Cultura
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31/03/2009 00:40

Una tesi di laurea sulla vita politica di Scicli. Di Rudy Francesco Calvo

di Redazione

Pubblichiamo uno stralcio della preziosissima tesi di laurea con cui il collega giornalista Rudy Francesco Calvo, oggi in forza al quotidiano Europa, si è laureato in scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma qualche anno fa.
Un lavoro impagabile di ricostruzione storica.

PARTE PRIMA
 
L’evoluzione delle forme di partito

1. Notabili e confraternite
 
1.1. Partito di notabili
Le forme della partecipazione politica hanno assunto peculiarità differenti, sulla base del  contesto sociale e culturale riscontrabile in un determinato luogo e in un ben definito periodo  storico. Per questo motivo, non è possibile individuare in modo acontestuale la nascita di una  determinata forma di partito, ma ci si può limitare ad astrarre da cornici storiche e topologiche  differenti, esperienze comuni e generalizzabili.
In generale, è possibile affermare che l’evoluzione dei partiti, almeno in una prima fase, sia  strettamente correlata all’allargamento della partecipazione politica dei cittadini. Pertanto, la prima  forma assunta dai partiti politici fu quella del “partito dei notabili”. Caratteristico della prima fase di  sviluppo delle democrazie liberali, esso è legato a condizioni di suffragio ristretto (soprattutto su
base censuaria) e al monopolio dell’intermediazione tra comunità locale e autorità centrale da parte di ristrette élites di possidenti, professionisti, imprenditori. L’elaborazione teorica di questa forma di partito si deve a Max Weber e a Maurice Duverger. Entrambi la pongono in contrapposizione con  il partito di massa, ma mentre il primo rileva soprattutto l’aspetto economico (i notabili potevano contare su una forma di sostentamento indipendente dall’attività politica, mentre nei partiti di massa  risulta indispensabile il contributo dei singoli iscritti), il sociologo francese si sofferma sulle  peculiarità organizzative. Duverger nota infatti come il partito dei notabili avesse come sua unità di  base il comitato, ossia un gruppo ristretto di personaggi influenti che si riuniva quasi esclusivamente in occasione delle campagne elettorali, mentre rimaneva pressoché inattivo al di  fuori di queste. L’adesione è del tutto informale, basata solo sul prestigio riconosciuto ai notabili:  «Queste persone hanno un peso sociale. Se firmano un manifesto in favore di un candidato,  trascineranno con loro altre persone che, per un fenomeno di ammirazione e contagio sociale, tenderanno ad allinearsi sulla posizione politica di questi notabili».
 
1.2. I notabili a Scicli agli inizi dell’Ottocento
Dopo il tragico terremoto del 1693, che cancellò un quinto della popolazione residente, la consistenza demografica di Scicli aumentò per tutto il XVIII secolo, cosicché la città si presentò  agli albori dell’Ottocento con quasi dieci mila abitanti. L’introduzione del modello di amministrazione civile di origine napoleonica in Sicilia (1817) rende oggi possibile  l’individuazione e l’analisi del notabilato presente all’interno di ogni singolo comune. La nuova  legislazione prevedeva infatti la compilazione delle cosiddette “liste degli eleggibili”, all’interno  delle quali venivano scelti i funzionari pubblici. Nei comuni con una popolazione superiore ai sei mila abitanti, qual era Scicli, erano inclusi nelle liste i proprietari con una rendita annuale di almeno otto onze, ma anche professionisti, artigiani, commercianti e agricoltori.
Dall’analisi delle liste emerge una stretta correlazione tra famiglia e patrimonio, come testimoniato non solo dalla forte incidenza dei possidenti, ma anche dalla presenza di “allistati” tra loro parenti. Basti pensare che, se si fa eccezione per la lista del 1831, il numero degli iscritti aventi legami di parentela con altri notabili si attesta intorno al 90%. E non si tratta solo di esponenti dell’aristocrazia, la cui incidenza numerica sulle liste risulta esigua, al contrario di quella economica, con le famiglie Spadaro e Penna davanti a tutti. C’è da considerare, però, che numerosi esponenti delle famiglie nobili della città sono classificati sotto altre voci.
Si può notare, infine, come l’ingresso di giovani al di sotto dei trent’anni, anche se favoriti da autorevoli legami di parentela, garantisca un cospicuo ricambio generazionale al notabilato locale e probabilmente incida anche sulla diminuzione dell’analfabetismo tra gli “allistati”.
In sostanza, le élites locali appaiono piuttosto compatte nella loro composizione.
L’appartenenza a famiglie quali La Rocca (aventi il titolo di duca), Spadaro, Pisani, Papaleo, Penna,
                                                

