Cultura
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24/05/2009 17:42

Un racconto di Un Uomo Libero. La tarantola

"...tu non sai cosa ho fatto quel giorno quando io la incontrai"

di Un Uomo Libero.

Il Pata Pata
Il Pata Pata

  

Guardavo dal Pata-Pata la spiaggia gremita di ragazzi. Tanti dialetti, tante facce non proprio isolane. Il mio bicchiere gelato di birra lasciava scorrere perle di sudore sul tavolo di legno. Il golfo di Sampieri, di un azzurro sfumato, pastello, riempiva il mio orizzonte. La vecchia fornace lontana chiudeva idealmente una baia che non sembrava lasciarsi intaccare dal tempo ma viveva di un’eternità convenzionale, scontata. Tamburellavo nervosamente con le nocche delle dita sulla superficie del tavolino per accompagnare una musica fatta essenzialmente di rumori, di parole gridate, di un inglese made in Italy necessariamente maccheronico e storpiato.

Quanto tempo era passato dalle mie ultime estati giovanili! Ricordo che non c’era nulla di tutto quello. Un vecchio chalet rimontato sempre alla stessa maniera, un jukebox che dispensava le trasgressive canzoni di Mina, le storie raccontate da un Celentano sempre più elettrico ed eccentrico. Gli ultimi urli di Sanremo coperti e offuscati dall’insuperabile melodia dei Beatles e poi dalle canzoni degli altri complessi e complessini che fecero della mia epoca una nuova stagione della musica. Su tutte primeggiavano, attraversate da un’inquietante vena di malinconia, le tormentate canzoni di Battisti. E soprattutto non c’era più lei. Il volto dell’amore eterno e disperato che aveva sconvolto la mia vita serena e tranquilla di ragazzo tutto casa e chiesa come un tornado, come un vento d’uragano. Veniva per l’estate da Catania, dove il papà lavorava come direttore presso un importante istituto di credito. Sofisticata, bella, il corpo perfetto inutilmente coperto da un bikini mozzafiato. Un autentico azzardo per quei tempi. Attorniata sempre da ragazzi e ragazzi che le facevano il filo. Perché mi scelse? Ero impacciato, timido, non bello.

..tu non sai cosa ho fatto quel giorno quando io la incontrai, in spiaggia ho fatto il pagliaccio per mettermi in mostra agli occhi di lei, che scherzava con tutti i ragazzi all’infuori di me, perche’, perche’, perche’, perche’ io le piacevo..

Prima di allora non avevo avuto con le donne nessuna esperienza da raccontare come invece gli altri miei coetanei. Stavo sotto un ombrellone giornate intere a leggere romanzi e, chiacchierando, sicuramente dovevo essere noioso. La vidi una mattina piantare il suo ombrellone vicinissimo al mio. Il suo sguardo insistente mi copriva di vergogna e d’impaccio. Ruppe il silenzio senza che lo sperassi.

-Sei di Modica?- Chiese.

-Perché dovrei essere di Modica?- Risposi risentito, quasi irritato.

-Sampieri è una spiaggia frequentata più da modicani che da gente di Scicli. Gli sciclitani si possono contare sulle punte delle dita. Sei di Scicli, allora?-

-Si. -Confermai seccamente.

-Maria Adele, mi chiamo Maria Adele e tu?-

Esitai guardandola a lungo negli occhi splendidi.

-Giuseppe.-

-Che cosa leggi?- Ritornò alla carica con più sicurezza nella voce.

-Oh, nulla! -Minimizzai io. – Un romanzetto. L’ultimo di Lalla Romano.

-Non la conosco. Non conosco quella scrittrice.- Aggiunse.

Le mostrai la copertina.

-La penombra che abbiamo attraversato? Che titolo originale e romantico! -Esclamò dopo aver letto il titolo ad alta voce.

Maria Adele diventò un’ospite fissa del mio ombrellone. I giovani leoni ruggenti, infaticabili giocatori di tamburelli, spiavano le nostre mosse e sospiravano con più di un pizzico d’invidia. Sentivo soprattutto i loro occhi puntati su di me quando io e lei, insieme, andavamo allo chalet per bere un’aranciata o solo per ascoltare una delle sue canzoni preferite. A casa le battute non mancavano. A pranzo, durante le visite degli amici dei miei, tutti volevano benedire un amore che non presentava nessun ostacolo, che navigava sicuro verso mete felici. Mi restavano solo pochissimi esami per laurearmi in matematica all’università di Catania. Lei faceva Economia e Commercio sempre a Catania. Stesso Palazzo delle Scienze anche se le facoltà erano ospitate in piani differenti. Passò l’estate e continuammo a vederci a Catania. Le famiglie erano entusiaste del nostro rapporto. Noi, innamoratissimi come nessuno. Preparai la tesi in un fiat. Il professore, mio relatore, si meravigliò non poco della rapidità con cui la scrissi ed anche della profondità del contenuto. Le comunicai con infinita gioia il giorno della laurea.

