Margherita Blandino e Carmelo Chiaramonte a confronto con mamma Scorsese. E con Martin
di Redazione


Bologna – Si chiama Cena italianamerican: andata e ritorno di alcune prelibatezze di Casa Scorsese. Ovvero, una serata speciale per celebrare la cucina di famiglia di un grande maestro del cinema e in particolare l’arte culinaria di mamma Catherine. L’appuntamento è per il 27 settembre alla biblioteca Renzo Renzi di Bologna nell’ambito della rassegna che prende il nome dallo stesso documentario Italianamerican, che ha per protagonista la famiglia Scorsese e la sapienza culinaria della signora Catherine.
Rassegna organizzata da Cineteca Bologna, che tra le proiezioni dei grandi capolavori del regista italo americano ha infilato questa serata dal sapore cine-gastronomico in occasione dell’uscita in libreria proprio di Italianamerican, che propone insieme l’omonimo documentario diretto da Martin Scorsese nel 1974 e il libro di mamma Catherine che ripercorre una straordinaria storia familiare, vista dalla cucina di casa: le braciole, i calamari, la caponata, i cavatelli e un leggendario ragù… E visto che la famiglia Scorsese è originaria del paesino siciliano di Polizzi Generosa, in questa serata la Sicilia sarà protagonista ai fornelli, con un’altra accoppiata madre-figlio: il cuciniere errante Carmelo Chiaramonte e sua madre Margherita, modicani, proporranno ricette e riletture culinarie dei piatti con cui la signora Scorsese ha deliziato per decenni i propri familiari e gli amici del figlio. Uno chef che scava nella storia siciliana e sua madre. La ricerca sulla cucina d’un tempo e la cucina contadina di casa.
Il racconto di Carmelo Chiaramonte: le ricette di casa Scorsese
Le cose da mordere, sorbire e annusare hanno sempre lunghe storie da raccontare. Ciò che intimamente facciamo ogni giorno nasconde in sé una tela di colori, suoni, facce e viaggi. È come mangiare un libro o un pezzo di vita vissuta. I confetti e i torroncini da salotto possono portarti ai romanzi Rosa Harmony. Il Marsala ti conduce a Garibaldi. Come un timballo di pasta e sugo al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Come può accadere pure il contrario, un libro e un film famigliare ti portano al cibo. Ti raccontano l’essenza della cucina tutta di ogni angolo del mondo. E cioè che la cucina è un fatto fusion di suo.
Se prendi la pastasciutta sai che lo spaghetto è nato in Cina e che il pomodoro è partito dal Sudamerica, come il cacio si è cagliato in Mesopotamia. Eppure il vessillo culinario è tricolore.
Ascoltare la voce di Catherine Scorsese e leggere le sue ricette è come infilarsi nella tasca di qualcuno cha ha viaggiato, a lungo. Il polpettone di Fanny Di Giovanni, parte sì dalla Sicilia ai primi del novecento. Non è nelle sue tasche e nemmeno nel companatico dei 45 giorni di navigazione. È celato dentro le sue dita. È un piatto ricco, da festa. A quei tempi in Sicilia la carne è solo un miraggio, nei pasti popolari. Solo per Natale o carnevale o quelle feste “comandate” dei santi patroni, s’immola l’animale delle proprie stalle.
I codici di cottura, come i libri, viaggiano con noi e diventano altro, sempre. Per questo mi sembra bellissimo osservare che il Falso magro siculo, sbarcato a New York, s’imparenti col cacio del signor Locatelli e che il sugo di fondo debba diventare ancor più rosso e speziato fino ad essere conciato con ketchup. Le labbra italiane si storcono sempre a questa parola. Magari pochi sanno che questa salsa è indiana e che gli inglesi non riuscivano a pronunciarla fino a farla diventare un concentrato di pomodoro speziato e acidulo.
La famiglia Scorsese c’è cresciuta con questa cucina. Sono stati bene tutti, anzi, a quanto pare, il Signor Martin ha avuto modo di rifocillare il suo genio creativo e di diventare il Maestro dei racconti coi quali ci ha nutriti.
Una delle ricette che più mi ha colpito, tra i piatti elaborati da Catherine Scorsese, è la Caponatina Siciliana. Da Polizzi Generosa essa parte, nella mente e nella bocca del viaggiatore Francesco Scorsese.
È un piatto semplice e contadino i cui protagonisti sono una policromia di verdi: cardo, sedano, cicoria, broccolo e olive. Sbarcata in America, i colori cambiano. I sudamericani pomodori e le melanzane ne diventano attori principali, assieme ai sapori lontani di Sicilia di capperi, cipolle e olive nere e bianche. Non mi è capitato di conoscere gente cha abbia completamente rinnegato gli aromi della propria età evolutiva, anzi in Italianamerican, si assiste al rito di riproporre l’odore della vita dei propri genitori.
Chissà tra 50 anni cosa diventerà la caponata Scorsese?
Alla fine della ricetta Catherine suggerisce la possibilità di arricchire la ricetta col tonno, di mangiarla persino con la forchetta o dentro un panino. In Sicilia, il pranzo dei campieri era sì una caponata e la si mangiava con un velo di cipolla a mo’ di cucchiaio o con la fetta di pane e sempre con le dita.
Leggo i ricettari tradizionali di Polizzi e scorgo che quando la caponata diventa protagonista del pranzo di Natale cambia nome, Cunigghiu (coniglio).
Eppure tra gli ingredienti nessun quadrupede: la stessa ricetta ma più ricca. E di che cosa? Trippa di tonno, baccalà, patate e zucchine.
La cucina è come noi, quando ci muoviamo e anche quando siamo fermi in un luogo per l’intera vita: è viva. Fissarne il suo fiato in un film e in un libro serve a ricordarcelo.
E per questo, io e mia madre Margherita siamo grati per questo respiro che ci ha regalato la Famiglia Scorsese.
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