Cultura
|
23/12/2018 17:58

Un caso di cronaca nera

Una storia con finale inatteso

di Redazione

Garage sotterraneo
Garage sotterraneo

Era stata una giornata campale, il martedì lo era sempre. Ero un consulente finanziario e avevo preso l’abitudine di concentrare gli appuntamenti il martedì perché avevo scoperto che, dopo il riposo della domenica e la la noia del lunedì, i clienti erano più disponibili a parlare di affari.
Per fortuna mi ero sbrigato presto, così salii in macchina e mi diressi verso casa. Era una villetta a due piani con giardino a pochi chilometri da Bologna. Aprii il cancello, entrai e parcheggiai nel vialetto interno.
La casa era già nel buio, rischiarata solo dalle luci del giardino. Di solito era sempre illuminata quando arrivavo, ma quella sera mia moglie era uscita con le amiche. Non aveva detto a che ora sarebbe rientrata e, anche se l’avesse fatto non c’era da fidarsi. Era una ritardataria cronica e dopo 4 anni di matrimonio mi ero abituato alle lunghe attese che mi costringeva a sopportare.
Chiusi lo sportello e guardai l’orologio: erano le cinque e un quarto. Era ancora presto per cenare ma io avevo fame. Sapevo che non avrei trovato niente di pronto, per cui decisi che mi sarei fatto un toast e per cena mi sarei preparato un piatto di pasta che avrei mangiato davanti al computer. Pregustavo già una serata tranquilla, anche se era il giorno in cui ricorreva il nostro quarto anniversario di matrimonio. Per fortuna avevamo deciso di festeggiare il sabato successivo in un ristorante consigliato da mio cognato Tullio, commissario di polizia, e in compagnia di una ventina tra amici e parenti più stretti. Era una festa che avrei evitato volentieri, non amavo fare baldoria ma non volevo deludere le aspettative di mia moglie che da una settimana si era affaccendata a preparare l’evento in grande stile; dalla scelta del menù e della torta fino alla disposizione dei posti. Più che una cena sembrava che stesse preparando un matrimonio, tale era l’impegno e la passione in cui si era profusa. Conoscendola, intuivo che stava architettando qualcosa e ne avevo avuto la conferma quando in un momento di allegria le era scappato di bocca che aveva preparato qualcosa di eccezionale che avrei ricordato per sempre. Nient’altro.