-Ci sarò. – Mi assicurò baciandomi castamente sulla fronte.

Volevo invitare anche i suoi ma lei me lo sconsigliò. Scegliemmo insieme un ristorantino ad Acitrezza per festeggiare l’evento insieme a tutti gli amici e ai miei genitori. Il giorno fatidico ero nervosissimo. Lei, seduta in uno dei posti più alti dell’aula, mi rassicurava a piccoli gesti. Discussi la tesi in una maniera veramente brillante. Caddi nelle sue braccia per un abbassamento repentino di adrenalina. Lei mi consolava come avrebbe fatto una madre con il suo bambino. Rientrò la commissione per annunciare il voto. Io mi presentai. Centodieci e la lode, con pubblicazione. Esplosi di gioia, sommerso dagli abbracci e dagli applausi di tutti gli amici e della famiglia in festa. La cercai disperatamente con gli occhi per condividere con lei uno dei momenti più importanti della mia vita. Lei non era al suo posto. Chiesi a tutti se l’avessero vista uscire. Nessuno si era accorto della sua assenza. La cercai in tutti i bagni, pensai a un malore o a una comunicazione improvvisa. Mi attaccai a un telefono a gettoni e chiamai casa sua. Non era ancora rincasata. La mia gioia si colorò di tristezza. Invano i miei minimizzavano l’accaduto. Non potevo essere felice senza di lei. I giorni che seguirono furono tremendi. Dopo qualche settimana seppi che, da un pezzo, aveva conosciuto Alfio, un altro ragazzo e, a mia insaputa, aveva cominciato a uscire con lui.

Con Alfio non avevo niente in comune. Forse solo gli anni. Era uno dei leader del movimento studentesco, imbevuto di rabbia sindacale e di teoria marxista. Portava una barba lunga, incolta. Fumava droghe leggere. Per liberarsi dalla società borghese. Disprezzava la ricchezza dei ricchi ma aveva comprato a rate una moto da competizione con la quale sfrecciava per le strade di Catania a velocità pazzesche. Di estrazione proletaria, il padre, un brigadiere dei carabinieri in congedo, arrotondava la misera pensione facendo l’informatore degli istituti di credito, scovando i veri domicili dei morosi o accertandone le presunte generalità. Una città strana Catania. Piena di truffatori e di ladri, di loschi capitani d’industria e di evasori incalliti e spregiudicati. Scappai a Scicli. Per non incontrarla con la sua nuova fiamma. Per risparmiarle la penosa mortificazione del mio amore. Ero come sbandato. Non sapevo capire il mondo e le persone. Ci volle del tempo, molto tempo prima che ritornassi a una vita normale. Quest’epilogo inatteso e triste mi lasciò svogliato, pigro, privo di qualsiasi ambizione. Rifiutai tante offerte di lavoro anche all’interno dell’università. Odiavo Catania. Cominciai a fare domande per supplenze. Preparavo l’esame di ruolo nel frattempo. Ritornò l’estate e con l’estate anche Maria Adele. Sempre più bella, sempre più cercata. Di Alfio neppure l’ombra. Mi sbirciò al mio solito posto in spiaggia e ritornò a piazzare l’ombrellone molto vicino al mio. La ignorai ma tremavo. Non era rabbia, era l’antico desiderio che ritornava come una febbre a possedermi. Ora più che mai. Una tentazione sublime di riprendermi una rivincita con una donna abituata a tenere il mondo ai suoi piedi. Era la scusa con cui m’ingannavo.

-Sai, -ruppe un giorno lei stessa il ghiaccio. – il mio rapporto con Alfio era solo di stretta collaborazione politica. Non volevo che tu t’ingelosissi. Per questo mi sono allontanata, per non farti del male. –

Mentiva. Con l’abilità di sempre e la spregiudicatezza della sua malizia. Non risposi una parola. Mi accarezzò i capelli con la sua mano calda.

-Io non saprei vivere senza di te. – Aggiunse.

..lei mi amava, mi odiava, mi amava, mi odiava, era contro di me… io non ero ancora il suo ragazzo e gia’ soffriva per me, e per farmi ingelosire quella notte lungo il mare e’ venuta con te..

