di Redazione

Chiunque nel corso dei millenni si sia affacciato sulle coste che separano la Sicilia dalla Calabria, ha sicuramente pensato che non deve essere particolarmente difficile riuscire a congiungere queste terre così vicine. Anche oggi, mentre si attraversa in traghetto quel “quasi fiume” mangiando l’ormai folcloristico arancino, a tutti sicuramente passa per la testa che in fin dei conti un ponte deve essere fattibile e ci si domanda anzi perché non sia stato già fatto: siamo andati sulla Luna, ma ancora non siamo riusciti a congiungere i due mostri omerici, Scilla e Cariddi.
Sappiamo bene quanto sia esiguo il lembo di mare che le divide, appena tre chilometri; è una distanza così minima che si ha l’impressione che la Natura sia stata indecisa fino all’ultimo momento se fare della Sicilia un’isola o meno. Non riuscendo a prendere una decisione, l’ha lasciata là, a pochi passi dalla terra ferma. Questo peccato originario, questo gesto da ignavo dantesco, ha stuzzicato l’inventiva dell’uomo che da millenni cerca con ossessione di porvi rimedio senza riuscirvi.
I primi tentativi documentati di unire l’isola alla penisola risalgono ai tempi delle guerre puniche: Plinio il Vecchio (nel 251 a.C.) narra della costruzione, voluta dal console Cecilio Metello, di un ponte fatto di barche e botti per trasbordare dalla Sicilia 140 elefanti catturati ai cartaginesi. Anche Carlo Magno, colpito dalla vicinanza fra le due terre, pensò che era possibile in qualche modo collegarle, ma alla sua morte il progetto svanì, come del resto il suo impero.
Dobbiamo attendere fino all’XI secolo per ritrovare un altro temerario che sfidi Scilla e Cariddi. Roberto il Guiscardo, fratello di Ruggero Altavilla, conquistatore normanno, avrebbe iniziato la costruzione di un ponte, ma con la sua morte nel 1085, i lavori furono abbandonati. Ci ritenta Ruggero II, Re di Sicilia dal 1140, ma la sua iniziativa si limita soltanto a delle perlustrazioni fatte fare a dei palombari per verificare se era effettiva¬mente possibile costruire un collegamento stabile. Finita l’era dei grandi imperatori la penisola ha avuto altri grilli per la testa e quindi non c’è stato troppo tempo da dedicare alle grandi opere.
Fatta l’Italia politicamente, c’è stato chi ha tentato di unirla anche in senso fisico. Nel 1866, pochi anni dopo l’Unità, il ministro dei trasporti, conte Stefano Jacini, incarica l’ingegnere Alfredo Cottrau di verificare la fattibilità di un ponte metallico, ma niente da fare. Quattro anni dopo, Carlo Navone, nella sua tesi presso la scuola d’applicazione per ingegneri di Torino, propone un attraversamento ferroviario sottomarino tra Villa San Giovanni e Ganzirri, ma anche questa volta niente da fare.
Nell’attesa di riuscire a realizzare una qualche sorta d’attraversamento stabile, furono messi in funzione i ferryboat, più comunemente conosciuti come “ferrabbuotti” (adattamento siciliano del termine inglese). Il 1 novembre 1899 un traghetto a carbone per il collegamento del traffico tra la rete ferroviaria del continente e quella dell’isola, solcava per la prima volta lo stretto. Nel 1906 veniva traghettato il primo espresso Berlino-Palermo (l’ante litteram del comunitario “Corridoio Uno” programmato dalla Ten, rete di trasporti transeuropea) L’iniziativa ebbe il suo successo, infatti, tutt’oggi il collegamento ferroviario e gommato è possibile solo grazie al servizio di traghettamento pubblico e privato.
Nel dicembre del 1908, com’è tristemente noto, vi fu il terremoto che rase praticamente al suolo sia Messina sia Reggio Calabria. Nei duri anni della ricostruzione l’idea del ponte fu quasi del tutto accantonata per essere riproposta, carica d’orgoglio italico, in pieno ventennio. Nel 1934 il generale del genio navale, Antonio Calabretta, presenta un progetto di ponte tra Punta Faro e Punta Pezzo; l’anno successivo il comandante Filippo Corridoni suggerisce invece la posa di un enorme tubo d’acciaio sottomarino per il transito ferroviario e veicolare. Ma neanche i progetti fascisti ottennero risultati.
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Bartolo Scifo*
* autore del dossier “Il ponte sullo stretto. Una lunga e tormentata storia tutta italiana”. Si consente la riproduzione parziale o totale del contenuto e la sua diffusione, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.
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