Un articolo di Pucci Attardi
di Pucci Attardi

Avola – “E dai portoni quanta gente cantando sbucò/ e quanta gente da ogni vicolo si riversò/ e per la strada quella povera gente marciava felice dietro la sua banda/ Se c’era un uomo che piangeva sorrise perché/ sembrava proprio che la banda suonasse per lui/ in ogni cuore la speranza spuntò quando la banda passò/ La banda suona per noi, la banda suona per voi”.
La Banda di Avola non porta soltanto allegria. Non è solo zum pa-pa. La Banda di Avola porta cultura, formazione, valori sociali e civili, sogni, passioni, speranze. E riconoscimenti. Gli ultimi sono l’invito a salire sul palco del Teatro Ariston di Sanremo in occasione del Premio Tenco (dall’11 al 13 novembre) e il premio del Mei – il Meeting delle etichette indipendenti che si terrà a fine novembre a Faenza – per il disco …E l’italiano ride, realizzato in collaborazione con Mirco Menna.
Un progetto nato nell’estate 2009 tra una granita e una “brioscia” a colazione, mandorle pizzute e cene da zia Lucietta bagnate da Nero d’Avola e Sangiovese. «Undici moderne composizioni d’autore calate nel suono popolare puro», spiega il cantautore bolognese, che la Banda di Avola schizza di suoni etnici, di riferimenti al Nino Rota felliniano, di slanci sinfonici.
A quindici anni dalla nascita, per i 50 ragazzi d’età compresa fra gli 11 ed i 19 anni diretti dal maestro Sebastiano Bell’Arte non è la prima impresa. «Questa avventura è cominciata nel 1996, ma la storia della Banda di Avola parte da lontano – racconta Bell’Arte – Esisteva già nell’Ottocento ed esistono documenti storici che parlano di una Banda di Avola che nel 1830 fu invitata dalla deputazione di Siracusa a suonare per la nascita del principe ereditario della Calabria. Poi con la guerra tutto è andato in fumo: chiuse il teatro e la banda si disperse».
Restò Don Nuzzo Calvo, classe 1935, ex suonatore di tromba che, per problemi di cuore, aveva imbracciato i piatti. «Io girovagavo tra le bande di Noto, Pachino e Canicattini, e lui ogni giorno veniva a casa mia a dirmi: “Facciamo la banda” – continua Bell’Arte – Ma io volevo fare qualcosa di diverso dalle solite bande di dopolavoristi che si riunivano soltanto in occasione delle feste». Nasce così un progetto a più ampio respiro, sull’esempio delle esperienze che si andavano affermando nelle vicine Canicattini Bagni, Noto, Melilli. Una banda affiancata a una scuola di musica, divertimento e cultura. «Ricordo ancora quel giorno – si commuove Bell’Arte – Era il Primo Maggio 1996, suonammo ad Avola Antica, eravamo otto elementi locali e otto forestieri».
Oggi la Banda di Avola è formata soltanto da musicisti locali.
«Cominciamo a formali a scuola, in terza e quarta elementare – spiega Bell’Arte – Poi, se si appassionano, continuano nella scuola che abbiamo aperto nei locali che ci ha concesso la parrocchia di San Giovanni». E sono tanti che ai videogiochi e al telefonino preferiscono il sassofono, il flauto o il clarinetto. Bambini e bambine che riempiono di suoni le stanze della scuola San Pietro, «consentendoci un continuo ricambio – riprende il maestro – Chi s’iscrive all’Università a Torino o Roma ci lascia e dalle elementari arrivano nuovi elementi. La nostra è la banda più giovane d’Italia. Ed è importante per noi avere una banda composta con elementi della nostra città, anche perché a ogni festa non possiamo pagare cachet a forestieri, abbiamo un budget basso».
La Banda di Avola è originale anche perché rivoluziona il concetto di banda musicale. Se una volta le orchestre popolari avevano il ruolo di far conoscere a tutti quella musica che era privilegio solo di chi poteva permettersi un palco all’opera, grazie agli arrangiamenti per banda di tanti capolavori di Verdi, Rossini, Bellini e Mascagni, la Banda di Avola punta alla riscoperta e alla salvaguardia delle tradizioni popolari.
«In repertorio abbiamo sempre la Traviata, la Cavalleria Rusticana o composizioni per bande, come pure cantautori, jazz, ma grazie all’incontro con Roy Paci abbiamo capito l’importanza di restare legati alle nostre tradizioni. Con la Banda Ionica ho registrato un cd di marce funebri che mandavano in delirio gli spettatori ai concerti che abbiamo tenuto in Francia, Austria, Germania e nel Nord d’Italia». Dall’incontro con l’eclettico trombettista di Augusta nel 2002 scaturì ‘A banna, prima impresa discografica della Banda di Avola. Poi sono venute le collaborazioni con Lello Amalfino dei Tinturia, Giovanardi dei La Crus e altri artisti siciliani. Sino all’incontro, tanto fortuito quanto fortunato, con Mirco Menna.
«Questo secondo disco è stato ideato e realizzato tutto ad Avola e poi lo abbiamo registrato al Teatro Vittorio Emanuele di Noto. Oggi è alla seconda ristampa in Francia e alla terza in Giappone». Dati che farebbero esultare chiunque, non Sebastiano Bell’Arte: «Il nostro non è un progetto commerciale, finora abbiamo avuto solo rimesse. Basti pensare che per suonare a Torino, a fronte di un cachet di 4.000 euro, solo l’affitto dell’autobus ci è costato 4.500 euro». Procurano più felicità e speranze l’imminente riapertura del Teatro e, soprattutto, la convenzione che la Banda firmerà con il Comune di Avola e che consentirà di sostenere con meno ansia gli impegni dell’orchestra e della scuola.
«Ma è anche un riconoscimento al lavoro svolto in questi quindici anni ed al rapporto che si è instaurato tra la Banda e la città, al ruolo sociale, educativo e formativo che si svolge. Perché per stare in una banda non è importante soltanto saper suonare, ci sono anche l’aspetto comportamentale, il saper vivere una esperienza umana con altre 50 persone e affrontare le responsabilità. Perché qui tutti sono i protagonisti del progetto».
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