 
1.3. Confraternite e “oro di Busacca”
Il trasferimento a valle dell’abitato di Scicli, con l’espansione demografica e la ristrutturazione dello spazio urbano che ne seguirono, rese difficile il corroboramento dei legami interfamiliari all’interno della città. Un ruolo importante per il  raggiungimento di tale obiettivo fu giocato dalle confraternite laicali che si costituirono attorno ai nuovi edifici religiosi. Un aspetto rilevante delle confraternite fu la loro dimensione interclassista, che riuniva nobili, borghesi ed artigiani attorno a regole comuni e all’interno di una rete di solidarietà spirituale e materiale.
Alla fine del XVI secolo si potevano contare in città ben venti associazioni laicali di culto, ma di queste solamente sette giungeranno fino all’Ottocento. Fra queste, ad incidere maggiormente sulla storia della città furono indubbiamente quelle legate alle chiese di Santa Maria la Nova e di San Bartolomeo. Tali confraternite raccoglievano al proprio interno le famiglie più influenti della  città: a Santa Maria la Nova primeggiavano gli Spadaro, insieme ai La Rocca e i Beneventano, mentre a San Bartolomeo i Penna si accompagnavano ai Papaleo e ai Mormina, solo per citarne alcuni.
Principale oggetto del contendere fu per oltre tre secoli l’eredità lasciata alla confraternita marianista da Pietro Di Lorenzo, detto “Busacca” . Il patrimonio del Di Lorenzo (circa 20 mila onze) andò a costituire l’opera pia più ricca di tutta la Sicilia. È evidente che  il controllo di tale ricchezza risultava di grande interesse, giacché la distribuzione dei legati di maritaggio e di monacazione (poi aboliti) costituivano uno strumento ineguagliabile al fine di conseguire il primato politico all’interno della città.
L’uso spregiudicato che la confraternita di Santa Maria la Nova fece inizialmente dell’”oro di Busacca”, tradendo i principali obblighi testamentari (impiego a multiplo della metà delle rendite, controllo degli atti da parte della confraternita di San Bartolomeo, distribuzione calibrata dei legati, sulla base dei legami di parentela con il testatore), indusse il viceré Olivares a trasferire nel 1595 l’amministrazione dell’opera pia a Palermo, dove se ne sarebbe occupato un giudice del tribunale di  Regia Monarchia. Il controllo dell’opera pia tornerà a Scicli solo nel 1867, per opera del nuovo  Governo unitario.
La lontananza del patrimonio di Busacca non impedì alle due confraternite rivali di continuare i loro conflitti: dalla costruzione del collegio gesuitico, all’erezione delle collegiate (XVII secolo); dalle processioni religiose in onore di San Guglielmo, al controllo delle cariche pubbliche (nel Settecento). Quando però si trattava di tutelare i privilegi di classe di fronte agli attacchi della borghesia e dei ceti più disagiati, o di difendere il prestigio e il peso politico della città all’interno
del circondario modicano, i notabili sciclitani si ricompattavano senza alcun indugio. Così, le rivoluzioni che infiammarono il Regno borbonico nell’Ottocento, e che interessarono anche i territori dell’ex Contea di Modica, videro le famiglie nobili di Scicli impegnarsi congiuntamente contro l’accentramento degli uffici pubblici a Modica (unendosi alla protesta di Ragusa, Comiso, ecc.), ma anche nel cercare di mantenere il controllo sociale all’interno della città.
Di fronte all’emergere dei nuovi ceti, le due confraternite reagirono in maniera opposta.
Mentre Santa Maria la Nova accentuò la chiusura oligarchica del proprio gruppo dominante, San  Bartolomeo scelse la strategia opposta: dilatò il numero degli iscritti, imitando così la costruzione di  una vera e propria “macchina” di partito. Nonostante la ristretta base censitaria imposta dal sistema elettorale, tale allargamento delle adesioni costituirà un valido strumento di pressione e di consenso,  in grado di garantire ai bartolari il controllo futuro del decurionato cittadino.
 
1.4. Gli equilibri post-unitari
Come già anticipato, con l’ingresso nel Regno d’Italia, Scicli riuscirà a far valere le proprie  ragioni su Palermo, ormai priva del titolo di “capitale del Regno”, e potrà tornare ad amministrare autonomamente il lascito del Di Lorenzo. Se i governi di Destra preferirono lasciare immutate le funzioni delle opere di carità, la Sinistra spingeva però a favore di un più diretto coinvolgimento pubblico nella loro gestione e nelle finalità. Ad essere criticato fu soprattutto l’istituto dei legati di maritaggio, accusato a ragione di aver protratto le condizioni di povertà della plebe urbana.
Ovviamente, la città respingeva in maniera compatta tali imputazioni, temendo i notabili di non poter più contare su quel valido strumento clientelare, e i ceti più poveri di perdere le venti onze del legato. A fare eccezione erano, naturalmente, i baroni di San Bartolomeo, ansiosi di sottrarre ai rivali marianisti il controllo del patrimonio di Busacca. Non a caso, a spingere verso un maggior coinvolgimento pubblico nella gestione dell’opera pia fu anche la sezione locale dei Fasci dei lavoratori, guidata da Francesco Mormina Penna.
La decisione definitiva di lasciare intatta la quota di patrimonio riservata ai legati di maritaggio e di devolvere la frazione precedentemente assegnata ai legati di monacazione per la costruzione di un nuovo ospedale, sposterà su altri piani il confronto politico in città. Ancora una volta, di fronte all’avanzata dei ceti inferiori, si ricostituì il blocco del notabilato locale, superando (almeno apparentemente) le antiche divisioni. Il cartello liberale riuscirà a far eleggere deputato il barone Guglielmo Penna (1895 e 1897) e ad imporsi anche alla guida dell’Amministrazione comunale, con due Sindaci bartolari (Giovanni Mormina, prima, e Bartolomeo Penna, poi), affiancati da una Giunta interamente marianista.
Tale blocco di potere non era però destinato a reggere ancora per molto. L’avanzata dei giolittiani, guidati dal modicano Corrado Rizzone Tedeschi, che sconfisse il barone Penna alle elezioni del 1900, ricompattò ancor di più i notabili sciclitani. Ma il Rizzone intraprese una progressiva conquista dei luoghi di potere strategici, a partire proprio dalla confraternita di Santa Maria la Nova e, attraverso essa, dell’opera Busacca. A rimanere nelle mani della vecchia guardia fu solo il Municipio.
Il 1909 segnò una nuova svolta nella politica locale. Vedendo a rischio la propria rielezione, l’onorevole Rizzone tradì gli ex alleati di Scicli e si alleò col vecchio blocco dei “penniani”. Il nuovo accordo gli permetterà di superare indenne non solo l’esame del 1909, ma anche la rischiosa consultazione del 1913, la prima che prevedeva il suffragio universale maschile.
 