Mi usava come il bambolotto che le avevano regalato i genitori quand’era piccola. Era abituata a giocare con la vita degli altri. Degli uomini. Alla fine del mese comparve in spiaggia Alfio. Minaccioso, geloso, le fece una scenata alla quale lei rispose con un leggero sorriso. Ritornò ancora più furioso a Catania. Per parte mia ci guadagnai un insulto e una sfida a botte che non raccolsi.

-Non m’interessa Alfio. Ti sei reso finalmente conto?- Mi domandò. – La mia vita è con te. –

Ritornammo insieme. Per come si poteva ritornare insieme a quei tempi. Abbracci al chiaro di luna, baci, parecchi, ma nient’altro di più. La castità era la sua bandiera. Mi convinsi anch’io che il suo rapporto con Alfio si fosse fermato solo a pochi e innocenti preliminari. L’estate fu lunga e particolarmente felice. Lei si sarebbe laureata a ottobre. E così fu. Con il pretesto dell’emozione non volle amici e parenti alla discussione della sua tesi. A novembre mi comunicò di aver trovato un ottimo studio di commercialista presso il quale iniziare a fare praticantato. Un cliente del padre. La persi di vista. La cercai disperatamente. Si negava al telefono. Presi una seconda cotta e giurai in cuor mio di sposare una donna totalmente diversa da lei. L’occasione non si fece aspettare. Avevo conosciuto una collega carina, non bella. Di estrazione borghese. Ci fidanzammo prima che arrivasse di nuovo l’estate e, con l’estate, lei. Alla fine di quell’agosto, io e la mia fidanzata, fissammo il giorno delle nozze. Volevo darle implicitamente una risposta. Una festa molto sotto tono fu il mio matrimonio per me. Quell’estate, però, lei non ritornò a Sampieri. Mi ritrovai con una donna nel letto e, dopo qualche anno, anche due meravigliosi bambini. Non seppi più nulla di lei. A quanto pare dimenticò Sampieri. Mi avviai verso il lungomare senza aspettare di vuotare il bicchiere con la birra.

“Perché questo improvviso e malinconico ritorno al passato?” M’interrogai senza darmi risposte. Sulla piazzetta del lungomare una macchina con i finestrini aperti. La sua radio accesa a tutto volume trasmetteva una canzone del primo Celentano di cui lei andava veramente pazza. Una storia d’amore. Sembrava che tutto congiurasse contro il mio desiderio di dimenticare. Passai attraverso le bancarelle dei marocchini. Una di esse vendeva cappelli di paglia. Mi avvicinai come per comprarne uno. Lo indossai e mi guardai nello specchio. I capelli erano ormai quasi tutti bianchi e radi. Borse agli occhi. I baffi, anch’essi bianchi, tirati su una bocca appassita che già denunciava i suoi anni. Ebbi paura della mia decadenza fisica e lasciai con orrore il cappello e lo specchio. Quanti anni ormai erano passati? I figli grandi, all’università, il mio rapporto coniugale anonimo, routinario, ufficialmente appagante e felice. Camminavo a zonzo per il lungomare senza preoccuparmi della gente che mi sciamava intorno, depresso e confuso.

-Mi sbaglio o sei proprio Giuseppe?- Una voce di donna mi richiamò dal mio iperuranio.

Mi voltai istintivamente. Alle mie spalle una coppia di signori pendeva dalle mie labbra per una conferma che non sapevo dare.

Lui, una persona molto distinta ma anche molto avanti negli anni. Alto, elegante, portava un panama che gli conferiva un’aria decisamente coloniale. Lei, molto più giovane di lui, indossava un cappello di paglia elegantissimo. Abbronzatissima, dal trucco curato e per nulla dozzinale, si nascondeva dietro due enormi occhiali da sole. Le dita piene di preziosi anelli, una scollatura mozzafiato che non avrebbe curato sicuramente le ansie del povero marito. Dovetti balbettare qualcosa.

-Dai! Possibile che non mi riconosci più?-

Tolse gli occhiali da sole e finalmente ogni dubbio svanì. Era lei, Maria Adele che si manifestava una volta ancora nella mia vita come un ectoplasma. Mi prese un tremore alle gambe. Dovetti anche diventare rosso come un gambero. Il signore mi diede amabilmente la mano per salutarmi.

-Ma…- Feci io, in preda a un panico che non sapevo dissimulare.

-Lo so. -M’interruppe lei. -So a che cosa stai pensando. Tanto tempo è passato. E anche tanta vita. – Mi guardò con un interesse sfacciato. – Ti ritrovo cambiato. In meglio. Hai una pancetta adorabile e il grigio dei capelli ti dona. I baffi ti danno un’aria severa, da cattedratico. Insegni sempre matematica?-

-Si! – Farfugliai. E non osavo guardarla.

