Cultura
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09/03/2014 21:48

Willem Dafoe, lo sciclitano, è il Pasolini di Abel Ferrara

Il film è quasi terminato

di Redazione

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Luigi Nifosì e Willem Dafoe
Luigi Nifosì e Willem Dafoe

Roma –  Willem Dafoe, lo sciclitano, diventa Pierpaolo Pasolini. L’intellettuale più controverso e visionario del 900 italiano, che di Scicli scrisse una pagina memorabile.

Nel suo Pasolini, che pronuncia con la esse doppia, e che cova da più di vent’anni, il regista americano, di origine partenopea Abel Ferrara (il nonno Abele era di Sarno) ha inserito tre scene di Teo-Porno-Kolossal e due di Petrolio, l’altra opera incompiuta: «Posso entrare nella sua mente solo attraverso questa sceneggiatura e questo romanzo, non so nulla della sua ossessione sessuale e non so neanche se chiamarla ossessione, o dipendenza, ma quella morte all’idroscalo di Ostia, in un posto sprofondato nel nulla, è il risultato della sua esistenza. Nell’ultima intervista, quella a Furio Colombo, diceva: Con la vita che faccio io pago un prezzo… È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose. Io non giudico, questo è il mio viaggio, non il suo».

Non giudica, ma di ossessioni e dipendenze se ne intende, Abel Ferrara: «Ti portano in galera o all’idroscalo, a morire schiacciato da una macchina».

 

Questa estate Willem Dafoe, già interprete di Gesù Cristo ne L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese, era stato a Chiafura, luogo pasoliniano di Scicli. Sono al termine le riprese del film in cui interpreta Pierpaolo Pasolini. 

 

Ferrara ha condotto le sue esplorazioni nei bassifondi della città e della coscienza: sesso, violenza, dipendenze, follia, oscurità. Buio. È considerato un regista concentrato sul peccato, la fede, la redenzione, ma lui non è d’accordo. «Non vedo redenzione nei miei film, i miei personaggi non cambiano mai. Io invece sono cambiato: ero un tossico e non lo sono più. Pulito da un anno e mezzo».

Willem Dafoe che interpreta PPP.

«L’aspetto incredibile di Pasolini è che aveva questa lucidità, anche se viveva la sua ossessione per i ragazzini di strada. Lui era in mezzo a tutto. E prima della violenza di strada degli anni Ottanta e Novanta, con i ragazzi che si ammazzano per una catena d’oro, aveva già previsto, o forse anticipato, ogni cosa. Era questo che lo terrorizzava».

«I suoi film ci ha portato nel buio, anzi no, nella luce. Il suo cinema è stato un salto spirituale. Non avevamo mai visto cose simili, eravamo venuti su con i film americani, noi. E poi era veramente come Gesù. Il profeta, il martirio non c’entrano niente. Non c’è una croce sulla sua tomba. Ma ho parlato con cento persone che lo hanno conosciuto e lo piangono ancora, nessuno mi ha detto una cattiveria su di lui. Era attento, compassionevole, chiedeva a tutti come stai? hai mangiato? vuoi un caffè?».

Arrivano le immagini di Dafoe, attuale attore feticcio di Ferrara. È la scena dell’intervista francese su Salò. La somiglianza con l’originale è lancinante. «Will è capace anche di levitare se glielo chiedi». Probabilmente non lo doppierà: «Will vive da sette anni in Italia, è sposato con un’italiana, abbiamo confrontato la sua voce con quella di Pasolini. Identica». Poi c’è un’altra scena entrata nell’iconografia pasoliniana: lui che gioca a pallone con dei ragazzetti di periferia, vestito da signore, mica da calciatore. «Nelle ultime 24 ore non credo proprio che abbia giocato, ma lo faceva sempre. Se era in macchina e vedeva una partita, accostava e scendeva in campo».

Conviene ricostruire queste 24 ore, limate dagli inserti cinematografici e romanzeschi che servono comunque a trovare il senso di una fine, visto che Ferrara non ha girato la scena della morte come l’ha riferita, in versioni peraltro contrastanti, Pino Pelosi, l’unico condannato per l’omicidio. Complotto o no? «Me ne fotto. Questo è un film, non un’indagine. Non me ne frega niente di chi l’ha ammazzato e come. Io mi occupo della tragedia, di quello che abbiamo perduto. Pasolini è morto a 57 anni, avrebbe potuto continuare a dire e a fare tantissimo. Molti suoi contemporanei sono ancora qui». E allora la sua morte viene letta attraverso la scena orgiastica, o eucaristica, del pratone della Casilina di Petrolio. La sceneggiatura, scritta con Maurizio Braucci (collaboratore di Matteo Garrone per Gomorra e Reality), ricostruisce il ritorno da Parigi, dove aveva presentato il suo ultimo film, la mattutina lettura dei giornali, il lavoro su Petrolio, il pranzo con il cugino Nico Naldini e Laura Betti, l’intervista con Furio Colombo, il rapporto con la madre Susanna, la cena con Ninetto e i suoi bambini da Pommidoro, il rimorchio di Pelosi alla stazione Termini…

«Insomma, i due mondi di un intellettuale borghese che di giorno viveva con la mamma e scriveva sui giornali e poi di notte se ne andava a cercare quello di cui aveva bisogno. Pasolini era l’ultimo hippy, o forse l’ultimo freak. La libertà individuale incarnata».

Ferrara guarda le immagini girate fra i marchettari. Street dogs, li chiama: «Guarda questo: ha una faccia da fottuta movie star. Non erano e non sono omosessuali: ragazzini affamati e liberati, come i soldati romani che saccheggiavano, stupravano le donne e scopavano fra di loro quando di donne non ce n’erano».

 

 

La mostra a Roma dal 15 aprile

 

Pasolini Roma è il titolo della grande mostra che dal 15 aprile al 20 luglio 2014 sarà allestita negli spazi del Palazzo delle Esposizioni di Roma. Dentro Roma con Pasolini, dal suo arrivo nel 1950 («povero come un gatto del Colosseo») fino alla notte della morte a Ostia.

La mostra ha riunito quattro istituzioni (Centre de Cultura Contemporània di Barcellona, Cinémathèque di Parigi, Palazzo delle Esposizioni di Roma, Martin-Gropius-Bau di Berlino) e tre curatori (Gianni Borgna, appena scomparso, Alain Bergala e Jordi Balló). «Roma è divina» diceva PPP, che tuttavia con la città ebbe un rapporto violento, di amore e odio.

E la mostra è organizzata per farci vivere questa storia di passione: «È come se lui stesso ci guidasse in un percorso imprevedibile, aperto a incontri, occasioni perse, abiure, fughe, ripartenze» ha detto Bergala. Un percorso fatto di oggetti personali, luoghi di vita, mano- scritti, la sua spider, filmati e spezzoni di film, la macchina da scrivere. C’è la periferia, i luoghi e i personaggi di Accattone, Mamma Roma, La ricotta… C’è anche la Roma che l’ha ucciso, con le foto del suo cadavere all’idroscalo. «Non so perché, ma non ero mai stato nel posto dove è stato ammazzato Pasolini» dirà Nanni Moretti.

 

 

Nella foto di copertina Willem Dafoe al convento della Croce di Scicli, con Luigi Nifosì.

Nell’ultimo scatto, Dafoe nei panni di Pasolini, nel film di Ferrara.