1.5. Peculiarità del “partito delle confraternite”
Sono state qui ripercorse molto brevemente le vicende storiche che contraddistinsero la lotta politica a Scicli per oltre tre secoli. Si è cercato di mostrare come, raggruppato intorno a due confraternite laicali, il notabilato sciclitano si sia dato battaglia a suon di santi, processioni, legati ed elezioni, ma si sia sempre dimostrato compatto quando veniva messa a rischio l’autonomia della città (di fronte alle prepotenze di Palermo o Modica) o la propria supremazia politica.
Emergono però alcuni aspetti che distinguono la concentrazione del notabilato di Scicli attorno alle confraternite dai comitati teorizzati da Weber e Duverger. Innanzi tutto, la composizione interclassista delle confraternite permetteva una partecipazione alla vita politica cittadina anche delle classi più disagiate. Ovviamente, tale adesione era utilizzata in maniera strumentale dai maggiorenti, ma ha agevolato indubbiamente la formazione di una coscienza politica anche tra alcuni esponenti della plebe urbana.
In secondo luogo, le vicende che ruotano attorno all’eredità di Pietro Di Lorenzo hanno anticipato la nascita di una dialettica politica in città, grazie anche alla relativa autonomia amministrativa di cui Scicli ha goduto dapprima come territorio demaniale, e poi insieme al resto della Contea di Modica. Anche dopo l’avvenuta annessione al Regno d’Italia, le campagne elettorali non possono essere considerate gli unici momenti di confronto, giacché la loro preparazione era connessa alla gestione del patrimonio clientelare offerto dall’opera Busacca. Ciò assicurava
un’attività politica non proprio continuativa, ma per lo meno piuttosto frequente.
Infine, i notabili sciclitani hanno dimostrato in diverse occasioni una discreta tendenza al progressismo, pur trattandosi di posizioni sicuramente di comodo. La partecipazione ai moti del 1820, quando i Penna e gli altri maggiorenti di San Bartolomeo costituirono una “vendita”  carbonara, contrapposta alla loggia massonica degli Spadaro e dei marianisti, e l’entusiastica adesione alla spedizione garibaldina avevano indubbiamente l’obiettivo di far tornare l’amministrazione dell’opera Busacca a Scicli, ponendo fine al ruolo predominante di Palermo. In questo modo, essi avrebbero potuto beneficiare delle rendite per rafforzare le proprie posizioni.
Insomma, un progetto gattopardiano, che mirava a cambiare tutto per lasciare ogni cosa immutata.
 
 
2. Un socialismo “confessionale”
 
2.1. Primi esperimenti socialisti
La grave crisi economica che colpì l’Italia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento ebbe ripercussioni ancora più gravi in Sicilia, dove la conversione agro-colturale attuata da molti coltivatori non portò i guadagni sperati. Per di più, la politica agricola del Governo non premiava i nuovi imprenditori agricoli, che divennero così un’importante base d’ascolto per chi da tempo tentava di rivolgersi agli strati popolari per aggregarli e farne una forza politica autonoma.
Nel Modicano, a promuovere questa azione fu Giuseppe De Stefano Paternò, un giovane avvocato radical-socialista, con cui collaborò anche lo sciclitano Francesco Mormina Penna, avvocato e studioso del pensiero mazziniano.
La prima esperienza socialista si realizzò con la nascita dei Fasci dei Lavoratori, in cui confluirono operai, contadini, artigiani e alcuni piccoli imprenditori agricoli. A differenza di quanto avvenne nel resto dell’isola, i Fasci iblei non assunsero caratteri rivoluzionari, ma si mantennero sempre su un piano di assoluta legalità, limitandosi a proporre interventi di riformismo progressista.
Ciò non bastò, comunque, a garantirne la sussistenza: i ceti dominanti vedevano nell’esperienza portata avanti dal De Stefano una pericolosa organizzazione, che si contrapponeva al blocco dominante. L’azione repressiva decisa dal governo Crispi colpì dunque anche i Fasci del circondario modicano.
 
2.2. La penetrazione del metodismo
La presenza di confessioni non cattoliche nel territorio dell’attuale provincia di Ragusa risultava nell’Ottocento assolutamente marginale. Solo a partire dagli anni Ottanta di quel secolo, le ideologie protestanti iniziarono a trovare ascolto, in particolar modo a Vittoria e Scicli. In questa città, fu Giovanni Busi ad introdurre la dottrina evangelica nel 1897. Egli trovò seguito facilmente tra i braccianti e gli operai, costretti a lavorare in condizioni miserevoli.
Ma il radicamento della Chiesa metodista a Scicli fu soprattutto opera di Giovanni Gattuso di Brancaccio, un barone meridionale, ex garibaldino, che si fece promotore di un largo movimento operaio, basato sulla Società agricola e sulla Società operaia, che confluirono poi nei Fasci dei lavoratori. La repressione del governo Crispi portò in carcere anche lo stesso Gattuso, la cui opera di pastore fu proseguita a Scicli da Lucio Schirò.
Nato nel 1877 a Parco (oggi Altofonte, in provincia di Palermo), Schirò entrò in contatto con ambienti socialisti in Umbria, dove prestava servizio per la Guardia di Finanza. Abbandonata la poco amata carriera militare per dedicarsi all’opera pastorale, fu trasferito a Scicli nel 1908. Due anni dopo nacque in città, ad opera dell’avvocato Ignazio Piccione, la prima sede del PSI, che vide lo Schirò tra i più assidui frequentatori, tanto che, nel 1913, questi inizierà a pubblicare un quindicinale, dal titolo Semplicista!, che diverrà organo di informazione della locale Chiesa evangelica e del circolo socialista insieme. La pubblicazione sarà però interrotta dalla chiamata alle armi del direttore nel 1917.
 
2.3. L’attività politica di Schirò
Dopo il ritorno a Scicli, Schirò trovò una Sicilia profondamente cambiata: il caroviveri, la disoccupazione, i problemi della smobilitazione dell’esercito e le agitazioni sociali disegnavano il quadro del “biennio rosso”. Il circondario ibleo era in prima fila nel condurre la lotta, animato dal massimalismo socialista, che rivendicava il mito della rivoluzione russa e della dittatura del proletariato. Anche Schirò abbandonò così il cauto riformismo delle origini e assunse un impegno diretto in politica, accettando nel 1919 la carica di segretario provinciale del PSI.
Nel 1920, Scicli si preparava ad eleggere il nuovo consiglio comunale e i socialisti, guidati da Schirò, puntavano a diventare forza di maggioranza, arrivando anche a teorizzare, dalle pagine del Semplicista! il ricorso alla violenza: «Noi siamo disposti a tutto: se si vuole violenza, sarà violenza!  Colpiremo inesorabilmente e sicari e gaspanazzi e galoppini, ma terremo d’occhio anche i mandatari! Provveda chi deve, e stiano attenti i signori! Noi vogliamo che la lotta abbia un carattere civile, che proceda corretta e senza garbugli e allora lotteremo con serenità. Ma se dovessimo essere costretti a fare quel che nostro malgrado non vorremmo fare: noi siamo votati a tutto!»
La nuova linea massimalista del PSI ebbe successo: in provincia di Siracusa, i cittadini di undici comuni votarono in massa per i socialisti e ben otto di queste città appartenevano all’attuale provincia iblea. In altri otto comuni, tra cui il capoluogo, si affermarono invece i socialriformisti.
Lo stesso successo non si ripeté in altre aree della Sicilia e ciò contribuì a connotare Siracusa come la “provincia rossa” dell’isola, con il contributo determinante dei comuni iblei.
Con 1981 voti di lista, il PSI andò a costituire la nuova maggioranza consiliare, che elesse  Lucio Schirò Sindaco di Scicli. Il 6 novembre 1920 la bandiera rossa sventolò per la prima volta sul campanile di San Matteo, una consuetudine che si ripete ancora oggi in caso di vittoria elettorale delle sinistre. Schirò, nel suo discorso di insediamento al consiglio comunale, illustrò i punti focali del suo programma amministrativo: innanzi tutto, la povertà, contro la quale sottolineò l’impegno già portato avanti dai metodisti; in secondo luogo, la disoccupazione; infine, quello che oggi chiameremmo “stato sociale”, dalla scuola alla sanità.
 
