliante nel suo ambiente a una taverna della Giamaica che ad un bar siciliano. Si rifugiavano lì gli uomini del paese, quando non si poteva lavorare nei campi e, tra una giocata a carte ed un bicchiere di vino, ingannavano il tempo e la fame. Un carabiniere, oltre la porta di vetro chiusa della cabina, gesticolava disperatamente, picchiandola a volte con le nocche delle dita, per attirare la sua attenzione, perché lui capisse che lo stava aspettando. Lui finalmente lo vide e si affrettò perciò a dettare l’ultima parte del suo articolo. Con un volto sudato e stanco, aprì la porta della cabina che produsse un rumore stridulo.
– Mi vuole?- Domandò con un’aria ingenua al carabiniere che subito gli si era avvicinato.
-Sì. Lo avevo cercato a casa. Sua madre mi indicò dove potevo sicuramente rintracciarlo.- Fece una pausa. Poi riprese. -Il maresciallo, il maresciallo mi manda, desidera parlarle…-
L’uomo si rabbuiò nel volto.
-E che vuole da me il maresciallo?- Si interrogò con una voce che ostentava solo apparentemente una calma.
-Non saprei…io devo solo portarlo da lui.- Rispose risentito il carabiniere.
-E quando? Ora?- Balbettò, evidentemente contrariato l’uomo.
-Ora.- Ripeté il carabiniere.
L’uomo lo guardò. Capì che doveva seguirlo. Strabuzzò gli occhi ed alterò la bocca in una smorfia di disappunto e di rabbia.
-Andiamo!- Disse.- Ché il maresciallo non deve aspettare!-
Uscirono dal bar, svoltarono per una traversa del centro storico, fatto di viuzze e di piccole scale, si immisero subito in una strada larga ed alberata, alla fine della quale si trovava la caserma dei carabinieri. Un locale moderno, preso in affitto nella speranza che i lavori di restauro dell’antica caserma potessero essere ultimati da un momento all’altro. Storie vecchie di appalti dai lunghi tempi biblici, di capitolati lievitati, di ritocchi richiesti e deliberati. Fatti normali, scandalosamente normali in una Sicilia dove la legalità è stata solo, da secoli, un argomento di pettegolezzo e di chiacchiera.
– Prego, si accomodi!- Gli ingiunse con una voce perentoria e militare il maresciallo, attraverso la porta socchiusa, quando il carabiniere lo annunciò.
L’uomo si avvicinò alla porta, la dischiuse ancora di più, rimanendo timidamente sulla soglia, intimorito e muto.
-Prego, prego…- Insisté con voce più affabile, melliflua quasi, il maresciallo, indicandogli una poltroncina ad un lato della scrivania, dirimpetto alla sua. L’uomo obbedì e si sedette. Il maresciallo sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori. Non è che ne avesse tanti. Un volto spigoloso, il suo, nel quale due occhi infossati insinuavano, già a guardarli, il senso del dubbio. I baffi folti e nerissimi rendevano più evidente un contrasto stridente con i capelli cortissimi e bianchi, con la pelle del volto molto chiara, attraversata da rughe profonde, disseminata qua e là di alcuni nei che contribuivano a rendere più antipatica quella strana figura.
-Bene! -Esclamò con tono paternalistico, come per liberarsi da un grosso peso sulla coscienza.- Dunque lei è quel famoso giornalista che scrive tante cose interessanti sul giornale di Palermo…- Fece una pausa studiata. Poi riprese sempre ostentando un sorriso, questa volta diverso dal primo.
-Ma, non è che, per caso, lei ci vuole rubare l’arte?…- Proruppe in una risata compiaciuta per questa sua sgrammaticata battuta di spirito. L’uomo taceva. Preferiva studiare le mosse del maresciallo e fabbricare risposte adeguate per anticiparlo circa il vero motivo di quella strana convocazione. In effetti, subito, già ne aveva intuito le cause. – Sa che ha lettori affezionati come il mio capitano e un giudice che ha molto a che fare con le realtà di cui lei scrive?-
– Non …non saprei.- Balbettò l’uomo. Il volto del maresciallo era ritornato severo, gelido.
-Eh, si! Amico mio. Lei scrive, scrive, ma le parole, anche se non si pagano, possono far pagare caro le cose che dicono…-
Il volto dell’uomo, ora, era preoccupato.
-Non capisce?- Gli chiese cattivo il maresciallo.
L’uomo scosse la testa.
-Vediamo un po’ se così capisce meglio…-E tirò fuori da un cassetto della sua scrivania una carpetta con tanti ritagli di giornale: i pezzi che lui aveva telefonato alla sua redazione. Erano stati meticolosamente ordinati per data. Alcuni contenevano sottolineature con matita rossa o blu, quasi che il maresciallo si fosse trasformato in un antico maestro e li avrebbe corretti.
– E cosa c’entrano i miei articoli?- Chiese con voce pacata, quantunque visibilmente seccato l’uomo.
– C’entrano…c’entrano! Ma, mi dica, così, in confidenza, da dove ha tirato fuori tutte queste fesserie?- Gli chiese il maresciallo con una faccia che non era sicuramente benevola.
– Guardi che io non ho scritto mai fesserie, e, meno che meno, in quegli articoli!- Rispose con fierezza l’uomo.