-Non vorremo stare tutta la sera fermi a fare radici…-Sbottò lei. Sottobraccio a suo marito, con l’altro braccio afferrò il mio e cominciammo ad andare.

-Finalmente ho conosciuto Giuseppe.- Esclamò con ammirazione il signore. – Sa. Maria Adele mi ha parlato spesso di lei, del vostro rapporto solare, della vostra fraterna amicizia. Cose rare oggi per i tempi in cui viviamo…-

Ero come paralizzato nella lingua, non sapevo se urlare o sorridere.

-Ti dirò, -lo interruppe lei – dopo che mi sono laureata, ti avevo accennato alla possibilità di fare un buon praticantato presso uno dei commercialisti più importanti di Catania…-

-Si. -Confermai. – Ricordo vagamente.-

-Maria Adele venne nel mio studio -continuò lui – e a poco a poco non solo lo rivoluzionò ma rivoluzionò anche la mia vita. Da scapolo impenitente, quando ormai neppure pensavo al matrimonio, dovetti arrendermi alla sua intelligenza e al suo fascino. Così finii per dire di sì a tutto. Quest’anno abbiamo comprato una delle villette del villaggio di punta Sampieri. Tutte le estati precedenti le abbiamo trascorse tra la nostra villa di Taormina e uno chalet, che ho voluto regalarle per il decimo anniversario del nostro matrimonio, a Cortina d’Ampezzo. Le confesso però che questa spiaggia e questo mare le sono mancati tanto in tutto questo tempo. Decisi allora di mettere radici anche qui. Non abbiamo avuto figli per una libera e reciproca scelta. Per essere perciò totalmente indipendenti e spostarci con facilità da un luogo all’altro senza dover dipendere da nessuno. I fine settimana li passiamo da molti anni a Roma, dove abbiamo avuto la fortuna di comprare un attico con vista su Piazza Navona. Un luogo magico e unico al mondo.-

..l’hai sposata sapendo che lei, sapendo che lei moriva per me, coi tuoi soldi hai comprato il suo corpo non certo il suo cuor..

-E tu? – Domandò lei dirottando su un altro fronte il filo del discorso. – Ho saputo che ti sei sposato e hai anche dei figli, raccontaci di te…-

-Oh! Come l’hai saputo?-

-I miei me ne hanno parlato. E poi non sai l’antico adagio? Fidanzati e dillo ai quattro venti, fatti monaco e non lo dire a nessuno.-

-Maria Adele, -si intromise il marito.- perché non inviti il tuo amico un pomeriggio a casa per un gelato o un tè? Avremo più tempo per parlare e raccontarci.-

-Sì. – Gli rispose con prontezza lei.- Mi hai bruciato sul tempo. Volevo proprio proporglielo.-

-Oh, grazie! – Mi schermii io. – Non è il caso di prendersi tanto disturbo…-

-Venga! Ci conto! – Insisté l’uomo. – Chissà quante cose avrete da dirvi e quante cose avrà da raccontarmi su di lei. –

Lo guardai con occhi malinconici. Lei inumidiva le labbra con la lingua. Ci salutammo. Li vidi allontanare. Non sapevo catalogare quell’apparizione. Era stata un incubo o un sogno? Guardavo il suo corpo sinuoso. Camminava con l’eleganza di un’indossatrice. Pensai a mia moglie senza un’ombra di trucco, grassa per avermi dato due figli, il petto floscio e cadente. A memoria mia mai le avevo visto le unghie dipinte. Maria Adele aveva trovato quello che io non avrei potuto mai darle. La tarantola aveva saputo tessere la sua ragnatela con abilità e malizia fino a quando aveva intrappolato la preda che cercava. Il vecchietto dalle piume d’oro con un pesante conto in banca. Da portare al guinzaglio come un cagnolino per vivere una vita disinvolta, tutta sopra le righe. Sentii che la mia mediocrità era da preferire alla vuotezza della loro vita. Taormina, Cortina, Roma ma alla fine che cosa sarebbe rimasto di tutto quel vissuto?

..A letto ritornai, piangendo la sognai sembrava un angelo mi stringeva sul suo corpo mi donava la sua bocca mi diceva: “sono tua…” e nel sogno la baciai..

Estrassi il telefonino dal taschino e chiamai mia moglie.

-Preparati. – Le ordinai. -Sto arrivando. Stasera voglio portarti a Pozzallo per una pizza e un gelato.-

-Finalmente! – Esclamò lei. – Dopo tanti anni, per la prima volta, ti sei ricordato dell’anniversario del nostro matrimonio.-

Rimasi shockato. Chiusi il telefonino e piansi.