Un crocifisso
di Redazione


Scicli – Venerdì 8 aprile è San Guglielmo.
Gli uffici pubblici fra cui il Comune, saranno chiusi.
“In occasione della festività del beato Gugliemo, vissuto tra la seconda metà del trecento e i primi del Quattrocento a Scicli, voglio presentare un Crocifisso di estremo significato iconografico e iconologico -scrive lo storico dell’arte Paolo Nifosì-.
L’antefatto.
Diversi anni fa nel leggere un volumetto di Giovanni Parisi dal titolo Il beato Guglielmo di Scicli, eremita francescano, edito a Torino nel 1958, tra le altre poche immagini in bianconero era pubblicata la fotografia di questo crocifisso. Una piccola fotografia di cui appena si intuiva l’importanza. Ne scrissi nel 1985 in un intervento pubblicato nel Notiziario storico di Scicli, nel primo fascicolo edito dal Comune col titolo L’Urna del Beato Guglielmo di Scicli. Si tratta di una piccola croce di 12 centimetri, una lamina in bronzo dorato, a sbalzo, racchiusa in una custodia d’argento e incastonata su legno: si tratta di una rarissima testimonianza figurativa della cultura medievale italiana. Il Cristo crocifisso indosssa il colobio, una tunica sacerdotale priva di maniche. A destra e a sinistra, sui bracci della croce, vi sono le parole greche, in parte contratte, che in italiano significano ” Ecco il tuo figlio” ed “Ecco la madre tua”, ad indicare San Giovanni Evangelista e Maria, rappresentati sulla estremità dei bracci in modo abbastanza sommario. Il Cristo è crocifisso con quattro chiodi, uno per ogni arto; poggia i piedi su un suppedaneo, sotto il quale c’è un teschio e delle ossa che alludono ai resti mortali di Adamo e ha il capo reclinato e nimbato:.La lamina è conclusa in alto con la rappresentazione del sole e della luna e da una forma composta da due lobi in basso e da tre punte in alto, alludenti, con ogni probabilità, alla doppia natura umana e divina del Cristo e alla Trinità. Una lastra medievale che resta ancora difficile capire come sia stata in possesso del beato Guglielmo. Di quest’opera dopo il mio intervento se ne occupato Vittorio Rizzone in uno studio sull’Archivum Historicum Muthicense”.
Foto di Peppe Occhipinti
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