L'interesse dello scrittore per la pittura
di Annalisa Stancanelli

Siracusa – Nella settimana tra il 18 e il 25 luglio a Siracusa sono ricordati il pittore Caravaggio per la morte avvenuta a Porto Ercole nel 1610, e Vittorini per la sua nascita avvenuta a Siracusa il 23 luglio 1908.
«Anche nella pittura la società trova la sua storia e non solo nell’illustrazione che la pittura può darne ma nell’umore che una pittura può avere e nella concezione del mondo che può contenere, come fatto pittorico di per se stesso, come stile, come arte». Così scrisse Elio Vittorini nel maggio del 1946 in uno dei suoi interventi sul “Politecnico” dedicato a Gentile Bellini.
L’intellettuale siciliano si interessò di pittura sin dal soggiorno fiorentino negli anni Trenta, quando ebbe l’occasione di recensire mostre per le riviste culturali alle quali collaborava, ma la passione per l’immagine e il gusto della ricerca dei particolari divennero più intensi qualche anno dopo quando Bompiani gli chiese di occuparsi dell’apparato iconografico della collana Pantheon, teatrale e letteraria.
Dalle lettere scambiate con l’editore e con i collaboratori, con i traduttori dei vari libri e con amici negli anni 1940-42 emerge un’attività frenetica di Vittorini in relazione alla ricerca di immagini, di testi. Elio relaziona sulle sue visite nelle librerie antiquarie, su appuntamenti e viaggi nei vari Istituti culturali stranieri in Italia.
«Da anni mi domando cosa sia la pittura oggi per gli uomini o che cosa almeno potrebbe essere», si chiedeva Vittorini nel 1942 e a quella domanda cercò di rispondere nelle introduzioni ad alcuni classici della letteratura italiana e straniera da lui curati per l’Einaudi alla fine degli anni Quaranta disquisendo di Giotto, «il pittore nel cui stile si pensa di trovare il corrispettivo visivo di Boccaccio» (Decamerone, Einaudi 1949), Dosso Dossi, Piero di Cosimo e Cosmè Tura, Longhi e Pieter Bruegel il Vecchio.
Fu l’arte “inquieta” del pittore Caravaggio però a stimolarlo ad una lunga riflessione critica, un articolo dal titolo “La campana del Caravaggio” pubblicato su “La Stampa” nel 1951. «Caravaggio – scrive Vittorini – non offre a chi guarda la scelta fra capire e non capire (…), la sua pittura contiene una verità poetica e insieme una verità apparente o volgare. In quella ha la sua bellezza effettiva che non si lascia penetrare da chi non sia preparato; in questa ha il suo “inganna occhio” che è sempre di un’evidenza assoluta; e chi non capisce il pittore nella prima, dove solo conta capirlo, può tuttavia non respingerlo, e può accettarlo, perché crederà che la cosa da capire di lui, sia la seconda. Crederà che sia l’ombra di sporco di un piede, il cipiglio spaventato di una fronte, la bocca aperta e gli occhi gonfi di una testa mozzata e insomma il significato meccanico che il Caravaggio appiccica ad ogni gesto o volto delle sue figure, rendendo con esso più inaccessibile la bellezza intrinseca del tale o talaltro particolare».
Caravaggio per Vittorini formicola di “viziose” inclinazioni alla teatralità, all’espressività «e se è vero che la sua potenza stilistica riesce ad annullarle, o almeno a contenerle», avverte l’intellettuale siracusano «è anche vero che chi non afferra l’imponderabile del suo stile si trova riconfermato, dal fascino oratorio di quei suoi viziacci, in tutti i suoi preconcetti sull’arte».
Nella foto, Il seppellimento di Santa Lucia, di Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio, quadro custodito in Ortigia
© Riproduzione riservata