Cultura
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19/04/2010 23:33

Vivere Vulcanicamente

Vulcano che sarà brutto, sciancato e cornuto, ma è il dio degli artigiani e dei fabbri!!

di Redazione

Nonostante la polvere nera, gli incendi, i disastri e i terremoti, nonostante il vulcano spaventi la gente e cambi orografie e paesaggi, nonostante Vulcano sia un dio zoppo.

Nonostante sia il marito tradito di Venere, “vulcanico” è un magnifico complimento: l’aggettivo del genio, la  forma più apprezzata del talento.

Vulcanico è il carattere intraprendente e iperattivo. Vulcanica è l’intelligenza che sorprende e che conquista. Vulcano è la vita sovraeccitata che lascia sempre a bocca aperta e si fa beffe della presunzione dell’uomo, della scienza, delle previsioni matematiche, deIla tecnologia e anche della religione perché il magma non fa sconti neppure ai santi.

E difatti, quando il vulcano si sveglia e fa sul serio, anche vescovi e parroci se la danno a gambe levate, proprio come i contadini e come i vulcanologi che pure sono dotati di sensori in cielo, in terra e in mare.
Chi, come me, è cresciuto alla pendici di un vulcano sa bene che gli spasmi giganteschi dei titani sepolti sotto queste montagne plasmano il carattere dell’uomo, gli tolgono la progettualità, lo rendono instabile perché lo privano di futuro, gli fanno amare l’ozio, quel demonio che sul vulcano impazza a mezzogiorno, quando il sole è allo Zenith, il pensiero è cattivo e l’aggressività biochimica trasforma persino il soldato di Cristo in miles diaboli

E però gia Tocqueville notava il paradosso del disastro buono. Inaspettatamente – vulcanicamente -la minaccia della distruzione può diventare progresso e rilancio.


Dunque Tocqueville attribuiva al vulcano il paesaggio agrario della Sicilia orientale e lo contrapponeva a quello della Sicilia occidentale: la cultura irrigua contro la cultura secca. Secondo lui i feudatari, spaventati dal magma, frammentavano le grandi proprietà a favore dei contadini che coltivavano a vite i loro piccoli terreni. La vulcanicità era capacità di creare reddito, di inventare coltivazioni, di domare la terra forte.

La montagna agiva come riformatore agrario e alla plaghe cereaIicole sostituiva mille vigneti: da un parte Proserpina e dall’altra appunto Vulcano che sarà brutto, sciancato e cornuto, ma è il dio degli artigiani e dei fabbri, degli scalpellini e dei minatori, di tutti quelli che estraggono ricchezza e aggiungono valore alle cose.
Dobbiamo al paradosso di Tocqueville, alla catastrofe come resurrezione, anche le meravigliose spiagge nere di Stromboli, che sono depositi di quella stessa cenere che nei cieli d’Europa sta spegnendo gli aerei.

Il vulcano è il solo distruttore che è anche costruttore. Alimentando per esempio le terme solforose delle isole Eolie: turismo e benessere fisico. O ancora trasformando il nero che spaventa nel nero che affascina e seduce: l’architettura lavica è tra le più belle e ricercate del mondo, dalla Sicilia al Giappone, ed è architettura in bianco e nero, che sono i colori dei vulcani appunto, i colori della mia infanzia: il bianco della neve e il nero della lava, il bianco del cielo di scirocco e il nero del vino, il bianco del latte di mandorla, il bianco e nero della granita di caffè con panna, la ricotta e la seppia, le facciate degli edifici, gli occhi e i capelli delle ragazze, i veli delle donne e le lenzuola ai balconi. Anche la vita vulcanica è bianca e nera, eccessi senza sfumature, senza intermediazioni.

Persino i terremoti vulcanici, come quello deI 1693, furono la catastrofe di un vecchio mondo e la fondazione delle città barocche.


Infine solo chi è salito sulla cima di un vulcano ha un’idea del nulla. Pasolini vi ambientò l’inferno. Marinetti, colpito dall’eruzione del 1923, vi andava in pellegrinaggio e ne fece il protagonista di una piece teatrale: il vulcano come stato indipendente, miniera di uranio e di zolfo, centrale termica lunare, condizionatore d’aria, polo salutista, vetta più vicina a Dio, industria del forestiero, terra ferace di vini, sede di una politica magmatica, patria di una razza di superuomini: i saraceni-salamandre.
 

 

E sono tutti uguali i vulcani del mondo come lo sono gli uomini che pure hanno storie diverse: il fuoco dentro, le esplosioni, i lapilli, i tremori, la luce accecante, l’aggressività del gatto che ronfa, il suolo arido, il diavolo pasoliniano che si nasconde nella bellezza della natura e che non ha spiegazioni umanistiche.
La violenza del magma non è dovuta alla lotta di classe nè al capitale di Marx, le eruzioni non sono le conseguenze di un maltrattamento del territorio, non c’entrano il capitalismo né l’effetto serra, l’uomo non è più protagonista, non ha alcuna responsabilità diretta o indiretta perché in fondo al vulcano c’è la cosa in sé, l’energia primordiale che non possiamo assumere neppure in modica quantità: il suo fumo nero sta appannando lo specchio dell’ homo faber, lo specchio di Narciso.
Quando si muove, quando impone il suo respiro, il vulcano apre bocche dove nessuno se lo aspetta e in meno di mezz’ora incendia frutteti e pini, sradica case e tradizioni, sgretola certezze e disvela il carattere degli uomini.

E distrugge persino se stesso, quello della retorica, delle incisioni e dei poeti, dei mitografi, dei filosofi e degli economisti. ll vero vulcano d’Islanda mai più tornerà a essere quello che permise a Giulio Verne di arrivare sino al centro della Terra.

Sarà per sempre questo che spinge sino in cielo il midollo del pianeta, toglie all’Europa la linfa degli affari, imbalsama i trasporti. 

Il misterioso vulcano islandese è la bava del mondo che sconfigge l’artifizio più astuto e raffinato: nei suoi spruzzi affoga l’Occidente che ha scalato il cielo.