2.4. La “normalizzazione” liberal-fascista
La radicalizzazione dello scontro sociale portò all’isolamento dei socialisti anche da parte della piccola borghesia agricola e commerciale, spaventata da una propaganda non sempre controllata. Si coagulò così un vasto e composito movimento di opposizione al PSI, che, ovviamente, vide in prima fila i notabili liberali. Sconfitta sul piano elettorale, l’oligarchia locale ricorse all’ultima risorsa disponibile, ossia la violenza squadrista. Nazionalisti, fascisti e plebaglia assoldata tra il sottoproletariato urbano organizzarono, sotto la guida del leader nazionalista modicano Stefano Rizzone Viola, diverse spedizioni punitive. Tra socialisti e metodisti, l’obiettivo privilegiato degli attacchi era sicuramente il sindaco Schirò.
La resa dei conti si consumò alla vigilia delle elezioni politiche del 1921. Anche a Scicli, come in tutta Italia, il “listone” liberal-democratico accolse esponenti fascisti, nell’obiettivo di ridurre drasticamente i consensi socialisti. Tra il 21 e il 25 aprile, inoltre, le violenze si intensificarono drammaticamente, finché i fascisti giunsero a penetrare in casa Schirò (dove si trovava anche la moglie incinta), imponendogli sotto la minaccia delle armi le dimissioni da Sindaco della città. «Il 22 vennero i fascisti forestieri ad impormi le dimissioni e gliele diedi. Avutele se ne andarono senonché il Direttorio Fascista locale mi mandò l’ingiunzione di abbandonare Scicli entro 24 ore con tutta la famiglia e malgrado le gravi condizioni della puerpera.
I mandatari mi confidarono che avevano avuto l’ordine tassativo di addivenire a qualunque azione, anche all’omicidio se avessi resistito». La prima Amministrazione a guida socialista della città durò in carica appena sei mesi.
Le elezioni politiche del maggio 1921 si svolsero così nella totale assenza di ogni confronto di idee e programmi. Grazie anche ad un elevatissimo astensionismo, il “blocco” liberal-fascista ottenne 43 mila voti in provincia di Siracusa (oltre cinque volte di più di quelli conseguiti pochi mesi prima), mentre il PSI passò dai 25 mila voti delle amministrative ai 4023 voti delle nazionali (poco influente in proposito la scissione comunista, visto che il nuovo gruppo porterà a casa appena
423 preferenze).
Nei mesi successivi, la “normalizzazione” si impose anche nei singoli Municipi. A Scicli, i  cittadini tornarono alle urne nel giugno 1922. Anche in quest’occasione, la costituzione di un “blocco” liberale, in cui erano confluiti tutti i notabili locali, dai Penna agli Scimone, dai Mormina ai Piccione, allargato anche ad esponenti fascisti, fu determinante. Le tradizionali élites ottennero 2550 voti e 24 seggi in Consiglio comunale, contro i 928 voti socialisti, che valsero loro appena sei seggi nel Consesso.
Il 12 luglio dello stesso anno, Schirò fu costretto a sospendere definitivamente anche la pubblicazione del Semplicista!, segnando la fine di un’esperienza politico-religiosa che ha segnato la storia della città. Caduto il fascismo, il pastore metodista riprese il suo ruolo politico attivo, ai vertici del PSI provinciale, ma l’orizzonte politico era ormai profondamente cambiato.
 
2.5. Un partito di massa socialista e confessionale
Il partito socialista capeggiato a Scicli da Schirò presentava tutti gli aspetti che la scienza  politica attribuisce in maniera connotante ai partiti di massa. Nato agli inizi del Novecento, sulla scia di esperienze precedenti già radicate in città, esso si proponeva di dare finalmente una coscienza politica ai ceti più disagiati, fino a quel momento strumentalizzati dai notabili. Per fare ciò, si presentava con un programma di ampie riforme sociali, che proverà anche a mettere in atto nei pochi mesi in cui si troverà ad amministrare la città. Il radicamento sociale del partito è dunque innegabile, così come la capacità di mobilitazione. Perfino sotto il profilo della comunicazione partitica, possiamo ritrovare quell’autonomia specifica del partito di massa, rivolta però potenzialmente a tutti. Il Semplicista!, infatti, rappresenta un esempio tipico del giornale di partito, legato in questo caso, anche ad una fede religiosa.
Proprio in questo si colloca l’anomalia del caso sciclitano. Il Partito Socialista, tradizionalmente aconfessionale, trovò a Scicli uno stimolo al radicamento nella diffusione dell’ideologia metodista. Le associazioni collaterali, che contribuiscono a seguire la vita dell’aderente al partito di massa “dalla culla alla tomba”, nel PSI di Scicli si intersecavano con quelle della Chiesa metodista: le scuole, prima di tutto, frequentate sia da protestanti che da cattolici, sia da bambini che da adulti (grazie ai corsi serali). Schirò accettava quasi con pudicizia
questo doppio ruolo, di guida politica e religiosa, tanto da ammettere, nel corso del suo primo discorso da Sindaco: «Io guardo questo posto e mi sento a disagio. Questo posto non è mio, è degli sciclitani. Il mio posto è alla Chiesa. Ben vengano i paesani a gridare “viva il Socialismo!”, io allora al loro grido esultante unirò la mia benedizione».
Il PSI sciclitano si colloca dunque all’incrocio tra due delle “fratture” indicate da Martin Lipset e Stein Rokkan come principio fondante dei partiti politici moderni. Da una parte, si può individuare il cleavage sociale, che, nell’assenza di uno sviluppo industriale, contrapponeva a Scicli i braccianti agricoli ai proprietari terrieri; dall’altra, sta invece il conflitto religioso, soprattutto in materia di istruzione, per la presenza di chiese metodiste che rivendicavano il loro ruolo formativo per i cittadini sciclitani, protestanti e non. A prevalere fu senza dubbio l’aspetto sociale, che si andò via via radicalizzando, sia per gli effettivi disagi della popolazione più umile, sia per l’intransigenza dimostrata dalla classe dirigente nei confronti delle richieste di costoro.
 