-Appunto! Ce lo stiamo chiedendo tutti. Se lo sta chiedendo il mio capitano e, prima ancora che se lo chiedesse lui, se lo chiese subito il magistrato il cui nome è balzato, prepotentemente agli onori della cronaca nera, grazie alla sua intelligente mediazione.-
-I fatti sono fatti.- Ribatté il giornalista. -Del resto c’è stata un’indagine. Vero è che è stata archiviata, però questa per me non è la soluzione del caso. Un giovane è stato trovato morto a qualche chilometro dalla sua macchina, in contrada San Teodoro, a quattro passi dalla discarica comunale contro la realizzazione della quale aveva strenuamente lottato. Si era “suicidato”. Un colpo secco alla gola, con un kalashnikov non suo, di provenienza furtiva. E non aveva imbracciato mai un fucile! Un sottobosco di intrighi e clientele che il ragazzo abilmente aveva ricostruito e denunciato, giorni prima, alla Procura della Repubblica. Questo, purtroppo, non è bastato. C’è una verità apparente, il suicidio, che la giustizia accetta e promuove. Ma quella, tutto il paese lo sa, non è la verità “con la Vi maiuscola”. Per scoprirla la verità “con la Vi maiuscola” c’è stato bisogno di chi la cercasse. Ed io non ho fatto altro che cercarla. Cercarla fra le carte processuali del procedimento archiviato, cercarla fra la gente che sa e non parla o non vuole, cercarla nella mia testa, usando la ragione e la logica…-
-Ma santa pazienza!- Lo interruppe spazientito il maresciallo. -Ma chi glielo ha comandato tutto questo? Con le tante cose che lei ha da fare: una madre anziana da accudire; gli studi che non so quando, di questo passo, potrà finire; la necessità di sbarcare un lunario, perché, caro amico, non sempre si può vivere solo ed esclusivamente della pensione minima di una santa donna; con questo mare di problemi personali da risolvere, dicevo, lei che fa? Va a spulciare fatti e carte sui quali la giustizia ha messo già la parola fine e comincia a scrivere fantasie su un giornale che stranamente gli sta dando credito. Ma dico, è impazzito?-
-Tutto qui?- Gli chiese l’uomo, ostentando indifferenza alle parole del maresciallo. Le sue mani però tremavano nervosamente. Si alzò.
-E no, amico mio! Lei non può lasciarmi così e andarsene. Non gli ho detto che lo può fare. Si sieda perché non ho ancora finito.-
-C’è altro? -Domandò con voce ironica l’uomo, mentre obbediva ai suoi ordini.
-Certo! Non l’avrei convocato qui, allora! Non ho tempo da perdere, io!- Sbottò brusco il maresciallo. -Ho qui un documento firmato dal giudice del tribunale, che si è occupato del caso, con il quale mi fa obbligo di verbalizzare le sue dichiarazioni, le cose che ha scritto, per intenderci, sul giornale, nella qualità di persona informata sui fatti.-
-Quello che ho scritto risulta dai verbali redatti dai suoi stessi carabinieri, dalla polizia scientifica e dalle dichiarazioni rese da alcuni testi in seno agli interrogatori. Io non ho aggiunto in sostanza nulla. Ho solo fatto quello che avrebbe dovuto fare qualsiasi buon giudice: ricostruire, con coraggio e onestà, la vicenda nei minimi particolari.-
-E lei pensa che non sia stato fatto?- Lo aggredì con voce alterata il maresciallo, mentre verbalizzava a macchina le sue dichiarazioni.
-No!- Esclamò secco l’uomo. Poi, dopo una piccola pausa, riprese. -Se l’avessero fatto, primo: non avrebbero archiviato il caso; secondo, avrebbero potuto fare luce su tante altre vicende ad esso collegate, sulle quali, incredibilmente, il tribunale ha preferito tacere. Non è tutto questo un giuoco, non ha nulla a che vedere con una mia fantomatica vendetta personale o politica, come qualcuno ha voluto insinuare. Io, neppure conosco bene le persone coinvolte nella vicenda, né mai le ho conosciute prima. Per me si tratta solo di cercare la verità, quella verità che potrebbe nuocere ed essere anche scomoda. Per me cercare la verità è un dovere. La verità va cercata sempre, con ostinazione, anche quando la giustizia si dimentica di farlo o, come in questo caso, preferisce chiudere gli occhi, fingere che non sia successo niente e cancellare, così, con qualche timbro e qualche firma, per sempre, il diritto e il bisogno di riscatto delle vittime. Di quelle persone, cioè, che hanno pagato e pagano ogni giorno, con la vita e con le lacrime, i piani delittuosi di chi, cinicamente, le ha immolate alla sua sete di potere, ai suoi interessi corrotti. – Il maresciallo lo guardava senza trovare una parola per fermarlo. Dopo un’altra pausa, continuò. -Lei mi chiedeva, un attimo fa, chi me lo avesse comandato? Ebbene gli rispondo con assoluta franchezza: nessuno! Ovvero il mio intimo bisogno di verità. Questa storia mi ha talmente turbato che per me è diventata un imprescindibile caso di coscienza.-
– Dunque lei non ha nient’altro da dichiarare?- Lo apostrofò il maresciallo.
-Null’altro!- Sentenziò l’uomo. – Posso andare?- Domandò.
– Se mi firma il verbale, nessuno e niente lo trattiene qua.- Il maresciallo tirò con rabbia il verbale dalla macchina per scrivere e glielo porse insieme alla sua penna. L’uomo lo lesse attentamente, lo firmò, poi, senza degnarlo di uno sguardo, si alzò e richiuse con cura la porta dietro di lui.
Un Uomo Libero
Nella foto, Giovanni Spampinato, giornalista ragusano ucciso nel 1972 in circostanze misteriose.
Giovanni Spampinato nel settembre 2007 è stato insignito dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del premio Saint Vincent per il giornalismo alla memoria.
Un articolo apparso sul Corriere della Sera il 1 giugno 2008
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