Per qualche giorno quella frase sibillina era diventata il mio chiodo fisso e capitava che ci pensassi anche durante il lavoro, ma quella sera la sola cosa che volevo fare era mangiare e aggiornare il mio blog. Era risaputo quanto fossi patito di cronaca nera e di tutto quello che gravitava intorno al mondo del crimine. Avevo letto tutti i romanzi di Agatha Christie e dei giallisti più famosi, avevo un archivio di ritagli di giornale da fare gola a Sherlock Holmes, al cinema non mi perdevo un thriller e in televisione seguivo tutti i programmi che trattassero di sordidi crimini e omicidi violenti. Avrei dovuto fare il poliziotto o l’investigatore.
E così un giorno avevo deciso di aprire un blog per commentare, alla mia maniera, i casi di cronaca più eclatanti trasmessi dalle reti nazionali. Mi piaceva l’idea di scrivere e di andare in live sul mio sito formulando ipotesi e teorie come facevano i conduttori della tv. Avevo iniziato per gioco, per spezzare la routine della vita, ma con il tempo avevo visto crescere il numero di visitatori e capitava che qualcuno mi riconoscesse e ci fermassimo a chiacchierare delle mie teorie.
Tirai fuori le chiavi di casa e cercai di aprire la porta d’ingresso senza riuscirci. Riprovai altre tre volte prima di ricordami che avevamo cambiato la serratura e che, nella fretta di uscire, aveva dimenticato di chiedere a mia moglie il nuovo mazzo di chiavi.
Sedetti su una panca in giardino e provai a chiamarla. C’era la segreteria telefonica.
<> sbottai rimettendo nervosamente il cellulare in tasca.
Fino a quel momento non avevo preso in considerazione l’idea che qualcosa di oscuro potesse accadere nella mia vita. Tutto filava liscio e non c’erano motivi per pensarlo. E poi, si sa, certe cose capitano sempre agli altri. Cullandomi in questi pensieri, quasi per caso e con la coda dell’occhio, notai sul vialetto una piccola scia di liquido rosso che conduceva al garage. Mi avvicinai incuriosito. Lo toccai, sembrava sangue. Ero sorpreso e non riuscivo a capire da dove venisse. Cercai di aprire la cler del box per verificare se ci fosse altro sangue, ma inutilmente. In casa non c’era corrente, probabilmente era saltato il contatore e il telecomando non funzionava.
Ero furioso. Perché capitavano tutte a me? Richiamai mia moglie per chiedere spiegazioni ma il telefono non squillò nemmeno. E siccome neanche Tullio mi rispondeva al cellulare, chiamai il suo ufficio, forse i suoi colleghi potevano aiutarmi a rintracciarlo. L’agente dall’altro capo del telefono riconobbe subito la mia voce.
<>, esclamò.
Parlare del mio blog era sempre un piacere ma questa volta avevo ben altro a cui pensare.
<>, risposi sbrigativo per chiudere l’argomento,<>.
<>.
<>.
<>.
<> insistetti.
L’agente si prese una pausa che sembrò infinita.
<>, disse canzonandomi. La sua battuta mi infastidì. <>.
Maledetto idiota, pensai. Avevo bisogno dell’aiuto di mio cognato e non volevo scomodare la polizia, ci mancava solo che mi deridessero. Richiamai mia moglie in preda all’ansia. di nuovo la segreteria telefonica! Stavo impazzendo dal nervosismo. Del resto la situazione in casa era sospetta: per quanto mi sforzassi di ragionare non riuscivo a trovare una soluzione semplice e veloce per entrare in casa. Un’idea balorda mi passò per la mente. Feci il numero del telefono fisso di casa, avvicinandomi alla porta d’ingresso per vedere se squillasse. Non mi aspettavo che qualcuno rispondesse e stavo per mettere giù quando sentii alzare la cornetta.
<> dissi mentre cercavo di guardare all’interno dalla finestra chiusa della cucina.
<>. Non riuscii a continuare perché la comunicazione si interruppe.
C’era qualcuno all’interno, sicuramente un ladro che non era riuscito a svignarsela prima del mio arrivo. Era entrato dal garage e forse si era ferito…solo così potevo spiegare le macchie di sangue che avevano sporcato il vialetto.
<> urlai sbraitando battendo i pugni sulla porta.
Silenzio. <> insistetti.
Da dietro la porta d’ingresso sentii chiaramente che l’intruso stava trascinando qualcosa di pesante. Rimasi in ascolto con l’orecchio poggiato sulla porta cercando di capirci qualcosa. D’improvviso un urlo disperato seguito da un pianto straziante mi fece rabbrividire. Riconobbi la voce di Maria. Mi lanciai immediatamente contro la porta con tutta la rabbia che avevo, ma mi feci solo male perché la porta era blindata.