 
3. Alla conquista di un nuovo elettorato
 
3.1. Elettorato d’opinione e “volatilità”
Ancora per tutti gli anni Ottanta, a Scicli la fetta più consistente dell’elettorato era orientata  verso un voto d’appartenenza, basato sulla tradizione culturale familiare ed essenzialmente rivolto verso i due principali partiti esistenti, quello comunista e la Democrazia Cristiana. L’inizio degli anni Novanta scardinerà questo dualismo (solo in parte mitigato dalla presenza del Partito Socialista) per gli eventi che si verificheranno non solo a livello nazionale, ma anche in città, e che vedranno al centro della scena proprio il PSI.
Ciò che qui interessa puntualizzare, però, è la reazione dell’elettorato a queste vicende. In tal  senso, è interessante notare come ad aver pagato lo scotto della crisi sia stato in misura maggiore il  partito che fino ad allora aveva dominato quasi indisturbato la scena politica locale, ossia il PCI. La  sua eccezionale solidità crollò improvvisamente. Ma soprattutto, mutò profondamente il modo di
rapportarsi dei cittadini nei confronti di quello che fino ad allora era stato visto come un baluardo della politica locale, e che adesso appariva solo come una delle forze in lotta, per di più ritenuta,  probabilmente a torto, corresponsabile degli scandali di quegli anni. La scomparsa della DC, che in un primo tempo era riuscita a mantenere un buon numero di consensi, susciterà poco dopo un forte  senso di disorientamento anche nell’elettorato moderato. Si può parlare così anche a Scicli della  nascita di un elettorato d’opinione, turbato dagli agitati eventi politici, nazionali come locali.
In questo contesto cercarono di inserirsi partiti e movimenti liberi da condizionamenti ideologici, più o meno privi di radicamento nel territorio e votati essenzialmente alla conquista di incarichi pubblici, fonte di capitali da ridistribuire in parte attraverso i processi dello spoil system.
Si registra, cioè, uno spostamento ideale dei partiti: inizialmente collocati totalmente all’interno della società civile (partiti dei notabili), essi si erano posti inizialmente come mediatori tra la società e lo Stato (partiti di massa) per poi, infine, essere assorbiti all’interno di questo (partiti pigliatutto, partiti di cartello). In Italia non si è ancora verificato un assestamento dell’assetto partitico, così le commistioni tra formazioni politiche di tradizione differente continuano a ridisegnare il quadro entro cui gli elettori devono effettuare le loro scelte, sia a livello nazionale che locale.
 
3.2. Scicli “scende in campo”
Tra le formazioni politiche nate in Italia nei primi anni Novanta, quella più innovativa, sul piano stilistico e organizzativo, è senz’altro Forza Italia. La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi suscitò un’euforia tale da permettere a questo partito di divenire la prima forza politica italiana a pochi mesi dalla sua nascita.
Anche Scicli non fu da meno. Il club azzurro in città nacque a ridosso delle elezioni politiche del 27 marzo 1994. Ne entrarono a far parte personaggi provenienti da esperienze fortemente differenziate (molti socialisti, ma anche repubblicani, liberali, democristiani), pochi però con trascorsi politici degni di nota, almeno in un primo momento.
La singolarità organizzativa del partito di Berlusconi, con club legati fra loro solo dalla fedeltà al leader comune, andò via via scemando, fino a far avvicinare la struttura interna di Forza Italia a quella di un partito tradizionale. A Scicli, l’assenza di personaggi in grado di addossarsi e mantenere ruoli di responsabilità ha reso ancor più travagliata la storia del club locale. Non è un caso se, escludendo le prime tornate elettorali, influenzate dall’entusiasmo iniziale, i consensi di Forza Italia a Scicli sono sempre stati molto elevati in occasione delle elezioni politiche ed europee, mentre crollano inesorabilmente quanto più è ristretto territorialmente l’ambito di voto. È interessante notare, inoltre, come vi sia una forte mobilità di aderenti al partito. Alle numerose “salite sul carro” dei primi tempi, si contrappongono le importanti defezioni degli anni successivi, soprattutto a vantaggio di partiti e liste civiche sempre di centrodestra, ma di orientamento più moderato.
Recentemente il partito non è stato in grado neppure di esprimere una propria leadership interna, tanto da doversi affidare ad un commissariamento bicefalo, ossia in mano ai due uomini di maggior peso in provincia: il senatore Riccardo Minardo e il deputato regionale Innocenzo Leontini, sempre impegnati in un reciproco controllo, atto a contendersi la leadership provinciale del partito.
I risultati elettorali rispecchiano le alterne fortune di Forza Italia a Scicli. Da un forte entusiasmo iniziale, che portò il partito di Berlusconi ad avere ben sei consiglieri comunali nel 1994, si passò ad un momento di stanca, reso più evidente dal “vento di sinistra” di quegli anni, nel 1998, quando si riuscì ad ottenere un solo seggio (con un terzo dei voti rispetto a quattro anni prima); una parziale rimonta si ha nel 2003, frenata però dalla clamorosa bocciatura riservata dai cittadini al candidato a Sindaco che proprio Forza Italia aveva proposto alla propria coalizione.
Se già risulta difficile classificare Forza Italia, così come si è sviluppata in ambito nazionale, all’interno degli schemi tradizionalmente offerti dalla Scienza Politica, tanto da indurre alcuni studiosi a coniare nuove espressioni, quale “partito mediale”, tali difficoltà aumentano quando si cerca di definire l’esperienza sciclitana del partito dei club. Infatti, l’intenso ricorso ai media è certamente legato alla leadership nazionale ed ha poco riscontro in ambito locale. Più similarità si riscontrano piuttosto con il “partito di cartello”, caratterizzato da una base partecipativa ridotta, con una conseguente professionalizzazione dell’attività politica, e da una ricerca del consenso capital intensive, allo scopo di controllare le leve del potere e ricompensare gli elettori fedeli con la distribuzione delle “spoglie”. Il limite maggiore, in questo caso, consiste nelle difficoltà che Forza Italia di Scicli ha incontrato per introdursi nelle “stanze dei bottoni”: mai al governo della città, a lungo tempo scarsamente rappresentata in Consiglio, mai in grado di esprimere rappresentanti negli enti territoriali superiori. In questo modo si spiega probabilmente il mancato radicamento di Forza Italia nell’elettorato sciclitano, nonostante questo abbia dimostrato di essere legato alla politica dello spoil system, anche in occasione delle elezioni comunali del 2003.
 