Senza perdere altro tempo chiamai la polizia. Chiesi ancora di mio cognato, mi risposero che non era ancora rintracciabile, allora spiegai in dettaglio la situazione e mi dissero che avrebbero mandato immediatamente una pattuglia in soccorso. Mi intimarono di non fare passi falsi prima dell’arrivo delle volanti. Li rassicurai, anche se non avevo alcuna intenzione di rimanere con le mani in mano in attesa dei rinforzi. Dovevo intervenire, la vita di mia moglie era in pericolo.
Mi nascosi dietro un cespuglio e mentre me ne stavo lì ad elaborare un piano d’azione, venni illuminato da un’intuizione: lo scantinato aveva una finestra rotta, potevo entrare da lì e introdurmi in casa salendo dalla scala che portava in salotto. Mi serviva un’arma. Aprii il cofano e mi munii dell’unica cosa che trovai: il cric. Era ingombrante ma riuscivo a tenerlo in una mano mentre nell’altra potevo avere il cellulare da usare come torcia. Con passo felpato e il cuore a mille camminai sull’erba in direzione dello scantinano. Scavalcai la finestra rotta e mi introdussi all’interno, cercando di non fare rumore per non allarmare il pazzo che teneva in ostaggio mia moglie. Inspiegabilmente, anche in quel frangente così drammatico e pericoloso, non avevo dimenticato di essere un blogger, un cacciatore di verità. Decisi di filmare tutta la mia impresa con il cellulare, come fanno nei film horror, e di pubblicare tutto sul mio blog. Volevo informare a caldo i miei spettatori di tutte le paure che si si provavano in certi momenti drammatici, quando hai la sfortuna di incapparci.
<>, sussurrai al microfono del cellulare.
Mi fermai a riflettere qualche secondo poi presi coraggio e cominciai a salire gli scalini che portavano alla cucina. Ero così attento a non far scricchiolare i gradini che sembravano mine inesplose della seconda guerra mondiale. Con il cuore in gola arrivai in cima. Abbassai la maniglia e sospinsi dolcemente la porta. Dal frastuono che avevo sentito in precedenza mi aspettavo di trovare il caos che un ladro si porta dietro: cassetti aperti, mobili spostati, bicchieri rotti, invece era tutto in ordine. Nessuna traccia, nessun indizio, nessun elemento fuori posto che potesse spiegarmi cosa stesse succedendo. Mi sembrava di vivere in un brutto sogno.
Sentii un rumore di passi che mi costrinse ad appiattirmi alla parete. Stringevo così forte il cric che le mani mi facevano male, ero già pronto a usarlo quando i passi dell’aggressore si allontanarono verso la scala che portava al piano superiore. Sgusciai nel salotto deserto con il cuore che mi scoppiava e imboccai le scale che quello aveva salito qualche minuto prima. Il silenzio era agghiacciante, assoluto e totale, e l’unico rumore che riuscivo a percepire era il mio respiro affannoso, che a stento riuscivo a controllare.
Mi sembrava tutto così irreale. Dov’era mia moglie? Dov’era quel pazzo? E perché la polizia non arrivava?
Mi tolsi le scarpe e salii con circospezione. Al primo piano c’erano tre stanze: non ebbi alcuna difficoltà a individuare il nascondiglio visto che dalla porta di una delle camere filtrava un fascio di luce che illuminava la parete dirimpetto.
<> commentai riprendendo il mio volto stravolto.
Ero alla resa dei conti ma la paura mi frenava. Facendomi forza mi avvicinai alla porta. Udivo un chiacchiericcio, un brusio di voci sommesse di cui non riuscivo a distinguere bene le parole.
<>. Questo disse una voce di donna che tirava in ballo una seconda donna…che fossero le complici di quel bastardo?
Le cose non si mettevano bene, dovevo intervenire!
Strinsi il pomello della porta e lo girai lentamente ma la porta non si aprì. Era chiusa dall’interno!
Avevo commesso un terribile errore ed ora sapevano che ero lì.
Una risata improvvisa, malefica, mi fece sobbalzare. Poi la voce del bastardo gridò:<>.
Non resistetti oltre, persi l’autocontrollo e corsi via. Probabilmente per lo spavento, sfiorai il record mondiale dei centro metri. Non avevo la forza di urlare e non osavo guardarmi indietro. Non mi importava di nulla, volevo solo uscire da quell’incubo. Spalancai la porta d’ingresso con una manata e mi catapultai fuori, in giardino. In quel momento vidi arrivare la macchina di mio cognato.
Aprì immediatamente il cancello e gli corsi incontro.
Tullio stava scrivendo un sms e indossava un abito da sera. Agitato e in preda al panico gli spiegai la situazione, ma lui non fece una piega. Mi mise una mano sulla spalla. > mi rassicurò mostrandomi la pistola. Poi fissò il cric che tenevo ancora fra le le mani.
<>. Glielo diedi e lui lo posò sul cofano della mia macchina.
<>, gli chiesi.
<>, tirò fuori le manette ,<>. Le prese e con un gesto fulmineo mi portò le braccia dietro la schiena bloccandomi i polsi.
<>, urlai in preda al panico,
Senza aprire bocca mi spinse verso la casa che all’improvviso si illuminò. Mio cognato era complice dell’aggressore? Non riuscivo a trovare una spiegazione…perché rapire sua sorella?
Ve lo giuro, cercai in tutti i modi di reagire ma ormai eravamo arrivati al portico. Tullio rise dei miei sforzi inutili, e mentre la mia testa scoppiava di domande mio cognato spalancò di colpo la porta d’ingresso…
Non credevo ai miei occhi. E ancora adesso, a distanza di anni, al solo pensiero mi batte forte il cuore.
<>. Era stata mia moglie a parlare, bellissima nel suo abito rosso.
Davanti a me c’era tutta la combriccola che sorrideva divertita con un bicchiere di champagne in mano. E mentre Tullio mi toglieva le manette, le sorrisi. Finalmente con le mani libere abbracciai mia moglie.
<>.