3.3. I petali della Margherita
L’allontanamento dell’elettorato dagli schemi di appartenenza del passato ha favorito, come si è detto, l’emergere di esperienze partitiche nuove. Ma se Forza Italia risulta totalmente priva di radici politiche precedenti, se non nella figura di alcuni suoi esponenti e del suo stesso leader, legato a doppio filo al socialismo craxiano, in Democrazia è Libertà – La Margherita le radici sono state, e rimangono tutt’oggi, ben evidenti. In effetti, la Margherita era nata come un semplice cartello elettorale, tanto che nello stesso simbolo erano ancora riportati quelli dei partiti fondatori. Fu, in quel caso, il successo elettorale (seppur relativo, nel dilagare della Casa delle Libertà) a determinare la scelta della fusione, con la conseguente scomparsa nel logo dei riferimenti ai partiti precedenti e, in un secondo tempo, al leader Rutelli.
A Scicli, la Margherita trasse origine da due gruppi già attivi in città: il primo derivava direttamente dalla Democrazia Cristiana, attraverso il Partito Popolare Italiano, nato dalle correnti di sinistra della stessa DC; il secondo nacque con la Rete di Leoluca Orlando, poi inglobata all’interno dei Democratici di Prodi e Parisi. Entrambi potevano contare su un buon radicamento in città, soprattutto il gruppo dell’asinello, espressione del Sindaco in carica e partito di maggioranza relativa in Consiglio Comunale. Il riscontro elettorale non mancò: la Margherita risultò primo partito cittadino sia alle elezioni regionali che alle provinciali del 2001 e in quest’ultima occasione riuscì addirittura a far eleggere entrambi i candidati sciclitani al Consiglio provinciale.
I successi delle urne nascondevano però delle forti difficoltà organizzative, tra due componenti tradizionalmente poco inclini al dialogo reciproco (si ricordi che alcuni fondatori della Rete in città imitarono il leader Orlando e abbandonarono la DC sbattendo la porta). La goccia che fece traboccare il vaso fu la grave battuta d’arresto in occasione delle elezioni comunali del 2003, allorquando la Margherita, pur riuscendo a confermare il Sindaco uscente, dimezzò i propri voti,
lasciando ai Democratici di Sinistra la leadership interna alla coalizione e retrocedendo al quinto posto assoluto. La scelta del proprio rappresentante in Giunta determinò poi una spaccatura tutta interna alla componente ex PPI. Mentre i maggiorenti popolari sostenevano la candidatura del coordinatore cittadino del partito, il Sindaco scelse un altro esponente di quel gruppo. Si determinarono così due fazioni: da una parte gli ex Democratici e una parte della base ex PPI (a sostegno del nuovo Assessore), dall’altra i maggiorenti popolari, alleati, in sede provinciale, con un gruppo di ex socialisti facenti capo al Deputato regionale Sebastiano Gurrieri.
La stagione congressuale dell’autunno successivo si svolse in un clima arroventato e sancì l’affermazione interna del gruppo popolar-socialista, che poté contare sulle strategie di tesseramento tipiche della Democrazia Cristiana, contro un trascorso movimentista e, quindi, di adesione informale, dell’altra componente. Gli stessi equilibri si ripresentarono in ambito provinciale, laddove lo sciclitano Antonino Gentile fu eletto Coordinatore della Margherita iblea, con l’essenziale supporto del Sindaco di Ragusa Solarino e dell’on. Gurrieri.
Il fatto stesso di aver unificato esperienze politiche fortemente differenti dimostra come la Margherita si inserisca, a Scicli come nel resto d’Italia, nel filone dei “partiti pigliatutto”. La rinuncia alle singole ideologie di cui si erano fatti portatori fino ad allora, unificandole in un partito che si rivolge indistintamente all’intero elettorato, e alle forme organizzative precedenti ha rappresentato per le componenti della Margherita uno sforzo non indifferente, che ha portato inizialmente all’instabilità descritta. Il fatto poi che gran parte degli iscritti, al momento del congresso cittadino, non fossero a conoscenza degli scontri interni al loro stesso partito, dimostra come la relazione tra i membri ordinari e i leader sia di tipo top-down, laddove l’élite dirigente organizza e dirige a proprio beneficio la base.
Se vogliamo scendere più nel dettaglio, è possibile anche dare una definizione teorica alle componenti su descritte, ancora ben evidenti a Scicli. Il gruppo di maggioranza interna richiama nei propri atteggiamenti politici il modello del “partito clientelare di massa”, descritto da Caciagli in relazione alla Democrazia Cristiana catanese: il mercato delle tessere, gli interessi di parte, il  clientelismo, ma anche i legami con rappresentanti istituzionali di rango superiore e la capacità di persuasione nei confronti dei cittadini. Sul lato opposto, è ancora palese il carattere “movimentista” degli ex retini, con una modesta base di iscritti (compensata da un consenso elettorale piuttosto ampio), una scarna organizzazione interna e, soprattutto, una decisa intransigenza sulla “questione morale”. In mezzo, i “transfughi” popolari, chiusi nel limbo di una condivisione dei valori morali di una parte, ma ancora legati alla struttura organizzativa della componente di origine.
 

 
4. Novità e tradizione sul finire del XX secolo
 
4.1. Nuove forme di partecipazione politica
L’indebolimento delle tradizionali forme di partecipazione politica, prima fra tutte il partito di massa, ha portato ad effetti differenziati. Se, da una parte, la creazione di nuovi modelli di partito ha ripreso alcuni aspetti preesistenti, anche se in maniera non prevalente, dall’altra è possibile individuare soggetti politici innovativi. Tali inedite caratteristiche possono riferirsi tanto alle forme organizzative interne, quanto alle issues che vengono presentate all’attenzione degli elettori.
I partiti politici nati in seguito all’allargamento del suffragio avevano il fondamentale obiettivo di favorire l’integrazione sociale delle masse, che per la prima volta erano coinvolte all’interno dei processi decisionali. Tuttavia, emerge come gli stessi partiti si siano progressivamente allontanati dalla società civile, fino ad essere considerati quasi parte integrante delle istituzioni. Il vuoto che si è venuto così a creare è stato occupato in parte dalla nascita di numerosi movimenti, che mirano a spostare il policy making verso luoghi più visibili e controllabili.
Non si può comunque parlare di una totale indipendenza di tali movimenti dai partiti tradizionalmente intesi. Anzi, mentre i movimenti tendono ad influenzare il programma politico dei partiti, questi mirano spesso a cooptare le nuove aggregazioni. In particolare, sono le formazioni politiche di sinistra ad aver offerto maggiori possibilità di confronto in questo senso.
Ma si è detto che a mutare non sono solo le forme di partecipazione, ma anche le tematiche oggetto di discussione. Ai vecchi cleavages proposti da Lipset e Rokkan se ne sono aggiunti degli altri, basati sulle mutate condizioni della società contemporanea. In particolare, il diffuso stato di benessere dell’Occidente ha progressivamente indebolito i valori di tipo materialistico, favorendo l’emersione di tematiche post-materialistiche, quali l’espansione della libertà d’opinione e della democrazia partecipativa, ma anche la difesa dell’ambiente.
In una piccola cittadina siciliana, qual è Scicli, l’indebolimento dei partiti tradizionali è stato rallentato sia dal profondo radicamento di questi all’interno della società, vuoi per le ideologie di cui erano portatori o vuoi per i rapporti clientelari che essi avevano instaurato, sia dalle perduranti condizioni di arretratezza economica, che hanno reso possibile solo di recente lo spostamento di interesse verso tematiche post-materialistiche. La prima esperienza “movimentista” di una certa importanza è stata rappresentata dalla Rete di Leoluca Orlando, che ha trovato a Scicli ampi consensi; caratteristiche del tutto diverse ha invece il Comitato per Scicli, presente in città da circa dieci anni.
 
4.2. La Rete e la “questione morale”
«La DC è un partito che non può essere riformato dall’interno. Restare dentro i partiti, in generale, è come continuare a giocare in un campo di calcio allagato, dove ci si muove senza ottenere alcun risultato». Con queste parole, il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando annunciava anche agli sciclitani il suo addio alla Democrazia Cristiana e la nascita di un nuovo movimento, “La Rete”, «uno strumento utilizzato per comunicare con la gente normale, che non vuole sentire parlare il politichese, ma una lingua più comprensibile, diretta, legata alla quotidianità». In effetti, così come a Palermo, anche in provincia di Ragusa il nuovo movimento trovò subito calorosi consensi. Ma fu in particolare a Scicli che esso riuscì ad attecchire, come dimostrato non solo dai risultati elettorali (i migliori dell’area iblea), ma anche dalla solida tradizione che la Rete sciclitana riuscì a costruire, tanto che, ad oltre dieci anni dalla sua nascita, è ancora possibile ritrovare profonde tracce di quell’esperienza nel panorama politico cittadino odierno.
                                                
A Scicli, le origini del movimento di Orlando sono da ricercare in alcuni ambienti
ecclesiastici, critici nei confronti della Democrazia Cristiana, e nell’attività culturale del Circolo “Vitaliano Brancati”. Ad aderire furono subito non solo i suddetti rappresentanti della cultura cattolica, ma anche alcuni fuoriusciti del PCI e molti laici, fino ad allora lontani da un impegno politico attivo. In città, comunque, la Rete mantenne un orientamento palesemente di sinistra, a differenza di altre zone della Sicilia, in cui era presente anche una componente di destra.
La Rete trovò quindi a Scicli un terreno fertile, anche perché era sempre più diffuso il malcontento nei confronti di un sistema di potere ormai ventennale, nelle mani di gruppi politici legati al settore dell’edilizia. Rimandando le spiegazioni più dettagliate, qui basta anticipare che le clientele e le lotte fratricide (spesso al calor bianco) all’interno dei partiti portarono, tra la fine del 1991 e l’estate del 1992, prima all’arresto di alcuni componenti la Giunta municipale e, poi, allo scioglimento del Consiglio comunale su decreto del Presidente della Repubblica, per presunte infiltrazioni mafiose. In realtà, apparve chiaro a molti (e la magistratura lo chiarì in seguito) come la matrice di quei fatti fosse politica più che mafiosa. E proprio la neonata Rete fu tra le prime a denunciare questo stato di cose.
Il primo appuntamento elettorale per il movimento di Orlando furono le elezioni regionali del 1991. Nonostante non ci fossero candidati locali (il gruppo era ancora troppo disorganizzato), la Rete raccolse più di 5 mila voti in provincia, di cui 772 a Scicli. Già l’anno successivo, apparve evidente come il gruppo di Scicli fosse il più adatto a guidare la Rete iblea: sia per la Camera che per il Senato erano infatti presenti due candidati sciclitani e di questi il primo, Mario Occhipinti, non riuscì ad essere eletto per poco più di 600 preferenze nella circoscrizione della Sicilia orientale.
La prima esperienza amministrativa della Rete durò solo un anno: eletta nel 1994, la Giunta guidata dal diessino Lonatica, con la retina Franca Carrabba nel ruolo di Vicesindaco, si dimetterà l’anno successivo, soprattutto per una propria debolezza caratteriale.
Inizierà invece nel 1998, quando ormai la Rete si preparava a confluire nei Democratici di Prodi, quel ciclo che vede ancora Bartolomeo Falla (allora Consigliere uscente della Rete) Sindaco di Scicli. La sua candidatura nacque in una fase travagliata per il centrosinistra, tanto che la coalizione presentò in quella tornata elettorale tre diverse proposte agli elettori, tra cui, appunto, quella di Falla, sostenuto, oltre che dalla lista Rete-Verdi, anche da Rifondazione Comunista. In testa sin dal primo turno, Falla si affermerà al ballottaggio con 3000 voti in più rispetto al concorrente diessino.
È questa ancora la traccia più evidente che la Rete ha lasciato nella vita politica sciclitana. Ma non è certo l’unica. L’elezione di Mario Occhipinti al Senato nel 1996, la candidatura di Paolo Nifosì alle elezioni europee del 1998 (sotto il simbolo dei Democratici) e gli ottimi risultati, con la Margherita, di Franco Susino alle regionali e alle provinciali del 2001, nonché la riconferma di Falla nel 2003, stavolta sostenuto dall’intero centrosinistra, dimostrano come da tredici anni quel gruppo di persone, politici per vocazione piuttosto che per professione, continua a mietere consensi a Scicli, ma anche nel circondario, sia negli ambienti politici che nell’elettorato.
Ma ciò che è più interessante sottolineare, ai nostri fini, è la persistenza di un carattere “movimentista”, anche all’interno di un partito più solido, quale la Margherita, che rappresenta l’ultima tappa del percorso politico svolto dalla Rete. L’effetto più evidente di ciò si ha mettendo a confronto gli equilibri interni del nuovo partito: se sul piano elettorale si ha una decisa superiorità della componente oggetto di analisi, questa subisce invece una carenza organizzativa rispetto alle iscrizioni formali, dovendo così cedere la leadership interna alla componente ex popolare. In questo influisce anche, probabilmente, la costante attenzione rivolta alla “questione morale”, da cui le accuse di intransigenza e di khomeinismo, che sottopone il gruppo ad una costante autocritica. Per cui, inserirsi in quella compagine significa inevitabilmente rinunciare ad una politica di basso profilo e mantenere l’etica come punto di riferimento essenziale. Questo, probabilmente, scoraggia i più.
 
 
4.3. Un nuovo “comitato”
Come già detto, nel 1995, appena un anno dopo il suo insediamento, la Giunta di
centrosinistra retta da Giuseppe Lonatica rassegnò le proprie dimissioni. I cittadini sciclitani tornarono così alle urne per eleggere il nuovo Sindaco, rimanendo immutata la composizione del Consiglio comunale. In una situazione di questo tipo, appare evidente come una candidatura personale abbia più possibilità di emergere rispetto ad elezioni in cui i partiti presentino i propri simboli. Ed in effetti, al di là di ogni previsione della vigilia, si verificò proprio questo. Rispetto ai candidati di centrosinistra, Vincenzo Agosta, e di centrodestra, Pietro Sparacino, emerse l’ex repubblicano Adolfo Padua. A sostenerlo fu un gruppo di persone con retroterra politico-culturali fortemente differenziati, ma anche molti professionisti fino ad allora poco impegnati nella politica attiva. Sostanzialmente, Padua riuscì ad aggregare il consenso di un vasto ceto moderato- conservatore, cui si aggiunsero alcuni personaggi vicini alla sinistra, ma delusi dal comportamento di quei partiti, ritenuti a torto responsabili della caduta di Lonatica. Da quell’esperienza nacque il “Comitato per Scicli”.
Probabilmente in modo inconsapevole, i fondatori della lista civica scelsero per la stessa una definizione politologicamente appropriata. L’organizzazione interna ricorda infatti proprio i comitati notabilari ottocenteschi, sorti attorno ad un leader da far eleggere. Ottenuto l’obiettivo, l’impegno politico continuava per il solo rappresentante istituzionale, mentre gli altri rimandavano il vincolo alla tornata elettorale successiva. Così anche a Scicli, a circa un secolo di distanza, l’esperienza si ripropose in maniera simile. Inizialmente, solo un gruppo di “notabili” locali si riunì attorno alla candidatura di Padua. Attraverso questi, poi, si cercò di contattare anche persone di livello sociale meno elevato, raggiungendo all’incirca il numero di cinquanta comites attivamente impegnati. I tre anni dell’amministrazione Padua rappresentarono il periodo d’oro del Comitato per Scicli. L’assenza di una maggioranza consiliare costringeva la Giunta a ricercare un dialogo con tutti i partiti, ma allo stesso tempo ad intraprendere una politica più che apartitica, quasi apolitica, cioè priva (a parere degli oppositori) di progettualità di ampio respiro. Un elemento positivo di quell’esperienza amministrativa fu però sicuramente l’aperto confronto politico, privo di preconcetti basati sulle rispettive appartenenze. Non a caso, il Comitato non ha mai voluto assumere una posizione preconcetta all’interno delle due coalizioni prevalenti, fino a subire per questo motivo una scissione interna. Adolfo Padua, infatti, dichiarò nel 1998 il proprio sostegno all’alleanza di centrodestra, mentre la lista civica presentò un proprio candidato autonomo. Tale scelta si spiega con una scelta centrista ritenuta irrinunciabile, nonché alle difficoltà dichiarate nell’intraprendere un dialogo con le forze collocate agli estremi delle due coalizioni, Alleanza Nazionale, da una parte, e soprattutto Rifondazione Comunista, dall’altra. La tendenza centripeta di AN, rispetto all’intransigenza del partito di Bertinotti, ha indotto infine il Comitato per Scicli a sostenere la candidatura del candidato della Casa delle Libertà, Manenti, nel 2003, nonostante Falla avesse lasciato aperto uno spiraglio nella possibilità di un accordo. Ma se già alle origini l’attività istituzionale risultava in parte separata da quella politica del gruppo, ancor di più nell’attuale legislatura l’unico rappresentante in Consiglio comunale si trova spesso ad agire autonomamente, mentre solo per le questioni più rilevanti si riuniscono i componenti della lista civica, al fine di assumere una posizione condivisa. Il progressivo disimpegno di molti aderenti, la maggior parte dei quali confluita nell’UDC al seguito di Padua, farebbe supporre una prossima sparizione del Comitato per Scicli dal panorama politico locale, con una conseguente diaspora dei suoi aderenti.
L’unica alternativa possibile appare al momento la ricerca di un nuovo leader carismatico, che possa raccogliere il consenso del ceto medio, così come lo era Padua. Ma se il radicamento del bipolarismo rende praticamente impossibile la costruzione di una forza centrista autonoma, il definitivo inserimento all’interno della coalizione di centrodestra farebbe rischiare al Comitato una nuova scissione che ne ridurrebbe ulteriormente le forze.

Rudy Francesco Calvo
anno accademico 2003/04